«Il nostro popolo conquisterà la libertà»
È chiaro comunque che ammettono di essere dei ladri. Nel contesto iraniano confessare di essere ladri non è poco, ma non è tutto. Il regime ha utilizzato metodi diversi nel costruire i brogli. Ne vuole qualche esempio?
Il primo. In queste elezioni il numero dei seggi era 45.713, di cui 14.258 mobili, anziché fissi. Gli elettori hanno avuto a disposizione dalle 10 alle 14 ore di tempo per votare, a seconda che si trovassero nelle piccole città o in quelle grandi. Il ministero degli Interni per due volte ha dichiarato che per dare un voto è stato necessario un minuto e 36 secondi nei seggi fissi, e 3 minuti nei seggi mobili. Come è possibile allora che i votanti siano stati 39 milioni? Ci sono almeno 12 milioni di falsi voti a favore di Ahmadinejad, attribuiti sulla base di un numero presunto di partecipanti.
Secondo punto. Hanno catalogato le schede per favorire, in sede di spoglio, Ahmadinejad.
Terzo. I pasdaran, i guardiani della rivoluzione, controllavano direttamente 15 mila seggi. Lì non ci sono state alternative: solo voti a favore di Ahmadinejad.
Per finire, il colpo di stato di Khamenei (la Guida suprema Khamenei ha proclamato la vittoria di Ahmadinejad immediatamente invece di aspettare i tre giorni canonici, n.d.r.) d’intesa con la mafia militare ed economica. Per tutti questi motivi, sicuramente, il regime si è indebolito.
Presidente, la paura corrompe e per di più la corruzione nel suo Paese è diffusa. Non crede che dopo il deterioramento del quadro politico possa regredire anche il quadro sociale?
Nella storia dell’Iran il potere ha avuto tre pilastri: la monarchia, il clero e il bazar (il potere economico dei grandi mercanti, n.d.r.). Lo scià Reza Pahlavi tolse quello del bazar e con la rivoluzione iraniana abbiamo rimosso anche la monarchia. Con quest’ultima lotta, se il popolo riuscirà a fare pulizia, in Iran cadrà anche il potere religioso. Finalmente avremo un Paese che potrà crescere pure a livello sociale. Voglio ricordare che il nostro popolo ha una storia sociale, culturale e artistica di grande spessore mondiale.
Nella sua valutazione, l’ulteriore isolamento dell’Iran quali altri danni potrà provocare?
Di certo l’isolamento gioca a favore di Khamenei e delle mafie economiche e militari a lui vicine. Con la scusa dell’isolamento fanno le loro manovre e giustificano la situazione che si è creata, ovvero il fatto che l’Iran sia in difficoltà. Tutte le crisi hanno bisogno di due contendenti, ma adesso il quadro internazionale è cambiato. Una volta l’America di Bush rappresentava una concreta minaccia per l’Iran, ma cosa si può dire ora con Obama? Questa minaccia non esiste più. Ecco allora le difficoltà del regime iraniano. Ieri poteva dire che la colpa era del grande satana, cioè dell’America e della sua politica. Oggi deve inventare delle scuse per giustificarsi davanti al popolo iraniano. Vorrei sottolineare che l’isolamento è funzionale agli interessi di un regime. Il regime in Iran sta facendo ciò che gli pare e piace a danno del popolo. Chi paga in prima persona è il popolo. Mi stupisce che in Occidente nessuno comprenda questo aspetto così drammatico per l’Iran. A pensarci bene, tuttavia, non dovrei stupirmi: di stress nazionali i Paesi occidentali ne hanno fin troppi!
Il grande ayatollah Montazeri ha detto: «Fare resistenza alle richieste del popolo è proibito anche dalla religione». Una dichiarazione forte da parte di un uomo autorevole e prudente. Cosa significa? A prescindere dalla cronaca, le divisioni interne alla teocrazia sono comunque giunte al limite?
Un uomo autorevole e prudente, ha ragione. L’ayatollah Montazeri tanti anni fa ha detto chiaramente che Khamenei non rappresentava l’islam. Qualche mese fa, addirittura, ha aggiunto che Khamenei è contro l’islam. Le sue parole sono state: «Si comporta come un miscredente». Ma Montazeri ha influenza anche sui pasdaran, che credono in lui e lo considerano un uomo religioso e rappresentante dell’islam. Inoltre ha un’influenza significativa sui Mullah al di fuori del potere di Khamenei e del governo. Come lei sa, è stato minacciato ed emarginato dal regime.
Presidente, l’onda verde dimostra in ogni caso che in Iran si è creata una coscienza critica, che vuole il cambiamento all’interno della repubblica islamica, sulla strada della democrazia. È ormai solo una questione di tempo?
Fino alle elezioni, coloro che invitavano a non votare in Iran sicuramente non credevano che ci fosse una possibilità di cambiamento dall’interno del regime, mentre è quello che vediamo in questi giorni. Ma qualcuno pensava che dando fiducia a Moussavi si potesse arrivare a qualche spazio in più, a una boccata di ossigeno per il popolo iraniano. Dopo la dichiarazione di Khamenei e della sua mafia economica e militare – come già dicevo, nella sostanza, una dichiarazione di guerra contro il popolo – la piazza è diventata più esigente: oggi i manifestanti lottano per la libertà, per la piena indipendenza dal regime. È giusto. Io credo che prima o poi quel giorno arriverà. Ho sempre detto che l’ultima lettera di Rafsanjani a Khamenei (una lettera dai toni durissimi, densa di critiche, scritta da un ayatollah a un altro ayatollah, n.d.r.) è l’inizio della fine del regime degli ayatollah in Iran.
Moussavi, che era stato al governo nei lontani anni ’80, si ritrova a vestire i panni del leader carismatico. È lui l’uomo giusto o per la svolta serve un altro protagonista?
Moussavi è in difficoltà. Aveva detto che tornava in politica per salvare questo regime. Ma la truffa elettorale ha mischiato le carte. Il popolo è in piedi e lotta per la libertà, Moussavi a questo punto non può più restare all’interno del regime e affiancare la protesta contro i brogli. Moussavi deve scegliere. Il popolo comincia a soffrire la sua ambiguità, ma spera che lui definitivamente decida da che parte stare. Le minacce contro di lui, da parte del regime, sono venute proprio per questa ragione, per forzarlo a decidere. Gli hanno detto: se non ti ritiri farai la fine di Banisadr, se non peggio (Banisadr, prima di essere deposto nel 1981, subì due attentati, n.d.r.). Ormai l’alternativa è fuori dal regime: se non compie questo passo sarà fuori gioco per il popolo iraniano.
Presidente, i Paesi europei spingono, gli Stati Uniti per il momento frenano. Sullo sfondo c’è la Russia di Putin che, in una sorta di spartizione dei ruoli nella commedia, è a fianco del governo in carica. Quali possibili scenari si aprono? Il dialogo con l’Iran, che vuole Obama, sarà più difficile?
A mio giudizio il mondo esterno si può dividere in due grandi settori: le opinioni pubbliche e l’informazione da una parte, le cancellerie dall’altra. Le prime possono e devono dichiararsi a favore del popolo iraniano e aiutarlo in questo momento così difficile e doloroso. Questo aiuto darà forza al popolo iraniano. La solidarietà internazionale è come una medicina per le ferite e il dolore creati dal potere degli ayatollah. Non è così per quanto riguarda le cancellerie. Qualsiasi interferenza dei poteri, occidentali o orientali, diminuisce la forza della lotta in Iran, anzi autorizza gli ayatollah a creare maggior esasperazione. L’iraniano che esce di casa per lottare, ed eventualmente morire, per i suoi diritti, deve essere sicuro di combattere per i suoi diritti.
Se Ahmadinejad dovesse averla vinta, l’opzione nucleare di Teheran, probabilmente, subirà un’accelerazione, con tutti i rischi che ciò comporta. Lei lo pensa, è pessimista?
Sono due le ipotesi: la prima è che il regime, per recuperare tutto ciò che ha perduto in questa rivolta popolare, cerchi di accelerare sulla questione atomica in Iran. Personalmente non credo sia una strada percorribile: l’economia è al collasso, non ci sono risorse. La seconda possibilità è l’opzione del dialogo con l’Occidente. La mano tesa di Obama potrebbe essere utile a risolvere anche la difficile situazione che attraversa l’economia.
Come si può aiutare il suo popolo? Lei cosa chiede? E cosa può fare, direttamente, in prima persona?
Quello che posso e sto facendo io è rendere sempre più chiaro l’obiettivo del popolo iraniano, al di fuori del potere di Velayat Faghih Khamenei. In trent’anni io e i miei amici siamo stati gli unici a non credere a una riforma all’interno dell’attuale regime. Siamo invece fiduciosi nella lotta del popolo solo con le risorse del popolo e per il popolo, senza aiuti da parte di super potenze occidentali o orientali. Inoltre, da trent’anni siamo impegnati a rompere l’accerchiamento del regime, che abusa delle armi della censura. Le faccio un esempio: due settimane prima delle elezioni avevamo previsto le condizioni che hanno portato ai brogli. E puntualmente si sono verificate. Avevamo previsto che Khamenei avrebbe incoronato Ahmadinejad subito, senza attendere le verifiche. Agli organi d’informazione chiediamo di fare pressione sui governi, affinché non interferiscano con la questione iraniana. Il nostro popolo, come state vedendo, lotta e lotterà. Prima o poi conquisterà la sua libertà e l’indipendenza. Naturalmente, io spero più prima che poi.