Il papà di King Kong

Ingegno, tenacia e coraggio. Sono le doti di Marco Revelant. Dal computer di casa all’animazione tridimensionale. Due Oscar e una bruciante carriera per un talento annunciato.
20 Marzo 2006 | di

WELLINGTON

Si chiama Marco Revelant, è padovano ma è trapiantato in Nuova Zelanda. Sposato con Eleonora, hanno una bimba di pochi mesi: Elena.
Classe 1969, laureato in Giurisprudenza, Revelant è uno dei golden boy degli effetti speciali del cinema mondiale. Ha firmato molte scene della saga cult de Il Signore degli Anelli, pluripremiato con gli Oscar, ma anche di I-Robot e dell";ultimo strepitoso King Kong diretto da Peter Jackson, che a marzo si è aggiudicato una prestigiosa statuetta d";oro dell";Academy Awards per gli effetti speciali e altre due per gli effetti sonori.
Dopo un";esperienza importante alla Ubik di Milano, una delle più importanti società  italiane specializzate in effetti visivi, Revelant ha lavorato anche con Ermanno Olmi per il film Cantando dietro i paraventi . Poi è venuta la grande occasione alla Weta Digital con Peter Jackson.
Bettero. Qual è stato il tuo ruolo nel film King Kong ?
Revelant.
Per me questa produzione ha segnato un passaggio ulteriore rispetto a Il Signore degli anelli e I-Robot perché ho gestito due tirannosauri e mezzo, e il terzo come supervisore. Poi ho fatto la pelliccia di King Kong grazie anche all";esperienza delle piume dell";aquila ne Il Signore degli anelli . Abbiamo suddiviso King Kong a pezzi nel senso che c";era chi si occupava della testa, chi delle braccia. Io ho fatto dalle gambe al dorso, tranne le braccia e la testa, e poi ho ritoccato le braccia per una sequenza.
Come sei arrivato agli effetti speciali?
È stato un processo per gradi. Di base c";è stato un grande uso di videogiochi: i primi test. Stiamo parlando di lavori bidimensionali. Poi, ad un certo punto, la svolta è avvenuta in ambito architettonico. Più che altro arrotondavo facendo qualche lavoretto. Ero cresciuto con il computer anche se non sono mai stato un programmatore. Però me ne intendevo, per cui andavo bene a fare il sistemista, a fare configurazioni. Cominciai ad interessarmi a questi programmi, entrai in contatto con l";ambiente tridimensionale. Mi sono occupato di questo genere di grafica perché io non sapevo disegnare, e ho scoperto qualcosa che mi ha permesso di superare questo gap. Insomma c";è stata tanta sperimentazione finché è arrivata un";offerta mentre stavo facendo pratica come avvocato ed ero arrivato ad un punto di saturazione: mi stavo rendendo conto che non mi sarebbe piaciuto fare quel lavoro. Sto parlando di circa 9 anni fa. Ho avuto la possibilità  di lavorare in una post-produzione. Nel gennaio del 1999 mi sono trasferito a Milano in un";azienda dove realizzavano e realizzano tutt";oggi effetti visivi sia per la pubblicità  che per il cinema e lì, sostanzialmente, sono nato come professionista nel senso che ho potuto lavorare per importanti spot a livello nazionale e internazionale, e per qualche film. Questa è la differenza tra il mercato italiano e quello estero. Negli altri Paesi c";è una fortissima specializzazione. In Italia, invece, bisogna saper fare un po"; di tutto.
In che modo sei approdato alla Weta Digital?
Stiamo parlando di tre anni fa quando era in corso la produzione del terzo film della saga de Il Signore degli anelli. Io avevo già  tentato un paio di volte di entrare alla Weta. Avevo mandato il curriculum, i miei lavori, ma non avevo ricevuto nessuna risposta. La terza volta mi hanno chiamato e mi hanno offerto un contratto di nove mesi per finire il terzo episodio de Il Signore degli anelli .
Quando arrivi a produzione già  iniziata, prendi quello che passa il convento nel senso che non c";è possibilità  di scelta. All";epoca ero comunque annichilito all";idea di andare a lavorare a Il Signore degli anelli . Mi ricordo che quando andai a vedere con mia moglie il secondo film della serie, uscii dal cinema terrorizzato perché sapevo che dovevo partire per la Nuova Zelanda, e dicevo a me stesso: «Mi manderanno a casa dopo due giorni come un pacco espresso». Era una cosa inverosimile, e quando sono arrivato alla Weta è stato anche peggio. Entri in un ambiente dove la gente lavora alle cose che tu hai visto due settimane prima al cinema; tanti bozzetti attaccati dappertutto. E io avevo il panico da lavagna bianca. Non ti mettono subito a lavorare. Prima c";è un periodo di ambientamento, e tu stai malissimo perché non hai niente da fare, per cui cominci a guardare altre cose, e ti ripeti che non ce la farai mai. E, invece, è andata bene perché sono ancora lì e non mi hanno ancora mandato a casa. All";inizio c";era da fare il re dei cavalieri neri, e questo re era un restyling rispetto ai precedenti due film perché aveva una corona molto lunga con una specie di punta quasi a forma di spine. Mi hanno chiesto di rimodellarlo per farlo vedere più da vicino. Io, con la voglia di dimostrare a me stesso e a loro che volevo fare, mi sono buttato e ho modellato a mano tutti i fregi floreali di questa armatura, e ad un certo punto stavo anche sforando i tempi che mi avevano dato, tanto che mi hanno fatto i complimenti, dicendomi però di non perdere troppo tempo con i particolari.
Puoi raccontarci qualche aneddoto legato a King Kong e a Il Signore degli anelli ?
Il Signore degli anelli l";ho vissuto marginalmente un po"; perché ero l";ultimo arrivato, un po"; perché non ero così addentro alla produzione. Mi ricordo che dovevo preoccuparmi di come far funzionare le piume dell";aquila. Rammento che la prima volta che provammo il funzionamento delle piume dell";aquila, succedeva che le piume, come delle listarelle di legno, si alzavano una dopo l";altra con un effetto domino: era divertente da vedere ma è stato anche un incubo per tre mesi.
King Kong invece l";ho vissuto di più. Il grosso problema era il pelo di Kong . Era troppo lungo. E ci dicevamo: «Facciamolo più corto. No, torniamo a quello lungo». Insomma siamo andati avanti e indietro così fino a trovare la lunghezza giusta. Quello che cercavamo di ottenere, e che alla fine abbiamo ottenuto, era l";immagine di un animale vecchio, quindi maestoso, che aveva combattuto le sue battaglie, e non quella di un orsacchiotto di pelouche.
Cosa significa lavorare con Peter Jackson, regista specializzato in kolossal?
Jackson è un creativo senza controllo, è l";ultimo termine di paragone per tutto quello che avviene in Weta. Lui vuole arrivare a sviluppare la sua idea fino all";ultimo. Non molla mai. Quando pensa a qualcosa, lo fa senza porsi dei limiti, e per noi il problema è quello di colmare tutte le lacune che possono nascere nella fase di realizzazione dell";idea. Ricordo la prima riunione sul combattimento di Kong contro i T-Rex. Jackson diceva: «A me interessa che quando i T-Rex camminano, distruggano gli alberi. Si può fare?» E noi rispondevamo: «Non ancora, ma proveremo». Oppure: «Voglio che muovano questo e quest";altro». E noi rispondevamo: «Lo faremo». Alla fine ci ritrovavamo un lungo elenco di richieste, e non potevamo dire: «No, non lo facciamo». Così con questo elenco, ci mettevamo al lavoro.
Che consigli puoi dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del cinema occupandosi di effetti speciali?
Per quanto riguarda gli effetti visivi, posso dire che se non c";è una grande passione di fondo per questo lavoro, è meglio lasciar perdere perché è durissimo mantenere il ritmo. Da un altro punto di vista, il settore che si deve approfondire è più di uno, nel senso che le persone che riescono meglio in questo lavoro hanno una competenza trasversale tra aspetto artistico e tecnico. Io consiglio di tenere sempre aperta una via d";uscita, magari l";informatica che va bene in qualsiasi campo. Poi per seguire gli effetti speciali, bisogna avere una perfetta padronanza della lingua inglese e valutare quanto si vuole investire in questo campo. Ci sono scuole anche negli Stati Uniti ma costano moltissimo, e non si è mai certi che questo lavoro possa rendere veramente. Dipende da quanto uno è bravo e dove va a lavorare o per chi va a lavorare. Uno può anche finire in un paesetto sperduto del Texas ed essere pagato una miseria. Bisogna essere realisti e chiedersi quante siano le società  che fanno questo lavoro, quanti modellatori, ecc. Quando hai fatto i conti, vedi che ci sono circa 2.000 o 3.000 persone in tutto. Comunque adesso i videogiochi stanno aprendo molto il mercato e si avvicinano sempre di più al cinema. Sicuramente offriranno nuove possibilità  di lavoro ai giovani. In Francia ci sono ottime scuole in questo settore.        
         

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017