Il Papa nel vigneto di Noè
Nel 2001 gli armeni celebrano i 1700 anni dalla conversione al cristianesimo della propria nazione, prima al mondo ad accogliere il messaggio di Cristo. Ha colmato tutti di gioia il fatto che Giovanni Paolo II abbia deciso di celebrare l`evento assieme a loro, nella loro terra. La sua visita, in settembre, concluderà una serie di incontri tra gli esponenti della Chiesa cattolica e quella armena, per chiarire le differenze dottrinali sulla natura di Cristo, che hanno rovinato le relazioni tra le due confessioni dal concilio di Calcedonia del 451. Per questo la Chiesa armena è ufficialmente "separata" dalla comunione con Roma. Risale al novembre dello scorso anno l`ultimo incontro del katholikos Karekin II (il "papa" della Chiesa armena) con Giovanni Paolo II. La visita, durata tre giorni, è culminata in una cerimonia in San Pietro, durante la quale il Papa ha consegnato una reliquia del più grande santo armeno, Gregorio l`Illuminatore (240-332): un piccolo osso conservato in un reliquiario di vetro, con cornice dorata, in un convento di Napoli. Il re Tridate III, che governò l`Armenia agli inizi del IV secolo per conto dell`imperatore romano Diocleziano, fece rinchiudere Gregorio, "l`apostolo dell`Armenia", in un pozzo pieno di rettili, e ve lo lasciò finche lui stesso non si convertì al cristianesimo, seguito da tutto il popolo, come usava a quei tempi. Liberato, san Gregorio costruì il monastero di Etchmiadzin, proprio sopra il pozzo in cui era stato imprigionato. Tra la Chiesa cattolica e quella armena ci sono stati in passato altri contatti: nel 1970 Paolo VI aveva accolto il katholikos Vasiken I; nel 1996 Giovanni Paolo II e Karekin I si erano incontrati per la prima volta per discutere delle antiche controversie dottrinali; nel 1999 Karekin I era venuto a Roma per una celebrazione armena. Una visita del Papa in Armenia prevista per lo scorso anno, era stata annullata per l`improvvisa morte di Karekin I. Il cambiamento nei rapporti tra le due Chiese sono stati resi possibili dalla forte amicizia personale che lega Giovanni Paolo II ai katholicos armeni, Karekin I e Karekin II, rafforzata da comuni esperienze: tutti e tre hanno vissuto sotto il giogo comunista e provengono da paesi avvezzi a guerre e massacri. Un comunicato congiunto emesso al termine della visita di Karekin sottolineava quello che le due Chiese hanno in comune. Ed è molto. I sacramenti, ad esempio: dalla successione apostolica dei vescovi all`eucarestia al sacerdozio... In quell`occasione il Papa e il Katholikos hanno pregato insieme per una "piena e concreta comunione tra loro". Dove stanno i punti di frizione? Risalgono alle decisioni del concilio di Calcedonia, nel quale si era definito che in Gesù Cristo c`è una sola persona sussistente in due nature, quella divina e quella umana, che rimangono distinte e non confuse, operando ciascuna secondo le sue proprietà . Gli armeni, assenti a Calcedonia, sostenevano invece, e sostengono ancora, che in Cristo nell`unione di divino e umano c`è "una sola natura" (per questo sono chiamati monofisiti), con la tendenza a ridurre soprattutto l`aspetto umano. Nel 1996 Giovanni Paolo II e Karekin I decisero che non c`era motivo per continuare nella vecchia disputa su Cristo: il dialogo teologico era andato oltre la controversia sulle rispettive formule ` dissero ` facendo emergere un`idea comune di Cristo. Se queste notizie di riconciliazione sono esatte, c`è da sperare che quello che lo storico Norman Davies ha chiamato "l`apparentemente insanabile frutto della pignoleria cristologica" cada presto. L`eredità di Noè. Si ritiene che l`Armenia sia stata scoperta da Noè, quando l`Arca si è arenata sulle pendici del monte Ararat. Dalla Genesi sappiamo che una delle prime cose che il patriarca fece, appena sbarcato, fu di piantare un vigneto. Da allora l`Armenia si è distinta per la produzione del vino. E soprattutto di un suo distillato, il brandy. Nella sua storia l`Armenia è passata da un impero all`altro, da quello persiano a quello greco, arabo, turco... per finire nelle spire di quello russo, dal quale si è liberata solo con la dissoluzione dell`impero sovietico. Occupazioni straniere, dominazioni, frequenti massacri e calamità naturali sono stati l`origine di una massiccia diaspora di armeni in tutto il mondo. Gli attuali abitanti del paese sono circa quattro milioni, quelli della diaspora superano invece i cinque milioni. Frequenti deportazioni. L`esodo forzato degli armeni dalla loro terra (diaspora) è dovuto anche alla deportazione di gran parte di loro in almeno due occasioni. Nel 1064 l`Armenia e la vicina Georgia furono conquistate dei turchi Seljuks. L`occupazione poneva fine al piccolo regno armeno dei Bagratids, una famiglia di prìncipi che aveva influenze sulla Georgia. Ani era la capitale del regno dei Bagratids e la civiltà che in essa fiorì e prosperò costituì forse la massima espressione artistica e architettonica armena. Ma i Seljuks saccheggiarono le città e passarono la popolazione a fil di spada, provocando una fuga di massa. Ani, che aveva palazzi e chiese magnifici, da allora è una città fantasma. La popolazione cercò scampo in una terra nuova e lontana, la Cilicia in Anatolia, dove creò un nuovo regno e una nuova capitale, Sis. Ma nessuna persecuzione è paragonabile a quanto gli armeni subirono dai turchi Ottomani, un autentico massacro avvenuto tra il 1894 e il 1896 al tempo del sultano Abdul Hamid II. Gli armeni ` due milioni e mezzo, molti dei quali insediati in Cilicia ` istigati dalla Russia, che aveva mire territoriali in quell`area, chiesero un po` di autonomia e una riduzione delle pesantissime tasse che, come cristiani in paese musulmano, erano obbligati a pagare. La reazione dei turchi fu terribile: bruciarono i loro villaggi uccidendone gli abitanti o costringendoli a migliaia ad abbandonare case, averi, tutto. Due anni più tardi, nel 1896, per attirare l`attenzione sulla loro condizione, gli armeni di Istanbul assaltarono la Banca Ottomana. I turchi risposero con massacri di massa e devastazioni varie: ottantamila vittime. Il genocidio. Ma ancor peggiore fu la successiva ondata di persecuzioni, nel 1944, conosciuta come il "genocidio degli armeni". La tragedia è iniziata nel 1915, durante la prima guerra mondiale, quando i turchi erano alleati della Germania. I russi, intenzionati a estendere la loro influenza nella regione transcaucasica, fecero circolare la voce che gli armeni venivano segretamente reclutati nelle file del loro esercito per combattere contro i turchi e gli alleati tedeschi. Gli armeni erano già una minoranza guardata con sospetto per le rivendicazioni di autonomia e il rifiuto di pagare le tasse: bastarono quelle "voci" a convincere i "Giovani Turchi", che si erano sbarazzati di Hamid II e avevano preso il potere, a scatenare la più feroce delle persecuzioni. Decisero così la deportazione in massa degli armeni dalla Cilicia, dove erano più numerosi. Circa tre milioni di persone. La deportazione non avvenne su camion o in treno ma, uomini, donne e bambini, giovani e vecchi, abili e disabili`¦, furono costretti a camminare a piedi sotto il sole sferzante dell`estate verso il deserto della Siria, una delle zone più lontane dell`impero ottomano. A questo punto i numeri non hanno più molta importanza, tuttavia si pensa che dei due milioni di armeni che hanno iniziato la marcia della morte, solo un quarto sia sopravvissuto, gli altri sono tutti morti lungo il cammino. Si ritiene anche che un terzo di questi ultimi sia stato massacrato dalle guardie turche nonché dagli abitanti dei villaggi e delle città attraversati dai profughi. Il poeta armeno Atom Ergoyan descrive una feroce e abituale tortura inflitta alle donne armene: cosparse di cherosene e arse vive per divertirsi a vederle "danzare" mentre le fiamme avvolgevano i loro corpi. Il governo turco ha ostinatamente negato le voci di deportazioni di massa, di genocidio o massacro; come ha sempre rifiutato di assumersi le proprie responsabilità o di riparare per le terribili sofferenze inferte a un intero popolo. L`unico monumento che ricordi il milione e mezzo di morti tra il 1895 e il 1915 è stato eretto sulle colline vicino ad Jerevan, capitale dell`Armenia. È come se il mondo non volesse saperne di loro.