Il peso specifico dell’amore
«Corsi per i fidanzati»: i preti si ostinano ancora a chiamarli così, anche se le parole «fidanzati», «fidanzamento» sono decisamente fuori moda. Evocano, soprattutto ai giovani, immagini d’altri tempi – cerimonie ufficiali, solenne presentazione alle famiglie, obblighi e oneri – cui sono sempre più allergici. Ma siamo sicuri di non buttar via con l’acqua sporca delle formalità e delle convenzioni anche il bambino di un amore ormai maturo per uscire allo scoperto e fare sul serio con la vita?
«Fidanzamento» ha la stessa radice di «fede», «fiducia», «fedeltà»: realtà solide e positive. Indica un periodo di prova, certo. Ma non nel senso precario e dubbioso con cui si gettano i dadi: «proviamo…». È invece un tempo di verifica, simile a quel lavoro serio e appassionante con cui lo scienziato è teso a convalidare la bontà di un’ipotesi.
La libertà vi è impegnata al massimo. E il segno della promessa solenne con la quale l’uno liberamente si lega all’altra è l’anello, il cui peso – scrive Karo Wojtyla in un libro che tutti i fidanzati dovrebbero leggere – «non è il peso del metallo. È il peso specifico dell’essere umano, di ognuno di voi e di voi due insieme. L’amore non è un’avventura. Prende sapore da un uomo intero. Ha il suo peso specifico. È il peso di tutto il tuo destino» (da La bottega dell’orefice). E, continua il Beato Giovanni Paolo II andando ancora più a fondo: «Non può durare un solo momento. L’eternità dell’uomo passa attraverso l’amore. Ecco perché si ritrova nella dimensione di Dio, solo Lui è l’Eternità».
Ormai lo avete capito, questo nostro appuntamento mensile lancia una sfida molto alta: mostrare come la proposta cristiana è pienamente umana e corrispondente all’ordine della ragione. Buona per tutti, non solo per i cristiani.
I fidanzati – ha detto recentemente Benedetto XVI – devono essere messi in grado di scoprire «la verità di un’inclinazione naturale e di una capacità di impegnarsi che essi portano inscritti nel loro essere relazionale uomo-donna» (Discorso alla Rota romana, 22.01.2011).
Abbiamo già parlato dell’insopprimibile desiderio di un dono di sé totale e per sempre che alberga nel cuore di ogni donna e di ogni uomo. D’altra parte – nel contesto in cui viviamo è sempre più evidente – noi non siamo capaci di vivere all’altezza del desiderio del nostro cuore.
Ma quello che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.
Per la grazia del sacramento del matrimonio l’amore tra l’uomo e la donna è fondato non sulle sabbie mobili delle loro forze, ma sulla roccia dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Il dono perfetto – fino all’offerta totale di sé – di Cristo-sposo alla Chiesa, sua sposa, dà forma al dono del marito a sua moglie. È pertanto ragionevole decidere per il salto di qualità che il sacramento garantisce all’amore degli sposi. Si documenta in tre caratteri che restano validissimi anche se oggi sono una merce sempre più rara: il matrimonio è un legame pubblico, stabile e fedele.
Ciò che non è in qualche modo suggellato pubblicamente è ancora acerbo e, perciò, precario, insicuro. Il passaggio dall’innamoramento all’amore implica naturalmente la scelta di assumere l’esaltante scoperta di una totale reciprocità entro una responsabilità di costruzione comune. L’amore tra l’uomo e la donna è pubblico e stabile perché destinato a edificare la società e la Chiesa. D’altra parte, quando hai incontrato qualcosa che ti corrisponde profondamente non hai il problema di abbandonarla, ma quello di non perderla più. Perciò novità non è frenesia di cambiamento, ma l’approfondirsi di quella bellezza che ti ha conquistato all’origine. Alla fedeltà abbiamo già dedicato un’intera puntata delle nostre conversazioni.
Gli articoli del cardinale Angelo Scola saranno ripresi, e a volte approfonditi , anche sul sito www.angeloscola.it