Il piacere dello shopping

Ammettiamolo una volta per tutte: non sempre gli abiti e gli accessori che acquistiamo ci servono veramente.
20 Giugno 2008 | di

Non c’è bisogno di essere vitti­me dello shopping compulsivo per ammettere che sì, forse, magari non tutti gli abiti e gli accessori che acquistia­mo ci servono veramente. Diciamolo senza rimorsi: fare shopping ci piace davvero. Sarà bombar­da­mento da pubblicità, riempimento di vuoti... tutto vero. Però provare una gonna e decidere che sarà nostra, e il giorno dopo ricevere qualche complimento, è un aspetto leggero della vita. Ci vedia­mo più carine e «sorridiamo dentro», dopo di che siamo più disponibili a sorridere anche fuori. Nella scelta di un capo d’abbi­gliamento l’eleganza non è obbligatoria, il buon gusto sarebbe auspicabile... Ma di una cosa non si può proprio fare a meno: la volgarità va evitata sempre e, se possibi­le, pure il ridicolo. Ci sono pance e cosce che starebbero meglio coperte, e solo chiedendo­ci quali motivi legati alla storia personale possano indurre tante donne a vestirsi male, riusciamo a considerare interessante chi si mette in scena così malamente. Alla fine, anche la scelta sbagliata dei vestiti può dire qualcosa su di una persona. Ricordo l’anno scorso a Parigi, durante l’assegnazione di un premio inter­nazionale a cinque scienziate di fama mondiale. Una di loro veniva dagli Stati Uniti ed era un vero luminare nel suo campo. Si chiamava Mildred Dresselhaus, aveva una storia incredibile, una vitalità e una simpatia disarmanti, e una stima professionale internazio­nale da far impallidi­re qualsia­si persona tentata dalla presunzione. Bene: alla cerimonia ufficiale, al momento di ritirare il premio, è salita sul palco con un golf rosso qualsia­si, una gonnona nera e, soprattutto, scarpe da tennis nere e calzini bianchi che lasciavano scoperta la caviglia. Dopo tre secondi di silenzio, è esploso in tutta la sala un applauso fragoroso. Credo che la stima fosse anche per l’abbigliamen­to: non era sciatteria. Era qualcosa di più personale. Quella donna piena di intelligenza, cultura e umanità non aveva alcun pensiero su come vestirsi. Per lei gli abiti erano qualcosa di comodo e dignitoso in cui infilarsi. Aveva una libertà totale nei confron­ti dell’immagine, nel senso che non la sfiorava proprio l’idea di come apparire. Credo che quella sera a Parigi molte di noi, in tailleur e scarpine nere, l’abbiano invidiata con tutto il cuore.



 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017