IL PRIMATO DELLA GIUSTIZIA

Il vescovo di Timor Est, isola invasa dagli indonesiani, ha ricevuto dal sindaco di Padova il sigillo della città.
02 Settembre 1997 | di

Padova

Sant'Antonio era un uomo dei diritti umani e della pace. Non ci poteva essere luogo migliore della basilica del Santo di Padova per accogliere monsignor Carlos Filipe Ximenes Belo, premio Nobel per la pace 1996, vescovo di Dili, a Timor Est, una delle 13.600 isole dell'arcipelago indonesiano. Il vescovo, ospite dei francescani conventuali, ha parlato di pace e di giustizia davanti a una folta e attenta assemblea presente in basilica. 'Sono a Padova per pregare sulla tomba del Santo - ha detto monsignor Belo, dopo aver ricevuto dal sindaco, Flavio Zanonato, il sigillo della città  - . Chiedo al popolo italiano solidarietà  nei confronti del nostro popolo'.

Timor Est è stata invasa dalle truppe indonesiane nel 1975 e annessa all'Indonesia, fatto dichiarato illegittimo dalle Nazioni Unite e non riconosciuto dal Vaticano. La popolazione aveva allora dato vita a una forma di resistenza cui il governo indonesiano aveva risposto con una dura repressione: secondo Amnesty International, in vent'anni ci sono state dalle 100 mila alle 200 mila vittime. Una scia di sangue che non si è ancora interrotta.

Dietro la sua figura minuta, i suoi modi umili, carichi di simpatia, monsignor Belo nasconde una tempra fortissima, un uomo dalla carica disarmante. Sa di rischiare di persona per quanto fa in favore del suo popolo; 'ma un vescovo dev'essere pronto a morire per il suo popolo'. 'La chiesa afferma il vescovo di Dili - difende i diritti dell'uomo e l'identità  culturale, etnica e religiosa del popolo timorese'. Nel suo recente viaggio negli Stati Uniti, monsignor Belo ha incontrato il presidente Clinton, cui ha chiesto di fare pressione sul governo indonesiano affinché vengano rispettati i diritti umani a Timor Est. Partecipando all'incontro con trecento vescovi cattolici a Kansas City, Belo ha ringraziato la chiesa americana per il supporto dato alla sua comunità .

Msa. Monsignor Belo, cos'ha significato per lei il premio Nobel per la pace?

Belo. Un riconoscimento del mio lavoro di uomo di chiesa, che è quello di annunciare e porre in pratica il Vangelo di Gesù Cristo, il Vangelo della pace e della riconciliazione. Perciò devo continuare a lavorare per i diritti umani, per la diffusione dei valori religiosi, morali e spirituali nel mondo.

Com'è stato accolto questo riconoscimento dalla chiesa universale e, in particolare, dalla comunità  di Timor Est?

La mia gente ha vissuto con molta esultanza questa esperienza, soprattutto i giovani si sono dimostrati veramente gioiosi perché il premio è stato un riconoscimento internazionale della sofferenza del popolo di Timor.

Le ultime elezioni hanno aperto spiragli di luce e di speranza per il futuro del suo popolo, oppure hanno lasciato altri segnali negativi?

Credo che queste elezioni, volute dalle autorità  indonesiane, non abbiano contribuito a risolvere il problema di Timor. Sono state uno strumento utilizzato dall'Indonesia per legittimare l'annessione di Timor Est, forzando le coscienze per sostenere l'integrazione. Perciò posso dire che queste elezioni non hanno portato alcun segno si speranza.

Recentemente lei ha incontrato il nuovo segretario dell'Onu, il presidente dell'Irlanda, il ministro agli affari esteri della Gran Bretagna, il presidente del Portogallo e altre personalità  del mondo politico internazionale. Da questi incontri è emersa una nuova attenzione verso la situazione e i problemi tuttora aperti di Timor e del suo popolo?

Sì. Il premio Nobel per la pace e queste mie visite alle autorità , hanno acuito la sensibilità  verso il problema di Timor Est. Il nuovo segretario generale delle Nazioni Unite è ottimista e intende portare avanti il dialogo tra i timoresi. Proseguiranno inoltre gli incontri tra i due ministri per gli affari esteri del Portogallo e dell'Indonesia, per trovare una soluzione internazionalmente accettata al problema di Timor. Il presidente dell'Irlanda, la signora Robinson, appoggia senza riserve l'aspirazione del popolo di Timor Est. Il nuovo segretario del Foreign Office britannico si è impegnato personalmente per la difesa del rispetto dei diritti umani a Timor Est, e ha promesso che si adopererà  per proibire la vendita delle armi ai Paesi che le utilizzano contro le popolazioni civili e contro le democrazie.

Monsignor Belo, molto spesso le grandi potenze si muovono sotto la spinta di interessi economici - basti pensare al Kuwait - . Questo atteggiamento si è ripetuto anche nei confronti del suo Paese?

Senza dubbio. Sfortunatamente le grandi nazioni non hanno interessi economici o finanziari nei Paesi del terzo mondo; solo il rispetto dei diritti fondamentali e delle aspirazioni alla libertà  e alla pace dei popoli piccoli della terra li può far muovere. Se noi avessimo avuto petrolio in abbondanza, come il Kuwait, forse non ci sarebbe stata l'invasione di Timor Est. Solo di recente si è scoperto che il mare di Timor è ricco di petrolio, e infatti l'Indonesia e l'Australia hanno firmato un trattato per la sua estrazione. Adesso non si può dire che Timor Est sia povero, anzi, al contrario è ricco di minerali, caffè, petrolio. Però non vogliamo che l'aspetto economico sia la molla che spinge le grandi nazioni a interessarsi alla nostra situazione. Noi chiediamo un interesse per i diritti umani, per la pace, per la libertà .

Il fenomeno dell'emigrazione sta interessando anche Timor Est. Ma la vita di un Paese necessita di un ricambio generazionale, di un continuo inserimento delle sue forze giovani nelle attività  produttive: come bloccare la fuga di tanti giovani da Timor Est?

Sono preoccupato per l'esodo dei nostri giovani, perché perdiamo la forza fondamentale della nostra società . Allo stesso tempo, però, penso che ogni giovane abbia diritto di lasciare il Paese e di salvare la propria vita. A Timor vivono perseguitati dai servizi segreti. Ritengo comunque che sia importante che i timoresi rimangano nella loro nazione, perché la lotta si fa con le forze che abbiamo sul territorio.

Ci stiamo avvicinando al giubileo del 2000, un grande evento che la chiesa universale vuole vivere nel segno della riconciliazione. Lei vede il giubileo come un possibile traguardo che segni la realizzazione della pace per i cattolici del suo popolo?

I timoresi celebreranno con gioia questo grande giubileo e pregheranno per la pace e la riconciliazione. Però, per arrivare a una soluzione di pace e di riconciliazione è necessario che sia fatta giustizia per il popolo di Timor orientale.

Il 'Messaggero di sant'Antonio' e la Caritas antoniana hanno contribuito con un finanziamento per la realizzazione di un poliambulatorio a Manatuto. Cosa possiamo fare ancora per il suo popolo?

Ringrazio, anche a nome del popolo di Timor, per quanto il 'Messaggero di sant'Antonio' e la Caritas antoniana hanno fatto per noi. Al 'Messaggero', come rivista internazionale, chiedo di sensibilizzare le comunità  cattoliche sparse nel mondo al problema di Timor Est. Perché il problema di Timor deve essere conosciuto da tutti.

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017