Il primato della mediazione
Il dispiegamento in Libano, tra la fine dell’estate e questo inizio d’autunno, dei caschi blu dell’Onu, con il contributo determinante dell’Italia, è un’occasione offerta alla pace e, in qualche modo, un avvenimento storico. Significativa, in questo senso, è stata l’opinione della Santa Sede che ha espresso soddisfazione per la decisione di rafforzare l’Unifil, la missione dell’Onu in Libano.
Il conseguimento della tregua e l’obiettivo della pace sono stati oggetto di diversi interventi di Benedetto XVI durante i giorni del grave conflitto in Medio Oriente. Come suo ambasciatore di pace e messaggero di riconciliazione, martedì 15 agosto, solennità dell’Assunta, il cardinale Roger Etchegaray era in Libano per celebrare l’Eucaristia nel santuario mariano nazionale di Harissa e incontrare poi le autorità e i rappresentanti delle diverse religioni, come segno del sollecito coinvolgimento della Santa Sede nella tormentata vicenda che aveva colpito il Paese. Queste testimonianze di umanità e queste affermazioni del diritto d’ogni popolo al bene supremo della pace, sono state accompagnate da un forte impegno delle Caritas del Medio Oriente e in modo particolare della Caritas italiana per aiutare gli sfollati e bloccare l’esodo di tanti cristiani dalla loro terra.
Nonostante le preoccupazioni che suscita ogni operazione militare, l’attuazione della risoluzione 1701 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’11 agosto scorso, si configura come un’assunzione di responsabilità della comunità internazionale e, segnatamente dell’Unione europea. Di più: l’accettazione da parte israeliana della tregua e soprattutto quella, sia pure con molti distinguo e riserve, di affidare la difesa dei suoi confini e del suo territorio non esclusivamente al proprio dispositivo militare, ma all’intervento di una forza dell’Onu, costituiscono un precedente significativo che potrebbe preludere a importanti sviluppi nello sforzo generale di restituire la pace al Medio Oriente e, in particolare, a quella terra che considerano santa i fedeli delle tre religioni abramitiche: l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam.
Al tempo stesso, quella in Libano è la prima missione dell’Onu di segno fondamentalmente europeo. L’Unione europea ha infatti fornito all’Unifil, oltre a un’imponente forza aeronavale, circa 7 mila caschi blu. È dunque l’Europa a costituire il cuore della forza internazionale, come si è espresso l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Javier Solana, in una missione che potrebbe segnare una svolta nella politica europea in Medio Oriente. Un aspetto, questo, colto dal Ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, secondo il quale un successo della missione in Libano potrebbe aprire la via ad un analogo impegno nella Striscia di Gaza.
Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha parlato, a proposito della scelta europea, di «un successo» che potrebbe offrire «un’opportunità unica per trasformare la cessazione delle ostilità in un cessate-il-fuoco duraturo». Kofi Annan ha detto che le decisioni europee permettono di dispiegare una «forza credibile» e si è congratulato esplicitamente, in particolare, con il presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, con il presidente francese Jacques Chirac, e con il Governo spagnolo, «che hanno deciso di assumersi queste responsabilità».
Di tale risultato positivo va riconosciuto il merito, tra gli altri attori, proprio al Governo italiano, che ha saputo condurre una rilevante operazione diplomatica offrendo un altrettanto importante contributo all’impegno internazionale volto ad aiutare il Governo libanese a riprendere il controllo di tutto il suo territorio, in vista del consolidamento della tregua e di quella pace giusta e duratura che è negli auspici di tutti. La scelta e la prassi multilaterale mostrate dal Governo italiano nella complessa gestione del confronto sulla crisi libanese sia all’interno dell’Ue, sia nel più generale contesto dell’Onu, sia con i Governi di Israele e del Libano, sono stati coronati da un successo che sarebbe miope negare. L’Italia, che negli ultimi anni era apparsa spesso in dissonanza con le scelte europee, che talora era apparsa in palese e persino teorizzata contrapposizione con il mondo islamico, e che aveva sostenuto anche interventi armati senza l’esplicito avallo dell’Onu, in questa vicenda ha saputo recuperare non solo una forte identità europea – consolidandola anche in altri Paesi apparsi all’inizio ondivaghi se non titubanti – ma anche un ruolo di credibile interlocutore per i Paesi della riva Sud del Mediterraneo che da troppo tempo appariva appannato.
Un riconoscimento del ruolo italiano è venuto anche dal modo con il quale Kofi Annan ha sciolto il nodo del comando della missione, annunciando che la Francia lo terrà fino al febbraio 2007, quando l'attuale comandante, il generale Alain Pellegrini, lo cederà a un generale italiano. L'Italia, nel frattempo, ha già assunto la guida, con il generale Fabrizio Castagnetti, della «cellula strategica» che è stata costituita a New York presso il Dipartimento per le operazioni di peacekeeping (Dpko) dell'Onu, cioè una sorta di direzione amministrativa che viene sperimentata per la prima volta con il compito di rafforzare la catena di comando, e di evitare gli indugi fatali di passate missioni dell'Onu.