Il re dei baritoni

Sacrifici, passione e uno splendido timbro vocale hanno fatto del baritono veneto uno dei cantanti più richiesti. Il 18 febbraio terrà un concerto nella basilica del Santo per i cent’anni del
13 Febbraio 1998 | di

Doti vocali, indole combattiva, volontà  ferrea: questa la chiave del successo di Renato Bruson, il 're dei baritoni', che quest'anno ha inaugurato la stagione lirica della Scala di Milano con il Macbeth di Giuseppe Verdi. Un momento importante della carriera del grande baritono veneto, maturata, come lui stesso ci ha confidato, in anni di sacrifici e fatiche.

Msa. Lei non ha mai nascosto di avere attraversato un'infanzia difficile e di aver molto sofferto per arrivare al successo. Ci racconti come è andata...

Bruson. È vero, ho faticato molto per arrivare sin qui. Da bambino non ho avuto a portata di mano i mezzi per coltivare la mia passione per la musica e le potenzialità  della mia voce. Credo di aver ereditato l'amore per la musica da mia madre, morta quando avevo appena otto anni: è stata lei a spingermi ad entrare nel coro parrocchiale, dove ho fatto le mie prime esperienze musicali. Quando decisi di affrontare l'audizione per entrare al conservatorio di Padova, non sapevo come avrei potuto mantenermi agli studi. La mia audacia è stata premiata. Pochi mesi prima dell'audizione venni chiamato dal direttore del conservatorio, Arrigo Pedrollo, e dalla signora Elena Cerati, la mia futura insegnante: mi annunciarono che mi era stata conferita la borsa di studio che mi avrebbe permesso di frequentare i corsi. Grazie a quell'opportunità , ho iniziato a studiare canto. Non avevo però risolto i problemi con la mia famiglia, che continuava a considerarmi uno che non aveva voglia di lavorare. Nell'ambiente contadino di allora, se uno lavorava aveva un'avvenire, se si metteva a studiare, specialmente musica, era considerato un fallito, che non avrebbe mai trovato uno sbocco nella vita.

La musica, quindi, l'ha allontanata dalla sua famiglia?

No. Io ho continuato gli studi con l'aiuto dell'amministrazione del conservatorio, ma continuavo a vivere in famiglia. Solo al ritorno dal servizio militare mio padre, credo sotto la spinta della mia matrigna, che era una donna molto legata ai soldi, mi ha detto che non poteva più mantenermi, e mi ha invitato a trovarmi un lavoro. Mio padre era un uomo buono, ma troppo succube della mia matrigna. Anche in questo caso, però, vennero in mio aiuto altre persone. Al conservatorio avevo confidato la mia situazione a un amico: questi ne parlò con la mamma e i fratelli (il papà  era morto) i quali decisero di accogliermi nella loro famiglia. Da quel momento i Berto sono stati la mia famiglia, lì ho trovato l'affetto materno che mi era mancato, sono stato trattato davvero come un figlio, come un fratello.

Lei è uno che si è fatto da sé, che ha saputo costruirsi una brillante carriera nonostante tante difficoltà . Da dove le viene questa determinazione?

Le difficoltà  vissute da bambino mi hanno temprato. Poi ci sono doti innate, una certa testardaggine che mi permette di continuare ancora a studiare per migliorare la mia preparazione non solo nel canto, ma anche nella recitazione.

Il 7 dicembre è stato protagonista del Macbeth di Verdi, che ha inaugurato la stagione lirica alla Scala, il teatro più prestigioso del mondo. Che significato ha avuto questo evento nella sua carriera?

Per me è stato un eccezionale punto d'arrivo: nessun collega, prima di me, aveva inaugurato a sessantadue anni la stagione della Scala con un'opera così impegnativa come Macbeth, oppure in ruoli da protagonista. Se smettessi di cantare ora, potrei dire di aver concluso in modo eccellente la mia carriera.

Lei ha interpretato Macbeth circa quattrocento volte. Come mai questa palese preferenza per il tormentato personaggio di Shakespeare?

Non è stata una mia scelta. Sono stati i teatri a offrirmi di interpretare questo personaggio. Ma mi sono esibito anche in Rigoletto, Don Carlos, Simon Boccanegra... In verità , ho iniziato la carriera interpretando opere di Donizzetti. Verdi è venuto dopo, ma certamente Donizzetti mi ha aiutato a passare al linguaggio verdiano.

Lei viene definito da molti critici il 're dei baritoni'. Qual è il ruolo del baritono nelle opere? Quali i personaggi che di solito gli vengono affidati?

Di solito si affida al timbro baritonale il ruolo del padre o del marito tradito. Nell'80 per cento della produzione verdiana il baritono è il padre. È una chiave molto intensa, che Verdi sentiva molto, forse perché aveva anche lui una voce baritonale: le più belle pagine per questa voce le ha scritte lui.

Se dovesse dare un consiglio a un giovane che voglia intraprendere la carriera di cantante lirico, cosa gli direbbe?

Innanzitutto gli direi di mantenere una buona dose di umiltà . Poi di armarsi di pazienza, perché la carriera richiede tempi lunghi. Canto da trentasette anni, ma continuo ancora a studiare, a cercare di migliorarmi. Se una persona vuole fare qualcosa d'importante nella vita, deve sempre avere pazienza ed essere disposto ad affrontare sacrifici, dispiaceri e angherie, perché le persone invidiose, che lottano contro di te, non mancano mai, come in ogni professione.

Che ne dice delle critiche che negli ultimi tempi vengono avanzate nei confronti dei direttori d'orchestra, giudicati un po' troppo 'protagonisti'?

I direttori d'orchestra, come i registi, sono diventati dei 'divi': sono loro a decidere tutto. Non trovo questo giusto, perché anche l'artista nell'interpretazione di un ruolo deve potersi esprimere. Invece oggi l'artista deve sottomettersi al volere del regista e del direttore d'orchestra. Guardate una locandina: il nome degli interpreti è scritto con caratteri piccoli, quello del regista e del direttore d'orchestra con caratteri più grandi di quello dello stesso Verdi.

Cos'è per lei la fede e che ruolo ha nella sua vita?

Credo sia molto importante. Secondo me una persona senza fede è interiormente povera. Io non frequento assiduamente la chiesa per gli impegni legati alla mia professione, che non mi concedono molti spazi. Ma se mi capita di passare davanti a una chiesa, in qualsiasi parte del mondo e ho qualche minuto libero, entro volentieri. La fede mi ha sempre aiutato.

Non è facile dare una definizione di Dio; ma per lei chi è Dio?

Posso rispondere che è colui che mi ha dato la mia bella voce.

Il 18 febbraio lei terrà  un concerto nella basilica del Santo. Che significato ha per lei questo evento?

Non ho mai cantato in basilica e quando mi è stato proposto di farlo ho addirittura pensato che fosse una cosa, non so, impropria. Sono stato tante volte al Santo, ma come semplice devoto. È certamente una cosa bellissima ed emozionante cantare in questo grande santuario famoso in tutto il mondo.

(* sostituisce per questo numero Gianpietro Zatti)

Renato Bruson, contro i direttori d'orchestra che decidono tutto, rivendica all artista il diritto di potersi esprimere nella interpretazione di un ruolo.

Sono sempre stato un devoto di sant'Antonio. Nelle zone di campagna dove sono cresciuto, la devozione al Santo è molto diffusa. Ricordo quando, da bambino, mi portavano alla festa di sant'Antonio: tutto il paese partecipava e anche quelli che di solito non andavano a messa, quel giorno c'erano. Per lavoro viaggio molto e mi accorgo di quanto sia amato e conosciuto sant'Antonio nel mondo. Quando dico che sono di Padova, immediatamente il nome della città  richiama la figura di sant'Antonio.

Al 'Messaggero di sant'Antonio', che festeggia i cent'anni di vita, auguro di continuare la sua missione ancora per secoli, mantenendo la capacità  di rinnovarsi sempre, perché una rivista deve sapersi adeguare ai tempi. E poi di aumentare la vostra tiratura, per far giungere in tutte le case del mondo la vostra parola, la parola di sant'Antonio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017