Il rettore convertito dai devoti

L’intensa settimana di Ostensione vista dal rettore della Basilica, padre Enzo Poiana.
24 Febbraio 2010 | di


Msa. Vi aspettavate un numero così grande di fedeli?

Poiana. Pensavo che i primi tre giorni della settimana i devoti sarebbero stati meno numerosi e che sarebbero aumentati venerdì e sabato, invece abbiamo avuto una piacevole sorpresa… Ma la sorpresa più grande è stata la qualità dei pellegrini e del pellegrinaggio. La gente non protestava, sopportava pazientemente la fatica della fila: era commovente vedere certe persone disabili che rinunciavano al pass predisposto per loro e volevano percorrere normalmente l’itinerario. È stato un lungo pellegrinaggio silenzioso, orante, fin dentro alla Basilica. Leggendo, pregando, meditando.

Come mai è stata decisa l’Ostensione?

Tutto è nato dalla necessità di eseguire i restauri della Cappella dell’Arca, nel 2008. Allora abbiamo trasferito la cassa con il corpo di sant’Antonio in forma privata e questo aveva suscitato il malessere di tanti devoti che hanno scritto o telefonato chiedendo perché non avessimo ammesso anche i fedeli. Poi, a lavori ultimati, ancora su sollecitazione dei devoti, è nata l’esigenza di interrogarsi su una possibile Ostensione. Alla fine è prevalso il buon senso e l’Ostensione c’è stata. Anche se comunque 200 mila persone non sono che una piccola parte di quanti avrebbero voluto venire.

È arrivato qualcuno che lei non aspettava?

Non immaginavo di vedere così tanta gente in precarie condizioni di salute. Una sorpresa, del tutto personale, è stata la visita di mia madre: in questi quattro anni, da quando sono rettore della Basilica, per motivi di salute, non era mai venuta a trovarmi. Il Santo è riuscito a smuoverla e allora io l’ho rimproverata bonariamente: «Mamma, allora vuol dire che sant’Antonio è più importante di me». E lei mi ha detto: «Sì. Sì». Lei è come tutte le persone che vivono una fede semplice: hanno una capacità di abbandono in Dio e percepiscono questa vicinanza, questa intercessione del Santo. Lo sentono una presenza amica, che vale più di un figlio. E infatti alla fine mia madre mi ha detto: «Sant’Antonio è l’amico al quale affidare anche il figlio». Mia mamma, che di solito fa fatica a camminare, è arrivata al Santo con le sue gambe e quando è tornata a casa ha detto di non sentire la stanchezza.

C’è qualche altro incontro che è stato per lei particolarmente significativo?

Parecchi. Ogni tanto uscivo e andavo sulla piazza a vedere come stavano i pellegrini che erano in fila. Tutti avevano qualcosa per cui ringraziare e qualcuno da affidare. La maggior parte di questi pellegrini non è venuta per curiosità, ma per un atto di amore. Uno mi ha gridato, all’uscita dalla Cappella delle Reliquie: «Padre, ero destinato a morire. Se sono qui lo devo a sant’Antonio. Mia madre mi ha affidato al Santo».

La gente cosa va a vedere?

Se noi giudichiamo razionalmente, i pellegrini vanno a vedere le ossa di un morto, vanno lì e riconoscono la condizione mortale di ogni uomo. Sono però persone che il più delle volte hanno fatto esperienza della presenza viva di sant’Antonio e quindi vanno a vedere la condizione mortale di un Santo sapendo che non è tutto lì. Un fedele che ottiene una grazia dice che sant’Antonio è vivo, quindi c’è speranza per tutti. In tempi in cui la speranza tante volte è oscurata, non è male.
I santi sono dei mediatori perché perfettamente inseriti in Cristo.

Com’è il suo rapporto personale con sant’Antonio?

Fino al 2005 il mio rapporto con sant’Antonio era superficiale, ne conoscevo la vita, ma non avevo mai approfondito i Sermoni o la teologia di sant’Antonio.

Ho l’impressione che il Santo abbia fatto un miracolo anche su di me, chiamandomi a fare il rettore della Basilica. In quattro anni il mio rapporto con sant’Antonio è cambiato moltissimo. Sono stati i pellegrini il mezzo attraverso il quale è avvenuto questo cambiamento. Mi hanno fatto scoprire una verità nuova su Antonio. Prima non avevo la percezione del suo essere presente e amico: sono stati i fedeli, i devoti che, con le loro storie e testimonianze, mi hanno fatto capire, per esempio, che la fede deve coinvolgere interamente tutto il nostro essere. Alla fine del mio primo anno come rettore della Basilica di sant’Antonio ho detto ai pellegrini: «Voi avete convertito anche il rettore alla devozione. Mi avete insegnato a esprimere la fede con il cuore, che è un atteggiamento profondamente francescano».

Che cosa chiedono ai frati i pellegrini?

Chiedono la confessione e di essere accompagnati spiritualmente con la preghiera. Noi preghiamo per tutti coloro che si affidano a noi. Tante persone si sentono sollevate per il fatto di essere ricordate in Basilica. Ci telefonano anche tanti anziani soli, persone disperate che chiedono una benedizione.

Che cosa ci insegna oggi sant’Antonio?

Tante persone lottano per una società più giusta, eppure non c’è nulla di giusto sotto il sole se è opera solo dell’uomo. Questo ci insegna che la giustizia, l’amore fraterno, la carità, le nostre relazioni, l’attenzione agli altri – specialmente ai più poveri – possono nascere e sono vere solo se vengono da un cuore ricolmo di fede.

Sant’Antonio usa nei Sermoni toni duri specialmente coi preti; ma lo fa per scuotere le coscienze affinché si radichi l’annuncio del vangelo nel cuore dell’uomo. Perché solo così nasce la vera fede, che non è pura osservanza dei precetti ma è, prima di tutto, un rimanere estasiati di fronte a un amore che ci previene e ci accompagna.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017