Il ruolo degli italici nella glocalizzazione

«Oggi occorre fare ponte tra italici nel mondo e italiani. Dobbiamo essere capaci di portare il mondo in Parlamento ed essere di casa nel mondo».
21 Giugno 2006 | di

Bettero. Lei va sostenendo da tempo il concetto di glocalizzazione.
Bassetti.
Sì, credo di aver capito, assieme a molti altri, che la glocalizzazione era il vero fenomeno che si affacciava sulla storia dell’umanità. Il mondo sta cambiando radicalmente perché ogni fatto locale del pianeta partecipa a ciò che avviene nel globo, cioè nel mondo globale, e ogni fatto globale condiziona tutti i fatti locali; cioè nel globale ci sono tutti i locali, ma tutto il globale è anche in ogni locale. E questo senza mediazione perché non ci sono più i confini. Il mondo ci viene in casa senza che noi possiamo chiuderlo fuori, e per noi occorre saper essere di casa nel mondo senza la speranza di condizionare il contesto nel quale siamo sfidati. Per questo non ci basta più l’italiano e dobbiamo parlare la lingua del mondo, cioè l’inglese. Questa è la differenza tra un mondo glocale e un mondo internazionale. Il mondo internazionale aveva i confini e le frontiere che ci proteggevano, il mondo glocale ci butta nel mondo senza protezione, ma con la possibilità di un’integrazione.
L’Italia sta vivendo una congiuntura economica negativa. In che modo, secondo lei, il glocalismo può aiutare il nostro Paese a rimettersi in moto evitando quel forte rischio di marginalizzazione a cui sembra condannato sia dall’incalzare di nuove potenze economiche planetarie, come quelle asiatiche, sia dallo stato di empasse dell’Europa e dalla trasformazione stessa del tessuto sociale e culturale dell’occidente?
Con un ragionamento che stenta ad essere capito ma che è semplicissimo: noi siamo 57 milioni di italiani. Al limite, fuori d’Italia, veri italiani ce ne sono 4 o 5 milioni. Ecco, noi contiamo per questi 60 milioni di persone. Se, invece, ci ricordiamo di essere partecipi di una grande civilizzazione che è la civilizzazione che io chiamo «italica» per distinguerla da quella «italiana» – alla quale partecipano ormai 250 milioni di persone: i trenta o quaranta milioni di italici dell’America del Nord, la quarantina di milioni dell’America Latina, gli italici d’Australia e d’Europa (molti dei quali non sanno più l’italiano; hanno il passaporto americano, canadese, tedesco, ma non quello italiano) – se, dicevo, ce ne ricordiamo e sappiamo «agganciarli al carro» di questa nostra italicità, noi possiamo contare nel mondo molto di più di quello che contiamo con la nostra sola storia repubblicana. Non dimentichiamoci che Roma, Firenze, Venezia, Napoli rappresentano meglio e da più tempo, nel mondo, i simboli della nostra storia repubblicana! Questa è la sfida che noi, come Globus et Locus, lanciamo. Se riusciamo ad unire gli italici nel mondo, a farli sentire appartenenti anche a questa dimensione oltre che alla loro di statunitensi, canadesi, australiani, ecc., allora questo sistema di valori, che è la nostra tradizione, la nostra storia, la nostra civiltà, può contare moltissimo nel mondo.
Quanto e in che modo il patrimonio culturale di ognuno di noi – che è poi l’identità locale, l’identità nazionale – può imporsi in uno scenario internazionale che, però, i mass media e la geopolitica tendono ogni giorno ad omologare e a massificare?
I mass media omologano e massificano, è vero. Ma è altrettanto vero che scoprono anche delle comunanze. I mass media, per esempio, partono dalla cucina, dalla Ferrari, dal calcio, da Dante, dalla Lollobrigida o da Sofia Loren, cioè dalle cose più dirette, per non parlare poi del Vaticano. Quando io sono andato in America, nel 1951, dell’Italia sapevano solo che c’erano Roma e il Papa. Tutte queste dimensioni, che non sono le nostre dimensioni di Stato-nazione ma della nostra grande tradizione di civiltà, si affermano più facilmente in una società massificata perché sono valori che non viaggiano sui binari della diplomazia o delle forze armate, o di una politica di potenza anche industriale, ma viaggiano sui binari di una politica di valori in cui noi siamo effettivamente più forti.
Com’è destinato a cambiare l’associazionismo italiano nel mondo?
Secondo me è destinato a cambiare radicalmente. Innanzitutto perché l’appartenenza all’italicità è diversa dall’appartenenza all’italianità. Gran parte del nostro associazionismo all’estero è nato per tutelare la presenza dei nostri connazionali senza protezioni né tutele. Oggi, invece, noi abbiamo bisogno di un associazionismo che aiuti a saldare l’italiano con l’italico e, quindi, di associazioni che facciano da ponte tra quegli italici che ormai si sono allontanati dall’italianità in quanto tale, e quegli italiani che, invece, sono vicini alla dimensione della nostra Repubblica.
Gli italiani nel mondo possono essere protagonisti della glocalizzazione?
Possono esserlo se capiscono che nel mondo glocale non si ha più una sola appartenenza. Non ha più molto senso cercare di farsi apprezzare in quanto italiani, con passaporto italiano negli Stati Uniti o in Argentina, ma si tratta di capire che in un mondo in cui si intrecciano diverse e varie pluriappartenenze, si può essere contestualmente americano puro, americano d’origine italiana, italiano negli Stati Uniti, italiano in Italia che lavora con gli Stati Uniti, ecc. In questa pluralità di appartenenze, se noi sapremo assumere i differenti ruoli, allora potremo ottenere molti vantaggi perché, per esempio, il parlamentare eletto in Canada può rappresentare le istanze non solo degli italiani in Canada ma anche di tutti i canadesi d’origine italiana. Ciò significa portare nel Parlamento italiano la sensibilità di un grande Paese. Se noi sapremo giocare su questo sistema di pluriappartenenze, e quindi di pluralità di ruoli che il mondo glocale ci obbliga a vivere, essendo anche lombardi, piemontesi o soltanto mantovani, allora ritroveremo la forza delle nostre tradizioni che sono da sempre glocali perché noi siamo il Paese dei campanili, dei municipi, ma siamo anche il Paese dell’universalismo cattolico. Noi abbiamo nel sangue l’abitudine ad essere locali e, nello stesso tempo, ad essere universali.
La conquista del voto in loco per gli italiani all’estero è stata una tappa importante nella storia della Repubblica. Ora i neo-eletti nella Circoscrizione estero come possono essere i veri ambasciatori dell’Italia nel mondo oltre che i rappresentanti dei nostri connazionali all’estero nel Parlamento italiano?
Possono esserlo ad una condizione: se fanno lo sforzo di capire qual è il loro vero ruolo, che non è quello di reggere lo strascico alle forze politiche italiane che rappresentano circoscrizioni che sono tutte sul territorio italiano, ma ricordandosi di avere delle circoscrizioni gigantesche. Non possono fare riferimento ad un dato territoriale, devono capire che il loro modo di agire non può che essere diverso da quello che fa il parlamentare rappresentando Verona o un altro collegio. Se capiranno questo, diventeranno insostituibili nell’arricchire il Parlamento italiano delle problematiche del mondo, e per portare l’Italia nel mondo che loro rappresentano, ancorché articolato in sette Circoscrizioni. Infatti, il Parlamento italiano – io ci ho fatto parte per due legislature – tende ad essere nazionalistico e provinciale, e all’estero non si sa niente dell’Italia. Supplire a queste due carenze può essere un compito storico.
Quali iniziative e progetti ha in atto l’Associazione Globus et Locus per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della glocalizzazione?
La nostra è un’Associazione che svolge sia un’attività culturale sia di ricerca e un’attività progettuale. Stiamo lavorando in questo momento a progetti estremamente ambiziosi. Il primo riguarda il modo in cui la glocalizzazione sfida i metodi di governo: non si governa un mondo glocale come si governava un mondo internazionale. C’è una proposta imperiale che viene dagli Stati Uniti che è la vecchia proposta dell’unità dell’impero. Secondo noi, questo tipo di governo non è più adatto ai tempi, ma non c’è nessuna proposta alternativa ad esso. L’unica area del mondo a fare esperienze interessanti è l’Europa che sta proponendo il superamento degli stati nazionali con modalità nuove. Il secondo progetto si sintetizza in uno slogan: «Italici di tutto il mondo unitevi!». Noi stiamo lavorando perché venga recepito il concetto di italicità, perché si capisca che si può costruire una comunità di italici che può avere un’importanza storico-politica enorme. Il nostro obiettivo consiste nel favorire quest’unificazione. Poi abbiamo tre progetti che toccano l’impatto della glocalizzazione sulle tre grandi mobilità: la mobilità delle cose, la mobilità delle persone e la mobilità dei segni cioè dell’informazione. Noi vorremmo sensibilizzare soprattutto i nostri soci, che sono tutti «nuovi attori del nuovo mondo», a sviluppare azioni coerenti con la nuova logica del glocale.

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017