Il siciliano a scuola

Voce e linguaggio del corpo, ma anche ccultura e tradizioni. Gina Vutera, con un brillante curriculum internazionale, ha portato nella Grande Mela una ventata di genuina italianità.
17 Settembre 2007 | di

New York

Èpossibile insegnare il siciliano negli Stati Uniti? Gina Vutera, italiana che da anni vive a New York non solo risponde di sì, ma ha anche messo in pratica l’originale docenza. La donna – i cui genitori sono entrambi siciliani – ha tenuto un corso di 13 lezioni alla New School, riscuotendo grande successo. Una lezione era dedicata al teatro e alle due grandi scuole teatrali siciliane – quella catanese e quella dei pupari. Un’altra, invece, trattava le tradizioni culinarie della terra dell’arancino, della granita e di mille altre prelibatezze. In una terza lezione, agli studenti venivano portati i cimeli della nonna di Gina, spiegando costumi e aneddoti dell’isola. Altre lezioni erano dedicate al canto e al ballo siciliani, conosciute fuori dall’Italia grazie a dischi, radio e film. Un appuntamento all’università riguardava la mafia e questo non ha mancato di suscitare le preoccupazioni di chi temeva che l’idea dell’italianità all’estero fosse legata a quella di Cosa Nostra.

«Chi viene da una cultura migrante – spiega la docente – è naturalmente portato dalla sua particolare situazione a “tradurre” da un contesto all’altro». E la professoressa viene proprio da una cultura migrante, da una vita segnata dagli spostamenti da un contesto all’altro. La mamma di Gina viene da una famiglia di pescatori di Trapani mentre il papà è di Palermo. A tre anni, la figlia comincia a rendersi conto delle differenze linguistiche grazie ad una parola non proprio aulica: ciò che per i palermitani è il «gabinetto», i trapanesi lo chiamano «cesso». Comincia così un’avventura linguistica che si fa ancora più complessa quando la ragazza capisce che la società dove vive la sua famiglia non parla italiano, bensì francese, perché entrambi i genitori sono figli di emigrati siciliani che erano andati in Belgio per un accordo firmato il 23 giugno 1946: Roma riceveva un minimo di 2.500 tonnellate di carbone da Bruxelles ogni 1.000 operai inviati. Ancora oggi nella regione belga della Vallonia vivono più di 200 mila italiani. Gina cresce parlando francese, italiano e ben due dialetti siciliani.

Dopo qualche anno, la famiglia Vutera si trasferisce in Veneto, a Spagnago, vicino a Valdagno e a Cornedo vicentino, per impegni del lavoro del padre, un ingegnere meccanico. Anche se italiana, la ragazza si sente «straniera in patria» ma con il dono delle lingue. «La Gina che parlava francese si atteggiava e comportava in maniera differente rispetto alla Gina che parlava italiano» ricorda la docente spiegando di aver studiato come la gente non solo usi e lingue differenti, ma anche linguaggi del corpo diversi, fenomeno che avrebbe notato insegnando il francese, l’italiano e lo spagnolo negli Stati Uniti: «Si poteva sentire una differenza fisica tre le varie classi» racconta la Vutera.

Dopo gli studi in Italia, Gina torna a Bruxelles per laurearsi in Lingue e relazioni internazionali. L’ambiente europeo e la sua storia familiare le hanno già tracciato la strada per una brillante carriera diplomatica. E, infatti, la Vutera si ritrova a lavorare a fianco di Jacques Delors, che – quando lei non aveva compiuto 30 anni – la fa trasferire a Londra, dove diventa presto un «ufficiale di collegamento» per gli affari commerciali tra l’Europa e la Gran Bretagna. «Come giovane addetto stampa – racconta Gina – dovevo fare pubblicità all’Unione europea in Inghilterra cercando di convincere un Paese che tuttora rimane scettico. La brillante carriera di Gina continua per due anni e mezzo in uno stimolante via vai tra Londra e Bruxelles. Ma nell’estate del 1989, durante un viaggio a New York per trovare il fratello musicista, si innamora della Grande Mela, la stessa città che i suoi antenati italiani, come racconta il film Nuovomondo di Emanuele Crialese, avevano negli occhi quando arrivavano a Ellis Island, l’isola degli emigrati negli Stati Uniti. Anche la Vutera, decisa a rimanere in America, è andata all’immigrazione, dicendo: «Voglio lavorare qui». «Che puoi fare?», gli hanno chiesto. «Posso insegnare», ha risposto lei. E così, dopo tre mesi di prova, Gina era docente di italiano, francese, spagnolo e inglese, ottenendo immediatamente la mitica carta verde che permette di vivere negli Stati Uniti. Anche in questo caso, una carriera folgorante.

La professoressa si propone quindi alla New School e alla New York University. Un lavoro duro, doppio o triplo: bisogna pensare contemporaneamente alle lezioni pubbliche e agli studenti privati. «Ma mi piace quello che faccio» dice Gina, tanto appassionata all’insegnamento che ha cominciato a preparare il corso di siciliano, studiato a lungo dalla docente in ogni suo dettaglio storico, geografico e linguistico. La Vutera ha parlato con diversi scrittori siciliani e ha studiato la geografia di Palermo. La preparazione ha richiesto ben quattro anni ed è stata frutto di «amore, passione, curiosità, studio e ricerca intellettuale». Il corso era rivolto a chi aveva già una conoscenza basilare dell’italiano. E alcuni attori di Hollywood venivano al corso per essere più accurati nella recitazione di ruoli italo-americani. «Uno di loro mi si è avvicinato in lacrime e mi ha detto che a lezione ha rivisto sua nonna», racconta Gina.

Il corso è stato anche un’occasione per riflettere sugli italiani che vivono in America e che, come spiega la docente, hanno una peculiarità rispetto a tutti gli altri immigrati in giro per il mondo: la distanza. «E io, da figlia di immigrati, ce l’ho nell’anima – racconta la Vutera – spesso gli americani si dicono “italiani” per una questione di valori condivisi. In questo senso apprezzo molto Sandro Pertini, presidente della Repubblica che ha riconosciuto che il governo italiano aveva abbandonato i suoi cittadini perché non aveva provveduto a dare loro un lavoro. Eppure la Repubblica italiana è fondata proprio sul lavoro».

In diciassette anni di insegnamento, la professoressa Vutera ha incontrato molti studenti, spesso musicisti o esperti d’arte: in entrambi i casi conoscere l’italiano è particolarmente utile. Cosa accomuna chi frequenta le lezioni di Gina? «La ricerca delle proprie radici – risponde la professoressa – d’altra parte si impara per conoscere se stessi». Ed essere italiani, secondo Gina, vuol dire «essere gregari e avere il senso del bello, fino all’estremo».

Ma dopo tutti questi anni vissuti all’estero, la professoressa Vutera si sente ancora italiana? «So di essere italiana – risponde la docente – e in particolare sono legata al Veneto, il cui dialetto mi è sempre rimasto nel cuore: è la lingua del mio primo moroso, della prima cotta, mentre l’italiano è stato imposto dalla maestra». Il francese, invece, è la lingua della famiglia, quella che tuttora usa per parlare con il fratello, anche se il dialetto veneto serve quando non vogliono che altri capiscano cosa si stanno dicendo. Quello che spinge Gina ad insegnare le lingue, ad essere continuamente un ponte tra le culture è il desiderio di riprendere un «dialogo culturale e familiare, legato a valori, cibo, cose quotidiane». Ed è quanto Gina continua a vivere anche se è lontana migliaia di chilometri dalla Sicilia, dal Veneto o dal Belgio. Lo vive in un quartiere di Brooklyn, Carroll Gardens, dove si ritrova in un piccolo quartiere italiano dove si passa il tempo a parlare con i vicini di casa. Infatiocabile, Gina ha deciso di continuare la sua attività di insegnamento anche all'interno di questa comunità e ogni martedi - a titolo assolutamente gratuito - offre lezioni di lingua e cultura siciliana, magari con la visione di film d'argomento siciliano come La terra trema, Caos, Il gattopardo. Lezioni, cimeli, conversazioni, film: tutto questo, spiega Gina, aiuta a ritrovare «il proprio cordone ombelicale» che attraversa l'Atlantico e arriva fino ad un isola nel Mediterraneo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017