Il tempo della Chiesa
Alla Chiesa viene spesso rimproverato di non essere in dialogo con il tempo presente, ma di predicare sempre spostata su tempi eterni e immutabili che le impediscono di capire l’oggi e di adattare alle esigenze del momento dogmi e precetti morali. Capita non di rado di sentire frasi come «la Chiesa non ha ancora accettato il controllo delle nascite», oppure «non ha ancora accettato le donne sacerdote», come se si trattasse di uno scollamento temporale che deve essere sanato e che probabilmente, magari con un altro Papa, lo sarà. Nella nostra epoca c’è una difficoltà particolare a comprendere il tempo su cui si muove la Chiesa, forse perché è – oggi come non mai – diverso da quello del mondo secolarizzato. Diverso sul piano non solo spirituale e teologico, ma anche su quello storico: la Chiesa è l’unica istituzione al mondo che ha radici bimillenarie e quindi può permettersi di riflettere su tempi molto lunghi, quali altre istituzioni ben più recenti non riescono neppure a concepire.
Per la dottrina cattolica, poi, la Chiesa fondata da Gesù è ispirata dallo Spirito Santo, e da questo deriva una speranza di durata altrettanto lunga, molto diversa dalle aspettative delle istituzioni umane, che storicamente non superano di solito il secolo.
Senza parlare della breve durata della vita umana rispetto a quella dei credenti come parte del «corpo mistico» della Chiesa, che non ha confronti storici possibili. Alla durata storica terrena, infatti, la Chiesa aggiunge quella eterna che, secondo la tradizione cristiana, ci aspetta dopo la morte e che apre la sua visione del futuro a una speranza e a una fiducia senza paragoni. Soprattutto non vi sono possibilità di confronti nel mondo secolarizzato di oggi, in cui il non pensare al di là della morte di ciascuno, cioè della durata della vita umana, ha portato a una sostanziale cancellazione della tensione verso il futuro. Una delle caratteristiche del nostro mondo è infatti la totale assenza di interesse per il futuro: lo percepiamo dall’andamento demografico – in calo in Europa occidentale –, dal saccheggio delle risorse del pianeta – come se altri dopo di noi non dovessero sopravvivere –, dalla mancanza di interesse a porre le basi per imprese di lungo periodo. Anche i consumi, che sono il tratto caratterizzante della nostra società, sono effimeri, di breve durata perché devono essere sostituiti in un lasso di tempo veloce, in modo da garantire la crescita economica costante. Perfino i mobili di casa, che un tempo duravano varie generazioni, oggi si sostituiscono più volte anche nel corso di una sola vita, come l’Ikea ci insegna a fare con poca spesa.
Viviamo quindi in un tempo concitato e breve, brevissimo, senza sguardo sul futuro: è come se, dopo la secolarizzazione che ci ha tolto la speranza in una vita dopo la morte, fosse scomparsa anche la nostra tensione verso il futuro umano, verso gli esseri umani che verranno dopo di noi. In questo tempo piatto e veloce, dimentichiamo facilmente anche gli errori fatti in un passato appena trascorso. Un esempio è proprio legato al tema del controllo delle nascite: solo quarant’anni fa la Chiesa, dopo l’Humanae vitae, veniva criticata come responsabile della fame nel mondo e del degrado del pianeta. Oggi molti scienziati ed economisti concordano nel considerare la teoria del sottosviluppo causato dalla «bomba umana», cioè dall’incremento demografico, un’ipotesi sbagliata. Ma nessuno torna sui suoi passi, per rivalutare il pensiero della Chiesa sulla popolazione e le nascite: tutto è rapidamente dimenticato. E nessuno si è accorto che, anche allora, la Chiesa ragionava su un tempo diverso, molto più lungo di quello degli economisti e dei demografi allarmisti. Un tempo a cui oggi siamo giunti constatando che i pericoli additati allora da Paolo VI sono reali e realizzati.