IL VILLAGGIO: UNA STRAORDINARIA FAMIGLIA

Da oltre quarant’anni i frati francescani conventuali si sono impegnati, prima, a dare una casa a bambini che non l’avevano e, oggi, a migliorare la vita di ragazzi con handicap, in una sola, grande, variegata comunità.
06 Febbraio 1999 | di

Chi si aspetta di trovare a Noventa Padovana un luogo triste si sbaglia di grosso perché nel Villaggio Sant'Antonio si respira serenità  e gioia. I moltissimi ragazzi che lo frequentano, o il più esiguo numero di quelli che vi abitano stabilmente, ti accolgono subito con molta franchezza e familiarità . Sono ragazzi un po' speciali, qualcuno non riesce ad esprimersi bene con le parole, qualcun'altro ha evidenti difficoltà  di movimento, in molti ravviso nel volto i tratti della sindrome di Down, ma oltre a quelli, e più forte di quelli, traspare un'enorme dolcezza. È la vigilia di Natale e Carlo si interroga sul regalo da fare alla sua nipotina; Valerio ha dei progetti per il suo futuro che confida a padre Guido. Quello che colpisce è l'estrema naturalezza e spontaneità  di questi desideri e di queste persone.
Il Villaggio Sant'Antonio, voluto dai frati minori conventuali, sorto negli anni Cinquanta come orfanotrofio, è oggi una grande comunità , un luogo di riconciliazione e di amicizia, con delle proposte educative e assistenziali assai diversificate. È la sfida di Antonio, sintetizzata nelle parole «Vangelo e carità », resa concreta nella quotidianità . È la proposta di Francesco di attenzione agli «ultimi» (ma che spesso si rivelano «primi») fatta realtà .
Questo si concretizza in molti nomi e molti volti che gravitano attorno al Villaggio: nove frati impegnati in questa realtà , cinque suore francescane missionarie di Assisi, operatori e specialisti come psicologi, pedagogisti, infermiere, educatori, terapisti, addetti all'assistenza, obiettori, ragazzi e ragazze che hanno scelto di fare l'anno di volontariato francescano, oltre a una cinquantina di volontari.
Dal 1998 direttore del Villaggio è padre Danilo Salezze, che ha sempre dimostrato molta determinazione e attenzione a realtà  sociali particolari. Ha trascorso quasi vent'anni in un'altra comunità  non lontana da qui, né geograficamente né per finalità , la Casa San Francesco di Monselice, che ospita ragazzi con problemi di tossicodipendenza. «Tra le due realtà  - dice padre Danilo - ci sono molte connessioni: dal lavoro con le famiglie, alla possibilità  di vivere con i ragazzi, all'impegno sul fronte dell'educazione. Qui cerchiamo di creare delle condizioni familiari che promuovano la persona. Il Villaggio è una realtà  autenticamente giubilare, che accoglie, sostiene, integra, si pone a disposizione con i suoi strumenti diversi». Quando si finisce un'esperienza per cominciarne un'altra, ciò che rimane in noi sono i molti legami di amicizia; nell'affetto risiede spesso il senso più autentico di molte nostre attività . «Amicizia - sottolinea padre Salezze - vuol dire considerare l'altro molto di più che un 'utente'. Vuol dire coinvolgerlo nella propria vita senza farlo soffocare e senza esserne fagocitati. Cooperare vuol dire integrarsi, riconoscere i tempi degli altri, vivere una fraternità ».
Concretamente questa fraternità  si traduce in una serie di proposte diversificate che vanno dal Centro diurno di terapia occupazionale per disabili mentali (Ceod), al doposcuola per ragazzi delle medie inferiori, ai gruppi-famiglia (Casa dell'alleanza) e comunità -alloggio (chiamata «Barchessa»), al Centro di formazione professionale per giovani con handicap (chiamato «Kolbe»).
Dietro a queste sigle ci sono ancora tanti volti. Frequentano il Ceod, dal lunedì al venerdì, 71 ragazzi con disabilità  mentale medio-grave, seguiti da 31 operatori e volontari. Per loro si studiano attività  personalizzate con lo scopo di potenziare le loro abilità . «Si realizzano - spiega padre Giuseppe Bellini responsabile del centro - dei piccoli manufatti che gratificano il ragazzo. In qualche caso è stato possibile ottenere anche un inserimento lavorativo in strutture esterne».
«Questi ragazzi - aggiunge padre Giuseppe - spingono naturalmente all'amicizia per una loro istintiva capacità  di aiutarsi e perdonarsi. Si muovono con semplicità , immediatezza. Chiedono all'operatore di accoglierli nella loro spontaneità . Chiedono di essere accolti gioiosamente e la gioia deve essere una caratteristica del cristiano. Sono i primi, direi, a mettere naturalmente in atto i valori francescani. I volontari spesso ci dicono di ricevere dai ragazzi molto di più di quello che loro stessi riescono a dare: è il messaggio di sempre, cioè quello di andare a scuola dai 'poveri'».
Della «Barchessa» è responsabile padre Guido Castagna che spiega la natura della comunità  residenziale per disabili adulti e mi accompagna a vedere i tre appartamenti nella vecchia casa dei fattori della vicina villa Giovanelli. Tre alloggi vissuti, personalizzati, in un complesso restaurato, immerso nel verde e nella tranquillità . Ogni appartamento ha solo quattro o cinque ospiti (14 in totale) e si gestisce secondo le modalità  tipiche della famiglia, con l'aiuto d'operatori, educatori e addetti allassistenza. Alla «Barchessa» è molto importante anche l'apporto dei volontari che hanno costituito un'associazione intitolata a padre Mario Tommasi, una frate morto a 28 anni per salvare un ragazzo del Villaggio.
Se gli operatori esprimono la loro professionalità , è altrettanto vitale la gratuità  e la generosità  dei volontari. Nelle case (che si chiamano «Casa serena», «La sorgente» e «Il sentiero») in soggiorno ci sono la televisione e i giornali, nelle stanze le foto e i cd con le musiche predilette dai ragazzi. Tutto come in ogni casa. «Vengono nella 'Barchessa' - dice padre Guido - quando la famiglia ha bisogno di un'integrazione forte o, a una certa età , quando la famiglia non c'è più. Per ciascuna persona handicappata c'è un progetto individuale. Crediamo al diritto di un handicappato di avere una famiglia e utilizziamo tutte le risorse che abbiamo a disposizione. Ma non siamo un 'ghetto': collaboriamo con le Usl di Padova e cerchiamo di inserire i ragazzi nel territorio dove mantengono amicizie e frequentazioni». Padre Guido esprime la sua intima soddisfazione: «È una esperienza grande essere qui con questi ragazzi. Scopro ogni giorno le loro potenzialità , accorgendomi che spesso la persona handicappata è considerata per quello che non riesce a fare. Qui, invece, riesco a stupirmi per quello che sa fare. È bello vedere Luigi nel suo laboratorio di pittura, che mostra felice quello che fa, oppure l'autonomia che ha conquistato Gabriella, i cambiamenti di Patrizio, assistere ai piccoli miracoli che avvengono quando ci si prende cura delle persone, quando si dà  loro una famiglia, quando si è loro fedeli. E loro mi insegnano ad accettare le persone come sono».
Fra Giancarlo Capitanio è responsabile dei corsi denominati «Kolbe» e patrocinati dalla regione Veneto. I ragazzi (attualmente 31), dopo tre anni, ottengono la qualifica di serigrafista o di legatore e per questi giovani, con handicap medio-lieve, ottenere una formazione professionale è molto importante perché significa integrazione e inserimento nel mondo del lavoro. «Il 60 per cento di loro - dice fra Giancarlo - effettivamente riesce in questo obiettivo».
Un altro capitolo che ci resta da affrontare è quello delle scuole medie. Il Villaggio, infatti, da oltre trent'anni offre alle famiglie in difficoltà , con problemi personali o di lavoro, una collaborazione per l'educazione dei figli. In concreto, i ragazzi sono accolti al Villaggio dalle 8.00 alle 17.30, frequentano una sezione staccata della scuola media statale «G. Santini» di Noventa e, al pomeriggio, sono seguiti per il doposcuola e le attività  ricreative da un'équipe psicopedagogica e di educatori. Me ne parla un giovane frate, Francesco Scapolo, responsabile appunto del settore. «Abbiamo circa 60 ragazzi - spiega padre Francesco - con situazioni familiari molto a rischio. Personalmente sono molto contento perché mi sento partecipe del futuro di questi uomini di domani».
Padre Fabio Scarsato ha, invece, il compito di seguire, oltre il «Messaggero dei ragazzi» di cui è direttore, i minori che il tribunale affida al Villaggio Sant'Antonio. Dieci anni fa si è scelto di accogliere quei bambini, allontanati dalla famiglia con decreto del tribunale, in piccole realtà  strutturate sul modello familiare. Si tratta di due case situate fuori del Villaggio, in paesi vicini. «È importante - spiega padre Fabio - che questi ragazzini costruiscano delle relazioni con adulti per loro significativi, che li sappiano 'contenere', che diano loro delle 'rotte', dei confini, delle mani sicure». Padre Fabio anima, personalmente, il gruppo degli educatori (stipendiati o volontari), ma innanzi tutto veri amici; si occupa dei rapporti con famiglie, con gli enti pubblici e il tribunale; ma, soprattutto, ci tiene alla condivisione con i ragazzi. «Mi impongo - dice padre Fabio e, tenendo conto dei suoi numerosi incarichi, capisco che non è facile - di ritagliarmi degli spazi di assoluta e gratuita condivisione con loro. Facciamo insieme i compiti, delle passeggiate, vado a parlare con le loro maestre: tutte cose che come frate non avrei mai pensato di fare, ma che apprezzo molto. La mia vicinanza a loro vuole essere anche testimonianza di un Dio che vuole loro bene. Di fronte a ragazzini che a dieci anni hanno già  vissuto tutto quello che c'è da vivere, a volte verrebbe da chiedersi dove sia finita la bontà  di Dio».
Se i frati del Villaggio sono idealmente i «papà » di tanti bambini, a Noventa ci sono anche le «mamme»: sono le suore francescane missionarie di Assisi. «Fin dai primi anni in cui il Villaggio era orfanotrofio - spiega suor Liliana Barzon - noi collaboriamo con i frati. Adesso il nostro compito è soprattutto al Centro diurno di terapia occupazionale, ma per noi è anche molto importante essere, qui, una comunità  religiosa femminile che ha maturato piano piano una sua fisionomia».
Le sorprese arrivano sempre alla fine, perché, quando sto per lasciare questa «cittadella dell'amore», incontro suor Speranza Zambiasi che ha cucinato le minestre e le pastasciutte che hanno fatto crescere centinaia di bambini. È al Villaggio da oltre quarant'anni, esattamente dal 15 luglio 1955, e ha sempre fatto la cuoca. «Allora - ricorda l'anziana suora - erano in pochi; una trentina di bimbi che venivano dalla precedente sistemazione di via Orto Botanico. Alcune mie consorelle facevano le maestre alle elementari. I bambini di allora ormai sono nonni, ma ancora si ricordano di me e vengono a salutarmi».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017