Il voto incompiuto

06 Settembre 1999 | di

Affinché quel lontano voto alla Madonna del Divino Amore si compia bisognerebbe cercare di capirsi un po'di più, di sforzarsi di comprendere l'altro in modo da svelenire la pratica politica e mondare il cuore e la mente dalla rabbia quotidiana.

Il Papa, domenica 4 di luglio, ha consacrato un nuovo altare nella Basilica del Divino Amore. Durante la cerimonia, affollatissima a dispetto della canicola, il Grande Vecchio Santo ha ricordato ai romani il voto ch'essi fecero esattamente cinquantacinque anni fa. Le truppe alleate marciavano su Roma, la liberazione della capitale scandiva il suo conto (storico) alla rovescia, epperò l'attesa dell'evento era turbata da una diffusa e concreta preoccupazione. Quella che alleati e tedeschi si affrontassero in una devastante battaglia finale nelle vie di Roma, combattendo casa per casa. Ebbene, fu proprio allora che i romani, tramite il loro vescovo, pronunciarono questo voto: «Se Dio ci salva dalla rovina promettiamo opere di carità . E promettiamo altresì di correggere la nostra condotta morale». Insomma, di diventare più «puliti» dentro e fuori.

La fame, si sa, è nemica della buona condotta; chi ha fame perde, spesso, il lume degli occhi, e quindi la ragione, svendeno la propria coscienza. Chi scrive ha vissuto quel triste, terribile periodo di tempo passato oramai alla storia come «Roma sotto i tedeschi - Roma città  aperta alla violenza nazifascista - Roma delle Fosse Ardeatine, stuprata dal terrore quotidiano, affamata (specie negli ultimi nove mesi d'occupazione) dalla mancanza di rifornimenti». Mancava tutto: dal gas alla farina, dalla verdura alle uova. Per i poveri e per gli onesti, beninteso, poiché ai ricchi e a coloro che s'erano venduti agli occupanti bastava ricorrere alla «borsa nera» per non privarsi di nulla. Dirò subito, da testimone di quel tempo, come la sofferenza maggiore toccasse a quelli della Resistenza. Sono d'accordo con chi (per obbiettività  storica o per esercizio denigratorio: non mi interessa) scrive che la Resistenza sia stata enfatizzata, che il suo contributo alla liberazione sia stato inferiore a quello propagandato, eccetera. Certamente noi partigiani (cattolici e non, d'ogni colore insomma) eravamo una minoranza; la maggioranza, tuttavia, non si schierò col tedesco invasore, rimase in prudente attesa degli eventi costituendo la cosiddetta «zona grigia». Poi c'erano i collaborazionisti, cioè l'altra minoranza, i cosiddetti «repubblichini». Noi giovanissimi partigiani di vario colore (politico) non pensavamo di esser chissà  chi, ma avevamo chiara consapevolezza di costituire una spina nel fianco dell'armata tedesca. Infatti i nazisti ci mettevano al muro, ci davano la caccia, ci definivano sprezzantemente «sporchi comunisti-badogliani» e non si capisce, tra parentesi, come si potesse esser badogliani e comunisti nel contempo. Breve: la minoranza partigiana soffrì la fame (non pochi miei amici finirono al Forlanini, il grande tubercolosario di Roma), per non tradire i valori della società  cristiana fondata sulla libertà  e la carità .

Allora, più di mezzo secolo fa, i romani fecero dunque voto di carità , impegnandosi del pari a correggere la propria condotta morale. Voi - ha detto però il Papa al Divino Amore - voi romani questa seconda parte del voto non l'avete ancora concretata.
Affrontando l'argomento con il garbo e l'autorevolezza che gli sono proprà®, Filippo di Giacomo ha scritto un sofferto articolo di fondo (cf. il «Messaggero» del 5/7/1999) per concludere che il Papa ha ragione. «Un voto come quello che i romani hanno fatto nel 1944 per bocca di Pio XII può essere considerato sciolto solo parzialmente». Intendendo, con ciò, Filippo di Giacomo, che i romani veraci hanno o avrebbero sciolto il voto, a differenza di chi romano verace non è pur vivendo a Roma, poiché di Roma si serve, o servirebbe, per far affari o politica, così trascurando, giustappunto, le intenzioni del popolo romano autentico. Sarà , ma io vedo, oramai da cinquantacinque anni, Roma stranirsi, mutare velocissimamente, perdere il suo cuore giorno dopo giorno. E ciò malgrado gli sforzi dei parroci e dei gestori del Campidoglio. Sull'opera dei parroci, quelli di periferia in primo luogo, converrà  tornare, ma sin d'ora possiamo scrivere in piena coscienza che se non ci fossero loro a illustrare il Vangelo, i ghetti che affliggono la capitale sarebbero più terribili e più numerosi. Così come possiamo serenamente scrivere che amministratori capaci e generosi, pur non essendo romani veraci, si adoperino con fervore e amore per far di Roma, megalopoli inquietante, una metropoli a misura d'uomo.

Per concludere: affinché quel lontano voto si compia bisognerebbe cercare di capirsi un po' di più, di sforzarsi di comprendere l'altro in modo da svelenire la pratica politica e mondare il cuore e la mente dalla rabbia quotidiana, insomma: dalla furia di vivere secondo i dettami del consumismo egoista anziché secondo i precetti della morale evangelica. Nell'augurare ai lettori una serena «pausa estiva» chiudo questa mia nota con le parole di san Giovanni della Croce: «Ciò che più importa per progredire (moralmente, materialmente) è far tacere la nostra lingua e il nostro appetito. Il solo linguaggio che Dio ascolta è il silenzioso amore».

P.S.: Si fan sempre più numerosi i lettori che mi scrivono. Vorrei suggerire loro che anziché presso «La Stampa» a Torino - costringendo le lettere a un percorso tortuoso - indirizzassero a: «La Stampa - Redazione romana», via Barberini, 50 - 00187 Roma. Ovvero, semplicemente: c/o «Messaggero di sant'Antonio», via Orto Bo-tanico, 11 - 35123 Padova.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017