Il welfare che verrà
Msa. Cittadinanza e lavoro, uguaglianza sociale e identità delle persone. Sembra quasi uno slogan delle Acli per il welfare del futuro. Ma ci vogliono i soldi per fare le riforme, e l";attesa modifica dello Stato sociale in Italia sembra compromessa ancora prima di decollare, vista la crisi che investe il nostro Paese.
Bobba. Rispetto al passato si sta verificando una progressiva affermazione del concetto di cittadinanza su quello del lavoro. È una responsabilità maggiore per il welfare del futuro, perché implica una maggiore inclusione di persone e quindi anche un crescente numero di bisogni.
In Italia quali sono i meccanismi del welfare che non funzionano e che vanno modificati, anche in prospettiva europea?
Per quanto riguarda l";Italia, il principale nodo per la crescita e lo sviluppo del sistema del welfare riguarda il rapporto tra i vari enti pubblici e di volontariato e le istituzioni nazionali. In particolare c";è poca chiarezza: non esiste ancora una linea condivisa sull";attuazione della legge 328 del 2000 che chiede la creazione dei piani sociali di zona. Così, in concreto, si blocca la nascita di quel sistema di reciproco confronto, sostegno e cooperazione tra enti pubblici, settore privato e privato sociale che avrebbe dovuto dare nuovo impulso al sistema di assistenza italiano.
Qual è, in sintesi, la vostra proposta di riforma del welfare e quali i modelli di riferimento per il futuro stato sociale italiano: la Gran Bretagna o la Svezia?
Il nostro Paese ha già una lunga tradizione di welfare ed è da quella che bisogna partire, con quella che bisogna ragionare. Sappiamo anzitutto quello che non vogliamo: un welfare compassionevole e assistenziale. Ma soprattutto vogliamo sostenere alcune caratteristiche, che pensiamo, indispensabili per realizzare un vero servizio ai cittadini. C";è bisogno di un welfare che metta al centro la persona e la famiglia, non soltanto intesa come nucleo familiare, ma come catena generazionale. Nonni, padri e figli costituiscono la prima rete di sostegno e di assistenza per le persone, facilitarne il compito dovrebbe essere uno tra i primi obiettivi delle istituzioni. Poi l";idea di welfare che vorremmo sostenere è quella di un «welfare zainetto» che sia essenziale e allo stesso tempo segua la persona durante tutto l";arco della vita. Solo così potremmo costruire un welfare su misura, meno dispendioso e dispersivo di quello che già conosciamo, ma attento alle esigenze e ai bisogni del cittadino.
Al Convegno delle Acli di Vallombrosa, lei ha parlato di «welfare community» e di «principio di sussidiarietà ». Che significa?
Welfare community e sussidiarietà sono strettamente collegati per favorire una cittadinanza responsabile. Il welfare community, o comunitario, sottolinea la primaria importanza di un welfare basato sulle relazioni. Un simile welfare responsabilizza la società civile, ma poi anche municipi e province perché si valorizzi la comunità territoriale, la piazza, i quartieri per la crescita di una coscienza civica che porti ad una vera partecipazione democratica. Allora proprio perché un welfare efficace è un welfare che parte dalle persone e, perciò, «decentrato», bisogna far valere il principio di sussidiarietà : sia orizzontale, perché tutte le forze sociali possano collaborare, sia verticale perché si individui la ripartizione dei compiti e ci possa essere un vero coordinamento tra Stato, Regioni, enti locali, forze del terzo settore e del volontariato sociale.
Famiglia, lavoro e formazione sono al centro della vostra «politica». E gli anziani?
Proprio a Vallombrosa abbiamo dedicato molta attenzione al tema degli anziani, in particolare alla problematica dei non autosufficienti. Spesso costretti a vivere in situazioni veramente drammatiche. Gli anziani sono una delle fasce più deboli della nostra popolazione. Con questa consapevolezza una delle quattro attenzioni preferenziali del nostro progetto di sviluppo sociale è dedicata a loro.
La legge Bossi-Fini ha in parte condizionato la possibilità che anche gli stranieri integrati nel nostro tessuto sociale ed economico possano partecipare ai benefici dello stato sociale. Il problema però è a monte. Lo straniero, l";«altro», fa paura. Questo anche a causa di pochi criminali che hanno gettato un";ombra immeritata su quelli, la maggioranza, che invece sono onesti, lavorano e concorrono alla crescita civile del nostro Paese.
È vero: il problema è a monte. Una democrazia matura non può fare di tutta l";erba un fascio. Penso che non accettare l";idea di una società multietnica, multiculturale sia antistorico e controproducente. Bloccare le frontiere non fermerà i flussi migratori dall";Est d";Europa che con l";allargamento saranno inseriti nell";UE, ma nemmeno quelli dal Sud del mediterraneo. Dopotutto noi abbiamo bisogno di persone che assistano i nostri anziani, di uomini e donne disponibili ad essere impiegati in lavori ormai poco appetibili agli italiani. Tenendo presente tutto ciò, il nostro Paese dovrebbe iniziare a riflettere su un modello di integrazione e sullo sviluppo di un progetto interculturale organico. Valorizzando dialogo, conoscenza e cooperazione potremmo far crescere la nostra società . Per combattere le paure che sono dietro il razzismo serve un lento lavoro di educazione e di formazione all";accoglienza e all";ascolto.
La recente finanziaria, messa a punto dal governo, prevede un significativo ridimensionamento della spesa sociale. Come valuta, in merito, la politica del governo Berlusconi?
La finanziaria prevede alcuni sgravi fiscali per le famiglie e questo è un dato molto positivo. Però, da tante parti, abbiamo ascoltato giudizi di incompletezza. È stata anche chiamata la finanziaria dei rinvii e delle scommesse. Mancano interventi strutturali; inoltre le nuove norme tassa-imprese rischiano di scoraggiare l";attività imprenditoriale "; come ha ricordato Antonio Fazio, governatore della Banca d";Italia ";. Poi c";è l";ennesimo concordato che mina la credibilità delle attività del Fisco. Ma, soprattutto, nella manovra si trascura il Mezzogiorno. Il Forum del Terzo Settore sottolinea le stesse preoccupazioni delle Acli: sulla qualità sociale e istituzionale della vita italiana, sulla tutela e sull";esigibilità dei diritti da parte dei cittadini e delle comunità locali. In particolare, è grave la logica centralistica che scarica i costi maggiori della manovra sulle Regioni e sugli Enti locali.
Secondo lei, si andrà verso la devolution anche nel welfare, con un maggior coinvolgimento degli enti e degli organismi locali territoriali?
Oggi ci sembra di assistere al ritorno di un federalismo di facciata, gridato, ma poi concretamente lasciato sulla carta. Alcuni elementi lo dimostrano: si parla di devolution, dell";importanza del governo regionale, poi notiamo la mancanza di una strategia condivisa tra i livelli diversi di governo che costituiscono la Repubblica, la mancanza di un impegno concreto per l";individuazione dei livelli essenziali di assistenza e così via.
Sullo scenario europeo, si è affacciata una pericolosa tendenza del mercato, e di alcuni governi, che vorrebbe spingere anche l";Europa a smantellare il welfare arrivando, sul modello statunitense, ad una deregulation del mercato del lavoro e di quell";impianto culturale, prima ancora che economico e sociale, che vede i cittadini legati da un rapporto di mutua solidarietà e collaborazione e non di competizione esasperata. Che opinione ha su questa tendenza? Le Acli hanno una proposta organica per tutto il continente?
Le rispondo con le parole di Prodi, intervenuto sull";argomento al nostro Convegno di Vallombrosa: esistono tanti welfare locali, tanti modelli di welfare statali. Non si può parlare di welfare europeo né oggi, né domani, forse dopodomani.
Parliamo dei lavoratori italiani all";estero. Può sintetizzare l";impegno delle Acli a favore dei nostri connazionali nel mondo: iniziative, progetti, nuove strategie...
Le Acli sono presenti all";estero in tutta Europa e nei maggiori Paesi extraeuropei che hanno conosciuto l";emigrazione italiana. Le Acli, quindi, hanno seguito, con i propri servizi, in particolare il Patronato Acli, i lavoratori italiani costretti ad emigrare. Insieme al servizio di patrocinio, si è sviluppata per oltre quarant";anni l";iniziativa associativa di formazione personale, culturale, ricreativa. Oggi contiamo circa 30 mila soci e quasi 300 circoli fuori dal territorio nazionale. Le Acli, nel loro impegno, non hanno mai rinunciato ad essere di stimolo per la promozione sociale del territorio anche all";estero.
Crede che con il voto in loco ai nostri connazionali all";estero, anche le Acli si sentiranno investite di un ruolo più incisivo nel coinvolgere direttamente i lavoratori e i pensionati italiani nelle problematiche sociali del loro Paese d";origine? Vi siete già attivati in questa direzione, e come?
Da sempre siamo in questa direzione. Direi anzi che sono forze sociali come le Acli che hanno contribuito a far crescere nei nostri connazionali una coscienza civica sia nel proprio Paese sia nel Paese in cui si è ospiti. Il voto all";estero è anche un nostro successo. Speriamo, però, che questo non faccia calare l";interesse per le questioni riguardanti i nostri connazionali all";estero.