Impegno d’onore

Brasile. Lula, la speranza del Sud America
02 Febbraio 2003 | di

Il 2003 è un anno di grandi aspettative per il Brasile. In occasione dell";insediamento del nuovo presidente, Luiz Inacio Lula da Silva, nel futuristico Palacio do Planato della capitale Brasilia, il principale quotidiano O Globo commentava: «Con Silva I° è la fine della dinastia dei Braganà§a, cioè di un";unica classe politica che ci ha ininterrottamente governato dal tempo degli imperatori dell";Ottocento». Accanto a Lula, una nutrita schiera di ministri italo-brasiliani: Antonio Palocci, Luiz Fernando Furlan, Miguel Soldarelli Rossetto, Guido Mantega, Ricardo Berzoini, José Graziano Filho.

La storia di Lula, come tutti lo chiamano familiarmente, sfida l";intreccio delle telenovelas che qui hanno preso origine. Nato 57 anni fa in un villaggio povero della regione più povera del Brasile, il Nord-est, con la madre e sette tra fratelli e sorelle abbandonati dal padre, è arrivato a cercare fortuna nella regione più ricca, intorno alla metropoli di San Paolo. Vita durissima per una famiglia numerosa di diseredati: va a scuola solo per due anni, a dodici è meccanico tornitore, ma la sua grinta e la sua oratoria ne fanno un leader sindacale già  a venti. Lotta contro la dittatura militare, conosce la prigione. Diventa popolarissimo, tanto che nel 1989 viene presentato per la prima volta come candidato del PT (Partito dei lavoratori) alle elezioni presidenziali.

Le sfide della nuova classe politica

La classe politica di cui parla O Globo lo definisce «un rospo barbuto e ignorante». Ma, contro ogni previsione, arriva secondo. Si ripresenta per altre tre volte, e intanto allarga le sue esperienze politiche, viaggia per il mondo, diventa sempre più un leader non solo populista ma anche convincente.

Il suo partito, il PT, è di origine marxista-leninista, come appare anche dalla sua bandiera, rossa con una stella bianca al centro, ma lui, Lula, anche per consiglio degli amici europei (con la Cisl è in contatto dal 1979) allarga le alleanze tanto da accettare, alle ultime elezioni, quelle vinte, un industriale come vice-presidente. Alla quarta volta, nell";ottobre scorso, è il trionfo: nelle prime elezioni totalmente elettroniche della storia mondiale, passa con il 61,5% dei voti.

Oggi, però, come ha detto lo stesso Lula, inizia la parte più difficile: governare. Qual è il suo programma, che tante speranze e attese ha suscitato? Il giorno stesso del suo insediamento, ha nominato il «segretario per l";emergenza sociale» che dovrà  realizzare la distribuzione di tagliandi alimentari a 44 milioni di poveri, sotto l";insegna di «fame zero».

Il progetto base è quello di un grande patto sociale fra categorie e classi che permetta di rilanciare produzione e distribuzione, soprattutto nel mercato interno. E poi la riforma agraria e la riforma delle megalopoli, invase dalle favelas.

In politica estera, Lula punta sul Mercosur, il mercato comune con Argentina, Uruguay, Paraguay, in competizione "; e anche in contrasto "; con la zona panamericana di libero-scambio, patrocinata dal presidente statunitense Bush. Come si vede, un programma di riforme radicali e graduali ma concordate con le parti sociali. Riuscirà  Lula in questa non facile sfida?

Il fronte dei pessimisti

I pessimisti (interni ed esterni) lo vedono preso fra una tenaglia: da un lato, le forze e i movimenti popolari (come i Sim Terras) che nutrono attese messianiche, dall";altro, le classi possidenti e il Fondo monetario internazionale con cui ha concordato un patto di stabilità  economica e dai cui prestiti dipende. Lula come leader ha vinto, ma il suo partito, il PT è una minoranza nel Congresso: ha solo il 30% dei deputati, e per far passare le leggi dovrà  ottenere l";appoggio di altri partiti. Ancora, all";interno del suo stesso partito esiste un";ala rivoluzionaria, contraria alle mediazioni.

Gli ottimisti ribattono che da troppo tempo "; dal «tempo dei Braganà§a» direbbe il giornalista del Globo "; il Brasile attende le riforme, e che su alcune di esse esiste una vasta convergenza. Che il PT è retto con mano ferrea da Josè Dirceu, un ex guerrigliero allenato a Cuba che è diventato un fedelissimo di Lula e non permetterà  derive estremiste. Sul piano internazionale, a nessuno conviene spingere un riformista, com";è il Lula attuale, a diventare un «secondo Castro» o un «secondo Chavez»: il presidente populista del Venezuela.

Certo, la via di Lula appare stretta e difficile. Ma se riuscirà  a svilupparla, potrà  diventare un esempio per molti Paesi dell";America Latina duramente provati da una globalizzazione solo neo-liberista.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017