Imperatore filosofo

Come giudicare questo protagonista della Roma imperiale: imperatore controvoglia, amante della bella filosofia e della pace e trascinato in guerre interminabili; magnanimo con tutti, anche con gli schiavi, ma persecutore dei cristiani?
12 Marzo 2001 | di

Adriano imperava su Roma da quattro anni quando venne alla luce Marco Annio Catulo Severo che avrà  la ventura, com' era consuetudine fra le genti nobili dell' Urbe, di passare attraverso vari appellativi prima di arrivare al nome che lo avrebbe reso celebre in veste di imperatore, quello di Marco Aurelio Antonino. Nel loro susseguirsi, gli appellativi stavano a rappresentare le fasi essenziali dell' esistenza di Marco, una vita che si concluderà  a cinquantanove anni quando sarà  colpito dalla peste sul campo di Vindobona, Vienna, la fortezza da cui le legioni romane muovevano nelle guerre contro le tribù germaniche dei Marcomanni e dei Quadi che sempre premevano sui confini danubiani dell' impero. Il nemico era stato ancora una volta sconfitto e ricacciato, e Roma esprimeva gratitudine al vincitore elevando una grandiosa colonna su cui erano scolpite le scene della guerra, ma l' imperatore non poté vedere compiuto lo straordinario monumento marmoreo che lo glorificava in un perenne ricordo.
Marco era nato a Roma il 26 aprile del 121 dopo Cristo in un solido palazzo immerso nel verde del colle Celio con la vista sull' Anfiteatro Flavio, il Colosseo, che il pur detestato Domiziano, quarant' anni prima, aveva arricchito di nuove magnificenze. Mutò presto nome quando, rimasto a nove anni orfano del padre, venne adottato dal nonno paterno e chiamato Marco Annio Vero. Per Adriano egli era Verissimus, il molto sincero, anche perché già  da ragazzo aveva rivelato eminenti doti umane e intellettuali.

Roma verso il declino. In un ginepraio di parentele e di adozioni, nelle alte sfere imperiali si svolgeva la vita politica e istituzionale d' una Roma sulla quale già  cominciavano a cadere le ombre del crepuscolo, dopo essersi esaurita l' epoca dei primi tre Antonini (Adriano, Antonino Pio, e lo stesso Marco Aurelio) che si sarebbe protratta per sessantatré anni, dal 117 al 180. In quel garbuglio Marco si trovò a essere cognato, figlio adottivo, genero e successore di Antonino Pio.
Marco apparteneva a una stirpe illustre e di morigerati costumi, originaria della Spagna meridionale. Era figlio del fratello della moglie di Adriano.
Nascendo, i suoi nomi furono quelli del padre e del nonno materno. La madre, Domizia Lucilla, era una donna vigorosa e saggia, fornita di senso pratico tanto da amministrare con ammirabile perizia importanti fabbriche di laterizi. Enorme era l' uso dei mattoni in una capitale in continua espansione, e i pochi detentori di fornaci ne traevano cospicue rendite.
Da ragazzo, essendo cagionevole di salute, preferiva i libri alle gare sportive, né amava assistere ai ludi gladiatorii o alle corse degli aurighi. Ammirava, piuttosto, l' arte d' un pittore greco, Diognete, dal quale apprendeva a maneggiare i pennelli; e poiché il pittore era anche filosofo, il giovane imbastiva con lui discorsi sulle origini del mondo e sulla forza dell' ascetismo. Il suo letto era fatto di pelli, le sue vesti erano tra le più semplici in tutta Roma, il suo portamento era privo di affettazione e, tuttavia, grave. Mai si lasciava avvampare dall' ira. Diceva che dal padre aveva imparato la clemenza nei giudizi, la fermezza nelle decisioni, la noncuranza verso gli onori, la costanza sul lavoro. Nel parlare del padre si riferiva spesso al padre adottivo, cioè all' imperatore Antonino Pio che lo aveva accolto come figlio.
Era di temperamento malinconico e pacifico; ciononostante il ceto dei patrizi lo aveva eletto a corifeo, praesul, dei sacerdoti salii dediti al culto di Marte Quirino. Cantava con grazia alla testa delle processioni di marzo che si svolgevano nelle vie dell Urbe in onore del dio della guerra. La sua tunica era ricamata in oro, e sul suo corpo affusolato appariva leggera la corazza che il rito imponeva di indossare ai dodici sacerdoti salii.

 

Antonino Pio lo adotta. Un' ulteriore adozione raggiunse Marco a diciassette ani. Si verificava, infatti, che, per volere di Adriano, egli venisse adottato da un ex pro-console, Tito Aurelio Antonino, il quale, alla morte di Adriano, sarà  imperatore egli stesso assumendo il nome di Antonino Pio. Insieme a Marco fu adottato dall' ex proconsole, sempre su imposizione di Adriano, anche un suo cugino, un bambino di sette anni. Lucio Vero figlio di Elio Vero. In realtà  la scelta di Adriano per la successine era originariamente caduta direttamente su Elio, ma questi morì sei mesi prima di lui. Immenso fu il dolore dell' imperatore che lo aveva amato non meno di quanto avesse amato il conturbante Antinoo, scomparso a sua volta troppo giovane annegando misteriosamente nelle acque del Nilo. Ma Elio non era stato meno affascinante di Antinoo e l' imperatore gli mostrò una riconoscenza postuma facendone adottare il figlio dall' ex proconsole che avrebbe ereditato l' impero.
Sempre a diciassette anni, età  fatale, Marco, che aveva già  assunto la toga virile, fu promesso alla figlia di Antonino Pio, il nuovo imperatore. La ragazza si chiamava Faustina Minore ed era cugina di Marco per essere figlia di sua zia, Faustina Maggiore, che era, appunto, andata sposa ad Antonino Pio. Con la promessa di matrimonio, che verrà  celebrato ben sei anni più tardi, Marco riceveva un' implicita successione al trono sul quale, alla morte del padre adottivo, salirà , all' età  di quarant' anni, il 7 marzo del 161, col nome definitivo di Marco Aurelio Antonino.
Marco rifiutava la retorica nello stile di vivere e non soltanto negli esercizi letterari. Dal filosofo di nome Rustico, nomen atque omen, di nome e di fatto, apprendeva la semplicità , e, tramite lui, si avvicinava a Epitteto. Imparava a distinguere fra le cose in potere dell uomo, come la ragione, la volontà , il desiderio, e quelle che gli sfuggivano: le ricchezze e gli onori. Così Marco si apriva allo stoicismo, verso il quale era del resto portato da una naturale disposizione d' animo. Suo maestro di giurisprudenza era il grande giureconsulto Volusio Meciano che riscuoteva la stima e gli onori di Antonino Pio; con lui aveva cominciato a porre le basi di una nuova legislazione che avrebbe reso agli schiavi la dignità  di uomini e li avrebbe sottratti all' assoluto dominio del padrone che ne usava esercitando il diritto di vita e di morte.

Il piacere della lettura. La lettura era l' interesse preminente del giovane che, già  oberato di incarichi pubblici, disertava le riunioni ufficiali per starsene solo con se stesso. Lo rimproverava perfino il suo maestro, Frontone, poiché anche in teatro o nei banchetti egli continuava a leggere mostrando indifferenza per tutto ciò che gli succedeva intorno. «Talvolta sei odioso», gli diceva il vecchio Frontone. Lui voleva correggersi, ma non sempre ce la faceva. Incomprensibile appariva una scelta che Marco operò nel momento della sua ascesa al trono. Così severo e compunto, egli decide di associare a sé nella guida dell' impero suo cugino e fratello adottivo Lucio Vero, che era di tutt' altra pasta: donnaiolo, omosessuale e perdigiorno. Decideva anche di fargli sposare la propria figlia sedicenne Lucilla, incurante di condannarla a un sicuro fallimento coniugale. E Lucilla si macchierà  di gravi colpe quando, molti anni più tardi, essendo già  morto suo marito e suo padre, parteciperà  all' organizzazione di un complotto con l' obiettivo di assassinare il nuovo imperatore, il fratello Commodo. I servizi segreti del sovrano scopriranno la congiura, Lucilla sarà  esiliata sull' isola di Capri e quindi giustiziata.                                                                                                                                                                                  

Praticamente due imperatori. All' atto dell' ascesa al trono, Marco aveva già  per collega Lucio Vero nel consolato, e ciò rientrava in pieno nella tradizione che aveva origini repubblicane, ma l' averlo cooptato nella responsabilità  imperiale, mutava profondamente la realtà  istituzionale di Roma.
Per la prima volta, i romani si trovavano ad avere contemporaneamente due imperatori. Lucio Vero diventava Lucio Aurelio Vero, otteneva la tribunicia potestas, il pieno imperium proconsolare e il titolo di Augustus. Veniva, cioè, rivestito delle identiche dignità  di cui si fregiava Marco Aurelio Antonino, il quale, però, riservava per sé la carica di Pontefice massimo.
Era la saggezza filosofica, che si esplicava con l' esercizio dello stoicismo, a sostenere Marco Aurelio nell' ardua responsabilità  imperiale. Avrebbe fatto volentieri a meno di portare sulle sue spalle un così grave peso, e poteva dirsi che anche lui, come Tiberio, fosse un imperatore controvoglia, più predisposto a pensare che ad agire. L' idea di Platone era che alla suprema magistratura dello Stato non si dovesse pervenire per cupidigia di potere, ma sospinti dagli eventi. E soltanto un filosofo poteva rispondere a questo requisito.
Marco Aurelio poteva considerarsi un filosofo, per quanto non avesse ideato alcun sistema filosofico, ma già  bastava essere versato in meditazione perché si potesse dire che con lui si era realizzato il sogno platonico di avere un filosofo alla guida dello Stato. Fu chiamato imperatore-filosofo, ed egli stesso teorizzava implicitamente su questa definizione, scrivendo in greco i suoi ricordi.
Era chiuso e introverso e, quindi, ancora una volta paragonabile a Tiberio, ma era anche capace di far fronte in pace e in guerra alle grandi emergenze dell' impero, proprio per la sua concezione stoica dell' esistenza. Ironia della sorte! Marco, che era amante della pace, veniva trascinato in guerre interminabili che non avrebbe voluto intraprendere, ma che in realtà  conduceva eroicamente. Da imperatore-filosofo si trasformava in imperatore-soldato, e poteva dirsi di lui che fosse un filosofo nato con la corazza perché in guerra rivelava naturali doti di generale Al cospetto delle grandi vicende storiche o delle piccole storie private, Marco sapeva mantenere un freddo dominio di sé.
                                                                                                        

Lo stoicismo era raziocinio. Un distacco aristocratico (ma era un distacco intimo che nella vita quotidiana non gli impediva di comportarsi democraticamente, tanto che diceva a se stesso: «Guardati bene dal darti arie da Cesare») e un forte autocontrollo gli consentivano di non stupirsi di nulla, di non affrettarsi né di attardarsi.
Nei suoi Ricordi scriveva che mai nessuno aveva potuto dire di lui di essersi «agitato fino a sudare». Ma tutto questo comportava una sfiducia nel progresso del genere umano. Perciò egli finiva col considerare il mondo come un immutabile teatro. «Si deve pensare - scriveva - come tutto quanto avviene oggi sia già  precedentemente avvenuto ieri. E nel futuro tutto si ripeterà  uguale. Poniamoci davanti agli occhi scene e drammi che abbiamo già  visto per esperienza diretta o per testimonianza degli antichi. Qualche esempio? Nel loro insieme la corte di Adriano e quella di Antonino o di Filippo, di Alessandro, di Creso. esse offrono spettacoli fra loro simili; cambiano soltanto gli attori».
                                                                                                           

Tuttavia, duro con i cristiani. Se aveva dimostrato comprensione per gli schiavi - cercando di riformare le antiche leggi a loro favore - , e se era andato incontro ai più diseredati con opere di beneficenza, istituendo le Puellae Faustinianae (Fanciulle faustiniane, dal nome della disperante moglie), non si mostrò altrettanto magnanimo con i cristiani. Anzi li perseguitò duramente, li condannò ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna e di Corinto, e spesso ne decretò la morte, senza che avessero effetto le vibranti apologie di Giustino e Atenagora.
Al suo comportamento anticristiano andavano attribuite anche le esecuzioni capitali perpetrate ai danni d' una vivacissima comunità  cristiana di Lione, allora chiamata la Roma delle Gallie. I cristiani lionesi furono arrestati e processati; furono scaraventati su sedie di ferro arroventato, esposti alle fiere del circo e uccisi. I loro resti furono arsi e le ceneri disperse nelle acque del Rodano. Ma forse, non soltanto tutto questo era Marco.


 
   

   

 

   

   

LE NOSTRE RADICI      

T          ra le critiche mosse ai nostri tempi c' è anche quella di una disattenzione crescente verso la storia, che rischia di farci apparire un popolo di gente senza radici, incurante dell' avvenire e tutto proteso a bruciare spensieratamente un presente, che quasi mai è all' altezza dei nostri desideri. Cerchiamo di correre ai ripari ffrendo alcune pagine del nostro passato: personaggi e fatti, anche lontani nel tempo, dei quali ricorrano anniversari. Cominciamo da lontano, da Marco Aurelio, nato il 26 aprile del 121 dopo Cristo, 1880 anni fa.      

  A  ntonio Spinosa        , giornalista molto noto (ha diretto la «Gazzetta del Mezzogiorno», «Videosapere-Rai». È stato inviato del «Corriere della sera» e del «Giornale»), da anni si dedica a riscoprire e reinterpretare personaggi ed eventi che hanno influito nella nostra storia. E sono tanti, diversi dei quali del periodo fascista: sia i protagonisti che il suo capo, al quale ha dedicato anche l' ultimo lavoro, Alla corte del Duce  , Mondadori, Milano 2000. Di Roma antica ha raccontato la storia in un volume di agevole lettura (  La grande storia di Roma , Mondadori, Milano 1998) e interpretato uno dei suoi personaggi più significativi, Augusto (  Augusto, il grande baro   , Mondadori, Milano 1996). Ha vinto il Premio Estense, il Saint-Vincent, il Bancarella, il Premio Donna città  di Roma e con Piccoli sguardi è stato finalista al Premio Strega 1996.   PERSECUTORE DEI CRISTIANI      

            Magnanimo con gli schiavi, sensibile ai problemi dei diseredati per i quali promosse opere di beneficenza, fu invece durissimo con i cristiani: li perseguitò condannandoli ai lavori forzati, mandandoli a morte, incurante delle appassionate difese (Apologie) opposte da cristiani come Giustino e Atenagora. Decimò la vivacissima comunità  cristiana di Lione, chiamata allora la Roma delle Gallie, sottoponendo i fedeli a ogni genere di tortura.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017