Inchiesta: Italia in bianco e nero Il fattore «R»

02 Novembre 1999 | di

«R» cioè razzismo, un male dal quale gli italiani si credevano immuni, ma alcuni fatti mostrano il contrario. Terza domenica di novembre: una giornata in cui ogni cristiano è chiamato a vivere le sfide dell'immigrazione, aprendosi alla diversità , anche se con qualche cautela.

Più che una proiezione statistica ha tutta l'aria di assomigliare a una «minaccia» incombente sul nostro paese: il prossimo, stando alle valutazioni di esperti e studiosi, sarà  il secolo del nomadismo universale. Come a dire: cari italiani, le ondate migratorie che avete dovuto fronteggiare fino a ora non sono nulla in confronto a quello che vi aspetta nei prossimi anni. E l'Italia trema. La prospettiva di dover stravolgere improvvisamente usi e costumi, gelosamente custoditi per decenni, non alletta proprio nessuno. Mamma, casa e pastasciutta sono istituzioni così radicate che il solo pensiero di dividerle con estranei ci fa sobbalzare dalla poltrona.

 Poi possiamo parlare di sfumature, dalla posizione improntata alla chiusura totale targata Lega, all'accoglienza dignitosa riservata dalla Puglia alle migliaia di profughi albanesi sbarcati sulla costa adriatica con mezzi di fortuna. Ma la sostanza non cambia: il pensiero dell'italiano medio non si discosta molto da un atteggiamento che si può definire quantomeno diffidente. Per qualcuno, forse, anche xenofobo. Esagerazioni? Forse. Ma non si può ignorare che in più di una circostanza provvedimenti adottati da amministrazioni locali, tesi soprattutto a colpire cittadini extracomunitari, sono stati pienamente, e palesemente, condivisi in larga parte dalla popolazione. E non si è trattato di casi isolati.
Curioso. Curioso che si esprima in questi termini, e in certi casi con foga e veemenza, un popolo al quale l'arte dell'emigrazione non è affatto sconosciuta. Anzi. Le cifre, infatti, dovrebbero suggerire una riflessione più attenta a quanti dimostrano di avere una memoria corta in materia: 27 milioni di italiani sono stati costretti a emigrare nel secolo intercorso tra il 1876 e il 1976, il periodo necessario al nostro paese per trasformarsi da sottosviluppato ad avanzato.

Una legge definitiva

La questione immigrazione in Italia, dal punto di vista legislativo, venne affrontata per la prima volta con la legge 943 del 1986. In base ad essa, ai lavoratori stranieri nel nostro paese venivano riconosciuti gli stessi diritti degli italiani. I primi effetti non si fecero attendere: oltre 100 mila extracomunitari sfruttarono i benefici della sanatoria abbandonando la clandestinità . All'inizio del 1990, quindi, fu varata la criticatissima legge Martelli, grazie alla quale altri 230 mila immigrati furono in grado di acquisire un regolare permesso di soggiorno e di godere così dei diritti già  riconosciuti dalla 943.
Ma i problemi, con l'andare del tempo, non sono affatto diminuiti. Attualmente ci sono ancora decine di migliaia di «irregolari», a dimostrazione del fatto che la legislazione vigente è assolutamente insufficiente. Da una parte, si sollevano feroci critiche contro la legge Martelli, che ha finito, si dice, per «regolarizzare l'immigrazione clandestina» e rendere addirittura inefficaci i provvedimenti di espulsione emessi dall'autorità  giudiziaria. Dall'altra, si è gridato allo scandalo per il decreto Dini, che autorizzava l'intervento dell'esercito per impedire gli sbarchi notturni degli extracomunitari sulle spiagge pugliesi.
In realtà , ciò di cui si sente la mancanza è una legge che uniformi e definisca, una volta per tutte, i termini per ottenere il permesso di soggiorno - sembra paradossale, ma la documentazione necessaria per ottenerlo in una città  potrebbe non essere valida in un'altra - e consenta agli immigrati di regolarizzare la propria posizione e mettersi alla ricerca di un lavoro. Il ministro Livia Turco ha promesso una sterzata in tempi brevi per favorire definitivamente l'integrazione degli stranieri in Italia.
Negli Stati Uniti, ad esempio, non è assolutamente facile entrare con lo status di immigrati, ma, una volta ottenuta l'autorizzazione, le persone vengono agevolate per acquisire il diritto di cittadinanza. Un po' il contrario di quello che avviene da noi, dove non è difficile entrare in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o familiari, ma si incontrano ostacoli burocratici insormontabili per integrarsi nel nostro paese e ottenere la cittadinanza. Con il rischio di alimentare disagi e frustrazione negli extracomunitari, fino a isolarli completamente da una comunità  che li sente come un corpo estraneo. Negare i diritti ai cittadini extracomunitari significa discriminarli apertamente, non concedere loro quella pari dignità  con gli altri uomini che le costituzioni di tutto il mondo indicano come valore irrinunciabile.
La soluzione ideale? Il sociologo Carlo Melegari suggerisce un permesso di soggiorno temporaneo di due o tre anni che dia il tempo a un immigrato di trovare un lavoro e una casa e ottenere la residenza.

Italia sì, Italia no

Inutile nascondersi dietro un dito: con il passare degli anni più i gruppi di immigrati si affacciavano nel nostro paese, più aumentava il senso di repulsione nei confronti degli extracomunitari. E non solo a causa dell'ondata di xenofobia, che sembra tornata prepotentemente di moda in diverse parti del mondo. Ormai la figura del'extracomunitario, nell'immaginario generale, incarna alla perfezione quella dello spacciatore sbandato, che abita nei quartieri più malfamati o dorme sulle panchine, pronto a saltare addosso al primo malcapitato.
Il dramma della disoccupazione, che coinvolge decine di migliaia di giovani del nostro paese, inoltre, non contribuisce affatto a stemperare gli animi di chi vede negli extracomunitari potenziali concorrenti per un posto di lavoro. Ecco perché una rivisitazione della regolamentazione relativa all'immigrazione è quantomai urgente e necessaria. Ulteriori ritardi porterebbero solamente a un inasprimento degli animi, sia da una parte che dall'altra, con inevitabili ripercussioni sull'ordine pubblico.
Non ci troviamo di fronte solo a episodi di razzismo, ma a una difesa quasi disperata di un ormai anacronistico istinto di conservazione. Come se una parte della popolazione, agendo in perfetta buona fede, intendesse consegnare alle generazioni future un patrimonio genetico e un eredità  spirituale senza cambiamenti significativi. Pretesa ormai assurda in un mondo che sta pian piano annullando le distanze e i regimi di apartheid per dar vita a quel «villaggio globale» che metta in contatto persone di origini e culture differenti, in ragione della pari dignità  cui hanno diritto tutti gli esseri umani.

Immigrazione e criminalità 

Non c è dubbio che anche gli stranieri di casa nostra siano protagonisti in negativo di atti criminosi, ma individuare soprattutto nelle nuove ondate migratorie il fattore determinante di un aumento dei reati all interno dei grandi nuclei urbani sa tanto di ricerca affannosa di un comodo capro espiatorio. Perché spaccio di droga, prostituzione e stupri, i reati più comunemente ascritti agli extracomunitari in maniera un po troppo stereotipata da campagne demagogiche, purtroppo diffusissime, sono piaghe che ci appartenevano anche quando non c era l immigrazione di massa. Questo non vuol dire che una parte dei cittadini extracomunitari non sia responsabile di reati più o meno gravi, ma che sarebbe terribilmente sbagliato addossare loro tutte le colpe.
Certo, quando si sentono affermazioni del tipo «ogni 100 abitanti extracomunitari si hanno in Italia 75 reati», la gente è portata a credere che tre quarti degli immigrati siano delinquenti. Corre l'obbligo, però, di procedere a qualche distinguo di non lieve importanza: dal momento che i reati - in particolare «accattonaggio», «falsificazione di documenti», «guida senza patente», «resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale» - riguarderebbero sia i regolari, sia i clandestini, sarebbe più corretto fare questo calcolo non solo sui regolari, ma sommando ad essi anche i clandestini. E visto che le stime parlano di «due clandestini per ogni regolare», la cifra dovrebbe essere ridotta a meno di un terzo.
Particolarmente doloroso il capitolo relativo alla prostituzione, nel quale sono coinvolte donne, provenienti soprattutto dall'Africa e dall'Est europeo, che, allettate da false promesse di un lavoro pulito, si ritrovano, invece, sul marciapiede di qualche città  italiana. Pur di fare ingresso nel nostro paese in maniera irregolare, molte di loro pagano fior di cifre a quegli sfruttatori - anche loro connazionali - che le obbligano, poi, a prostituirsi per coprire i debiti contratti. Ma il vero problema, al di là  delle prostitute italiane o straniere, è costituito dalla «clientela» che alimenta un giro di centinaia di milioni e che andrebbe punita con maggior severità  e con una serie di provvedimenti amministrativi volti a scoraggiarla.

Uno sguardo al futuro

Una presa di coscienza maggiore, un pizzico di autoconservazione e di gelosia in meno, ma soprattutto un apprezzabile sforzo per dimostrare concretamente la sua solidarietà . È l'unica strada che il nostro paese deve percorrere per dimostrare agli altri, ma soprattutto a se stesso, di saper agevolare l'integrazione degli immigrati, non di abbandonarli a se stessi nei meandri della burocrazia. In particolare, va concesso con maggiore serenità  il nullaosta per il ricongiungimento dell'extracomunitario con i propri familiari. Fino a oggi, invece, sono stati pochissimi gli immigrati che hanno potuto vedere riconosciuta l'idoneità  del loro alloggio al ricongiungimento familiare. Un problema sottovalutato, ma che, specialmente in proiezione futura, dovrebbe essere risolto.
«Bloccare i flussi migratori semplicemente in ragione del 'non abbiamo bisogno di manodopera straniera' - scriveva, usando un tono metaforico, Carlo Melegari in un articolo pubblicato su 'Nigrizia' - significherebbe oggi chiudersi dentro una fortezza o una serie di fortezze che, non potendo essere penetrate con benevoli lasciapassare, lo diverrebbero sicuramente nel giro di pochi anni a malevoli colpi di dinamite».

   
   
SOLIDALI SOLO A PAROLE      

Per don Elvio Damoli, direttore della Caritas, gli italiani non sono disposti ad accettare gli immigrati come una ricchezza.

     

D on Elvio Damoli, direttore della Caritas italiana, punta deciso l'indice contro gli       italiani, richiamandoli a un maggior senso di responsabilità . «La verità  - dice don Elvio è che ci stiamo dimostrando solidali soltanto a parole, ma con i fatti siamo incapaci di favorire l'integrazione dei cittadini stranieri nella nostra società . Non riusciamo ad accettare che la diversità  costituisca un fattore di enorme ricchezza, per noi e per gli       altri. Per cui, fino a quando si trattava di fare l'elemosina all'extracomunitario che tendeva la mano, non c'era problema. Ma oggi, che ci viene chiesto di compiere un salto di qualità , di fronte alla richiesta di un immigrato di ottenere pari dignità , ci tiriamo indietro.
Mi pare, inoltre, che abbiamo anche qualcosa da farci perdonare, soprattutto dai       paesi del Terzo mondo: alla corsa sfrenata al colonialismo abbiamo partecipato anche noi, spesso sfruttandoli e riducendoli sul lastrico, visti gli effetti attuali. Senza regalare un briciolo di civiltà , come la storia insegna. Accogliendoli tra noi non faremmo altro che riparare in parte agli errori commessi in passato».

     

Msa. La gente teme che gli stranieri possano sottrarci posti di lavoro ed è diffidente.
Don Elvio
.Un comodo alibi, che però non trova riscontro nella realtà , se è vero,       invece, che gli immigrati sono gli unici disposti a fare determinati       lavori che gli italiani si rifiutano di svolgere. L economia del Nord, in       particolare, ha bisogno della loro manodopera.

     

Qual è il ruolo dello stato in questa       situazione?
Credo che le       istituzioni abbiano cominciato a prendere maggiore coscienza del fenomeno       immigrazione e, soprattutto, abbiano capito che occorre una       regolamentazione ben precisa. Si tratta di un segnale molto forte, perché       la qualità  della normativa di cui ha parlato il ministro Turco definisce       l accettazione dell immigrato, visto come cittadino in possesso di una       posizione giuridica, che ha diritto ad avere una famiglia e non più come       un diverso.
Alcuni partiti si attestano ancora su posizioni       intransigenti e tendono ad esprimere un rifiuto deciso nei confronti del       fenomeno migratorio: un fatto a mio avviso incomprensibile, antiquato, con       principi di «autodifesa della razza» che sanno tanto di       stantio.

     

Aumentano gli immigrati, aumentano i crimini: un'equazione giusta?
Nient'affatto. I reati, grandi e piccoli, ovviamente venivano commessi in egual misura anche prima delle ondate migratorie degli ultimi anni, ma alcune campagne mirate hanno voluto far credere il contrario. Piuttosto è su altri dati che occorre riflettere: su 100 italiani denunciati, ne vengono arrestati 30, viceversa, su 100 extracomunitari, 70 finiscono in carcere. Il che significa che l'immigrato rappresenta comunque la fascia più debole della società , non può permettersi un avvocato, di lui non si prende cura nessuno e finisce comunque agli arresti. E la maggior parte delle volte per reati minori e non, come si legge, solo per spaccio, violenze e rapine. Ormai gli extracomunitari       stanno accrescendo la popolazione detenuta, anche se molti potrebbero godere della semilibertà  e di misure alternative. Purtroppo non sono in grado di farlo perché non hanno punti di riferimento cui appoggiarsi. E se proprio vogliamo parlare di reati, come mai non si parla a sufficienza dello sfruttamento disumano che si fa degli extracomunitari nella raccolta dei pomodori o dei cinesi in alcune zone di Milano?

     

F.C.

 

   
   
POLITICA DA RIPENSARE      

A colloquio con monsignor Francesco Ruppi, vescovo di Lecce

     

O

rmai lo chiamano il «vescovo dei clandestini», una definizione che accetta con un pizzico di giusto orgoglio. È monsignor Cosmo Francesco Ruppi, da quasi undici anni arcivescovo di Lecce, una delle due diocesi pugliesi (l'altra è Otranto) in prima linea nell accoglienza agli stranieri che arrivano da oltre Adriatico. Un carattere tenace e duro, come le chiancarelle dei della sua Alberobello, dove è nato 67 anni fa. La sua opera è instancabile: non lascia nulla di intentato. Ha portato il problema profughi all'attenzione dei ministri e presidenti del Consiglio,chiesto l'intervento del presidente della Repubblica nei momenti più «caldi» degli sbarchi. Ha mosso tutto quanto si potesse muovere fino a ottenere un pubblico riconoscimento del Pontefice, che ha additato, ad esempio, il grande senso dell'accoglienza della gente salentina. Msa. Né guerra né pace sembrano fermare i flussi clandestini verso le coste pugliesi: dobbiamo rassegnarci a vivere con una perenne «invasione»?
Ruppi
. Rassegnarsi mai! Non è dei cristiani e dobbiamo giudicare invasione perenne il flusso di profughi clandestini, ma uno dei segni dei tempi che dobbiamo imparare a leggere e con cui dobbiamo confrontarci giorno per giorno, anzi notte per notte perché gli sbarchi avvengono soprattutto col favore delle tenebre.
'immigrazione non è una calamità  né una sciagura, ma uno dei tanti eventi che segnano questa fine di secolo e di millennio: ci sono circa cento milioni di uomini in cammino, da una parte all'altra della Terra. Si tratta di gente che fugge, dalla miseria o dalla guerra. Noi cristiani dobbiamo guardare al fenomeno immigratorio con gli occhi della fede, ricordando che il primo profugo è stato Gesù.     

Da più parti si criticano le leggi che regolano il flusso degli stranieri. Ma davvero sono così inefficaci?

Le leggi ci sono, anche se non sono perfette né integralmente applicate. Ma le leggi da sole non bastano. Occorre una politica per l'immigrazione che deve essere ripensata a livello nazionale e comunitario. L'accoglienza è un dovere, ma deve essere regolata e, soprattutto, va impedito lo sfruttamento dell'immigrazione da parte di gente squallida - come gli scafisti - che trasportano poveri uomini, donne e bambini dietro compensi da strozzinaggio. Questo è il vero problema, tante volte sollevato, ma di fronte al quale ancora una posizione ferma e decisa tarda a venire.
Riconosco lo sforzo fatto dai vari governi, ma è necessario regolare meglio i flussi       migratori e, soprattutto, incentivare l'immigrazione stagionale con leggi serie che proteggono i lavoratori stranieri, difendendoli dai «caporali»: quante volte ne abbiamo parlato!      

Quanto gli afflussi dei clandestini e gli

sforzi che la Chiesa leccese compie in loro favore hanno influito sulla pastorale?
Moltissimo. Anzi, l'afflusso di decine di migliaia di immigrati sulle coste pugliesi e lo sforzo di accoglienza che la Chiesa di Lecce sta facendo da questi tre anni, ha dato un nuovo volto alla nostra comunità . Lo Spirito sta facendo la sua parte in tutti noi, anche se non sempre abbiamo occhi per vederlo!     

Michele Partipilo

 

   
   
ACCOGLIERE CON CUORE E INTELLIGENZA      

Per Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, certi episodi di intolleranza non devono essere qualificati come sentimento nazionale.

Monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, provincia dove è forte la presenza di extracomunitari, è noto per le sue prese di posizione a favore degli immigrati, per favorirne l'accoglienza e l'integrazione.     

Msa. Monsignor Raffaele Nogaro, i sociologi ci avvertono che stiamo       diventando un paese razzista o, quanto meno, xenofobo. Lei che ne pensa?
Nogaro. Non sono d'accordo. Purtroppo il diverso può mettere in una condizione di disagio psicologico, inducendo a reagire in un modo. Però certi episodi di intolleranza non debbono essere qualificati come un sentimento nazionale. Io provengo dal Nord e non ho mai avvertito una chiusura verso lo straniero; lo stesso vale anche qui al Sud, tranne qualche piccolo episodio di intolleranza. Da noi c'è una fortissima       immigrazione; molto spesso è di passaggio e quindi non immediatamente       residenziale. L'accoglienza viene fatta con il cuore, ma anche con l'intelligenza. Oggi l'immigrato va in cerca di pane e di speranza, quindi deve essere protetto, aiutato e sostenuto.

A che tipo di accoglienza si riferisce?
Caserta è una piccola patria di immigrati, soprattutto dal nord e dal centro Africa.
Ma c'è chi proviene dai paesi dell'Est, soprattutto donne polacche. Il nostro impegno è dunque di costruire e sviluppare una pastorale dell'immigrato.
     

Di fronte alle differenze religiose, per esempio di fronte al cittadino musulmano, come deve porsi il cristiano? Rispettando il suo credo o cercando di convertirlo?
Dobbiamo porci con profondo rispetto. Da noi gli immigrati sono in prevalenza di fede musulmana. Ho dato una fatiscente a un gruppo di volontari di non dichiarata fede cattolica. Abbiamo preparato anche una sala di preghiera per i musulmani, in modo da dare il senso dell'accoglienza e della bontà  cristiana. Non dobbiamo pensare a un «inquinamento religioso»; ho sempre indicato questi giovani musulmani come testimoni di preghiera. Non credo che il proselitismo abbia un significato nel Vangelo. Penso, invece, che noi abbiamo un cuore cristiano da presentare ed è il cuore cristiano che eventualmente può produrre conversioni.

Molti vedono gli immigrati come una minaccia, come gente che aumenta i       problemi che già  ci sono... mi riferisco anche all'occupazione...
Io vedo gli immigrati come degli integratori sociali più che invasori. Essi portano una reale ricchezza religiosa, culturale, sociale ed economica. Gli immigrati qui da noi, se non trovano un lavoro, lo inventano: ai crocicchi delle strade vendono fazzoletti,       chincaglierie, puliscono vetri... Questi immigrati sono di sprone a molti ragazzi meridionali che cercano un'occupazione, ma non hanno inventiva e cultura d'impresa.     

Claudio Zerbetto

 

   
   

   

ISLAM: OBIETTIVO ITALIA      

Per Giuseppe Samir Eid, egiziano, a Milano da molti anni, esiste un preciso progetto per islamizzare il nostro paese.

 G iuseppe Samir Eid , nato in Egitto da genitori di origine siro-libanese, vive in Italia da quarant'anni. La sua è una storia singolare: ha sposato una Marzotto di Valdagno, è consulente di gestione economica d'impresa,collabora con il Centro ambrosiano di documentazione per le religioni e ha pubblicato diversi volumi tra cui Cristiani e musulmani verso il 2000       (Paoline) e L'islam: storia, fede e cultura (La scuola).     

«Ho conosciuto - racconta - mia moglie Clotilde, veneta, a Londra dove       conseguivo una specializzazione nel campo del controllo economico delle       imprese, e lei perfezionava la lingua. Dopo i primi anni di innamoramento, il problema principale che abbiamo avuto è stato quello della differenza culturale e di mentalità : lei era autonoma finanziariamente e di forte personalità , cosa che si addice difficilmente all'educazione ricevuta in un paese arabo. Non esisteva, invece, il problema religioso, essendo tutti due cattolici.

     

Msa. L'apporto dei lavoratori extracomunitari per l'economia italiana è diventato indispensabile?
Samir Eid. Considerando il costo sociale dell'immigrazione, senza una pianificazione socioeconomica e una chiara strategia, a lungo termine, credo che sia più conveniente per l'Italia fare una politica che incentivi i disoccupati italiani a svolgere le funzioni demandate ad altri. Inoltre, tenendo presente che l'immigrato proviene da uno stato povero e con il suo lavoro contribuisce ad arricchire uno stato più ricco, il risultato globale è l'aumento del divario economico tra i paesi ricchi e i poveri.

     

Secondo lei, l'islam è disposto all'integrazione?
L'immigrazione islamica in Italia rappresenta circa un buon terzo degli immigrati regolari. I centri islamici potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per migliorare l'integrazione nel paese di adozione e fare da ponte tra le due rive del Mediterraneo, invece alcuni di loro sono       espressione del fondamentalismo dichiarando la superiorità  della religione       musulmana rispetto a tutte le altre e hanno un progetto per l'Italia:introdurre l'islam nel paese. Kabul non è chi sa dove, lontana 6 mila chilometri dall'Italia: delle piccole Kabul sono già  dentro le nostre città . Usi e costumi importati dal Medio Oriente, superati e ormai abbandonati nelle grandi città  del mondo arabo, sono presentati come fondamenti culturali e religiosi. L'ignoranza e forse l'eccesso di       garantismo dei nostri opinion makers fanno sì che siano accettati sotto la copertura di libertà  religiosa.
La libertà  d'opinione e di scelta dell'Europa potrebbe presentare un'occasione per i musulmani di riflessione e di discussion per anteporre la conversione interiore alle       proibizioni? Un'occasione per cristiani e musulmani di reciproco arricchimento spirituale .

     

Laura Pisanello

MARTINI: DIALOGARE CON CRITERIO      

«...Vi sarebbe da dire una parola più specifica per le nostre comunità   e in particolare per i presbiteri che le presiedono. Vi sono due posizioni       errate da evitare e una posizione corretta da promuovere.

     

Prima posizione errata: la noncuranza del fenomeno. Il limitarsi a pensare all'islam come a una costellazione remota che ci sfiora soltanto di passaggio o che ci tocca per problemi di assistenza, ma che non avrà  impatto culturale e religioso nelle nostre comunità . Da tale posizione si scivola facilmente a sentimenti di disagio e quasi di rifiuto o di intolleranza.

     

Seconda posizione errata : lo zelo disinformato. Si fa di ogni un fascio, si propugna l'uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità , si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera ponderato che cosa significhi questo per un corretto rapporto interreligioso.
Al riguardo saranno necessarie norme precise e rigorose, anche per evitare di essere fraintesi.

     

La posizione corretta è lo sforzo serio di conoscenza, la ricerca di strumenti e l'interrogazione di persone competenti...
Come è chiaro in quanto abbiamo detto, pensiamo fermamente che il tempo delle lotte di conquista da una parte e delle crociate dall'altra debba considerarsi come finito. Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e fraternità  e insistiamo e       insisteremo perché a tali rapporti si conformi anche il costume e il diritto vigente nei paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una giusta reciprocità ».

     

Da «Noi e l'slam», discorso del cardinale Carlo Maria Martini del 6 dicembre 1990.

 

   
   
UN CAFFE' MULTICOLORE    

Intellettuali e artisti immigrati da vari paesi hanno trovato una rivista dove potersi esprimere, dialogare e raccontarsi.

«S crivo dunque sono», forse è questo il  significato profondo de «Il Caffè», la rivista multiculturale che vuole «catturare» gli scritti di uomini e donne stranieri che vivono in Italia. Un'impresa ardua, quella dello scrivere per gli immigrati, dato che la loro esistenza di esuli impone loro altre priorità : cercare casa, trovare un lavoro, cambiare città , fare file interminabili per i documenti. È un «Caffè» rinnovato quello in uscita questo mese, dove i racconti, le poesie, le testimonianze sono quasi sempre inedite e spesso scritte direttamente in italiano con una padronanza a volte sorprendente. Ma perché proprio questo titolo? Lo abbiamo chiesto al direttore della rivista, Massimo Ghirelli: «Perché il caffè è un luogo di incontro e di dialogo. Ma è anche un prodotto tipico del Sud del mondo che è diventato parte integrante della nostra cultura. Per questo, con l'archivio dell'immigrazione diretto da Maria de Lourdes Jesus capoverdiana, che ha appena pubblicato il volume Racordai organizziamo letture e incontri con gli autori, raccogliamo materiali sull'immigrazione e il razzismo, organizziamo corsi di formazione per stranieri e di aggiornamento per insegnanti italiani, oltre a incontri nelle scuole. Negli ultimi anni in Italia si è sviluppata una ricca e interessante letteratura scritta degli immigrati. E la rivista 'Il Caffè' ne è un

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017