Intervista a Francesco Paolo Casavola. Bicamerale come il Titanic

Quali scenari ci attendono dopo il naufragio della Commissione che avrebbe dovuto riscrivere la Costituzione italiana? Ne abbiamo parlato con il presidente emerito della Corte costituzionale.
12 Ottobre 1998 | di

Roma

Tutto era cominciato nel febbraio del 1997, con la nomina, da parte dei presidenti delle Camere, dei 70 membri (35 senatori e 35 deputati) della Commissione Bicamerale che avrebbe dovuto lavorare alla revisione della seconda parte della Costituzione, quella cioè riguardante le Istituzioni dello Stato. Tra maggio e giugno è saltato l'accordo tra i partiti e, con esso anche la Bicamerale.

Uno dei nodi che la Commissione avrebbe dovuto sciogliere, riguardava il voto per gli italiani all estero: la Bicamerale avrebbe infatti dovuto definire il numero di rappresentanti eleggibili nella virtuale «Regione unica» nella quale sarebbero confluiti tutti i connazionali all'estero. Sarebbe stato lasciato, invece, a una legge ordinaria il compito di stabilire le regole e le modalità  di voto che, com'è noto, avrebbero permesso di esercitare il diritto di voto direttamente nel Paese di residenza.

Abbiamo chiesto al professor Francesco Paolo Casavola, insigne giurista e presidente emerito della Corte costituzionale, di tratteggiare alcuni possibili scenari, all'indomani del fallimento della Bicamerale.

 

Msa. Professor Casavola, ora quali prospettive si aprono per il Paese?

Casavola. Realismo vorrebbe che in attuazione del procedimento di revisione previsto dall'articolo 138 della Costituzione italiana, si preparassero i testi di quattro leggi costituzionali: per il principio di sussidiarietà , per il premierato, per il Parlamento monocamerale, per l'unità  strutturale della giurisdizione.

In tal modo si potrebbero ottenere rispettivamente: la vicinanza del potere ai cittadini con le loro comunità  originarie, i comuni e poi, via via risalendo la scala della sussidiarietà , provincie, regioni, stato; la scelta del primo ministro a seguito di elezioni maggioritarie, indicata nel leader dello schieramento vincitore; la semplificazione e la tempestività  del processo legislativo e di controllo parlamentare dell'esecutivo; la migliore tutela dei diritti del cittadino ad opera di un unico ordine giudiziario che contenga in sé tutte le competenze dei giudici civili, penali, amministrativi, contabili, militari.

 

Rimanendo sempre nell'ambito delle riforme costituzionali, quali fattori hanno provocato la sospensione dei lavori della Commissione?

Ci sono stati troppi interessi personali, privati, corporativi e di partito, non politici, perché i veri interessi politici sono, o dovrebbero essere, soltanto quelli dei cittadini.

 

Utilizzando come parametro di confronto la scelta compiuta da altri stati quali Germania, Usa, Francia o Inghilterra, quale potrebbe essere, a suo parere, la forma di premierato più adatta all'Italia?

Da noi andrebbe bene il modello britannico, detto alla Westminster, che realizza un potere forte e stabile dell'esecutivo nella persona del leader della maggioranza parlamentare implicitamente eletto dai cittadini, formalmente nominato dal Capo dello Stato.

 

Secondo lei, la questione del voto per gli italiani all'estero è un'ipotesi plausibile, oppure rischia di sconvolgere gli equilibri politici interni?

Gli italiani all'estero, se si riconoscesse loro il diritto di voto e lo esercitassero responsabilmente e consapevolmente, non dovrebbero essere temuti per pretesi effetti di alterazione degli equilibri politici del Paese da cui si sono estraniati. Chi vuole votare, evidentemente vuole non sentirsi separato dai concittadini in patria.

 

Purtroppo il fallimento della Bicamerale ha impedito che si accogliessero le istanze provenienti da più parti e che auspicavano la creazione di una forma di federalismo anche in Italia. E adesso?

Federalismo vuol dire processo e assetto di unificazione di più stati. Da noi si vuole che significhi il contrario, cioè pluralità  di poteri e competenze statuali in luogo di un organismo unitario. Il termine assume un significato convenzionale per venire incontro a istanze che altrimenti diverrebbero rivoluzionarie e separatiste. In realtà  si tratta di strutturare la forma di Stato non partendo dall'alto della sovranità  dello Stato apparato o ordinamento, ma dal basso delle comunità  concrete in cui vivono i cittadini.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017