Io buono, tu cattivo semplificazione facile, ma falsa

Semplificare la realtà umana in buoni e cattivi è una scusa per tirarci fuori. Bene e male lottano dentro di noi.
29 Settembre 2004 | di

C'è poco da fare: siamo stati abituati così. Le Giubbe blu... buone. Gli indiani... cattivi. I marines... buoni. I musi gialli... cattivi. I partigiani... buoni. I fascisti... cattivi. I romani... buoni. Annibale e i suoi elefanti... cattivi. Luisa... buona. Claudia... cattiva. Il prof di inglese... buono. Quello di mate... cattivo. Noi... buoni. Gli altri... cattivi.
E va bene così. Il male è male e, pur con tutti i distinguo di questo mondo, tale rimane. Anche se spesso però lo definiamo (opportunisticamente) solo a partire dalla nostra posizione che, manco a dirlo, è quella giusta... Naturalmente, per la controparte è esattamente il contrario.
Ma poi la realtà , per fortuna, è meno semplice di quel che non si creda, meno semplificabile, più complessa, più ricca di grigi che non di nero e bianco contrapposti. E i nostri sforzi di ordinarla in ogni sua parte, dichiarando dove stia il bene e dove stia il male, chi sia di là  e chi sia di qua, assomigliano piuttosto al tentativo, per certi versi un po' patetico, di tirarsene fuori. Spesso di giustificarsi lavandosene la coscienza.
Perché invece scopriamo, senza fare di ogni erba un fascio, che dall'una come dall'altra parte ci sono degli uomini e delle donne, in carne e ossa, con le loro storie, la loro cultura, i loro pensieri, sogni, paure, desideri, convinzioni, dubbi.
Da una parte e dall'altra del fronte ci sono esaltati, idealisti, martiri, assassini, persone che tentano di essere coerenti con la propria coscienza o di vivere, e spesso morire, secondo la propria fede.

Uomo, quindi un poveruomo

L'appartenenza che davvero fa testo, non è a quello o a questo esercito ma all'umanità . Perché basta essere uomo per essere un poveruomo: io come chi ho di fronte e indossa una divisa diversa dalla mia, innalza una bandiera diversa dalla mia, parla una lingua diversa dalla mia. Ma alla fine è come me. Anzi, è me. Se muore lui, muoio io.
La linea gotica, quella sottile linea che divide il male dal bene, attraversa drammaticamente il cuore di ciascuno di noi, ne sconvolge l'esistenza, ne mette in gioco la vita.
È lì il punto in cui nessuno può sottrarsi o nascondersi dietro a un ordine o a un'ideologia, ma deve ragionare con il proprio cuore e con la propria testa.
È lì il punto in cui un uomo è nudo e solo davanti a se stesso e alla sua coscienza, o come altro si voglia definire quella misteriosa chiamata interiore a realizzare se stessi secondo un progetto d'amore. È quello il punto X che fonda la dignità  di ognuno: la libertà  di sottrarsi al male, costi quel che costi. La libertà  di decidersi per il bene. Di reclamare per sé il diritto di sentirsi fratello di tutti, di non imbestialirsi, di non essere intruppato, fino a morirne se la scelta del bene non fosse per qualche motivo praticabile.
Personaggi come i nostri Francesco d'Assisi e Antonio di Padova, che pure sembrano così moralisti e rigidi, con le idee molto chiare sulla distinzione tra bene e male, poi effettivamente, nella vita, li ritroviamo francescanamente molto più liberi e... più umani.
Alla fine, per quel che ci riguarda, resta la responsabilità  personale. E la propria testimonianza. Fino a dare la vita, in qualsiasi modo, per sé, per la propria dignità  e per quella di tutti noi.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017