Ipotecare il futuro per una bravata?
I minori sono troppo spesso alla ribalta della cronaca: quasi sempre vittime del mondo adulto, di recente anche autori di azioni esecrabili che comportano veri e propri reati. I giovanissimi frequentemente danno giustificazione delle loro riprovevoli «imprese» definendole «ragazzate» messe in atto tanto per «fare qualcosa», senza mostrare quindi consapevolezza di aver compiuto atti delittuosi. Ma, in realtà, a che cosa vanno incontro questi ragazzi protagonisti di episodi che superano la soglia del lecito? Il minore che abbia compiuto i quattordici anni e che abbia capacità di intendere e di volere risponde penalmente di quanto commette. Un tempo la soglia dell’imputabilità era fissata a nove anni; oggi ci si chiede, ma con scarsa convinzione, se possa essere sanzionabile il minore di dodici anni: sia le discipline psicologiche che la prassi giudiziaria spesso riscontrano che la maturità per comprendere la gravità dei propri atti manca addirittura negli ultra-quattordicenni.
Se responsabile di un reato, il minore viene giudicato dal Tribunale per i minorenni. «Per» i minorenni, appunto: il diritto minorile si fonda infatti sul principio cardine del recupero del minore e, anche nei casi gravi, punta alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale. Ecco perché la giustizia minorile prevede strumenti giuridici tipici, che non si ritrovano nel diritto penale applicabile ai maggiorenni: la dichiarazione della irrilevanza del fatto, la «messa alla prova» e il perdono giudiziale. Quando il comportamento illecito di un minore è occasionale e di scarsa gravità (ad esempio il furto di frutti dall’albero o l’insulto pronunciato in un momento di rabbia) il giudice può proscioglierlo, se ritiene che l’ulteriore corso del procedimento comprometta il suo sviluppo educativo. Ancora: per agevolare il minore in difficoltà è previsto il perdono giudiziale. Vale a dire che lo Stato rinuncia a irrogare (cioè a infliggere) una sanzione, quando il minore responsabile di reati non particolarmente gravi abbia riconosciuto la propria colpevolezza e ci sia motivo di ritenere che non commetterà in futuro altri illeciti.
La «messa alla prova», infine, prevede la sospensione del processo: si propone al minore di seguire un programma di recupero delineato con l’intervento dei servizi sociali, che prevede delle prescrizioni comportamentali, uno specifico impegno nel sociale, la partecipazione a incontri rieducativi. Il minore deve, se possibile, riparare alle conseguenze dell’atto commesso e cercare la conciliazione con la parte offesa. Se la prova ha esito positivo, il reato viene dichiarato estinto.
Magistrati specializzati, i giudici dei Tribunali dei minorenni sono affiancati da esperti in problematiche minorili non appartenenti alla magistratura. L’infradiciottenne ha diritto, oltre che a un difensore in possesso di determinate competenze e sensibilità, a un’assistenza affettiva e psicologica, garantita dalla presenza dei genitori o di un’altra persona da lui indicata. Il danneggiato, poi, non può chiedere il risarcimento in sede penale, ma solo davanti al giudice civile ordinario. Tutto ciò per proteggere il minore dal trauma e dalle tensioni che possono derivare dal processo, e che potrebbero influire negativamente sullo sviluppo della sua personalità e sul suo rapporto con gli adulti.
Potrebbe essere utile spiegare chiaramente ai giovani quali gravi conseguenze derivino da un agire spregiudicato. Potrebbe servire sapere che un’azione grave, commessa magari per divertirsi in modo alternativo e che si consuma in pochi minuti, si traduce inesorabilmente in un dispendio di energie psichiche, fisiche, economiche, proprie e della propria famiglia, che durerà anni, segnando inevitabilmente il futuro. Ne vale la pena? La risposta di ogni ragazzino sveglio dovrebbe essere una sola.