Irlanda del Nord Fragile, ma è pace

Viaggio nell’Irlanda del Nord per vedere come vive la gente dopo gli accordi che dovrebbero sancire la fine di un cruento conflitto durato decenni: qualcosa va meglio, anche se le tensioni non sono del tutto sopite.
05 Dicembre 1998 | di

Il passaggio di frontiera fra Repubblica d'Irlanda (indipendente) e Irlanda del Nord (sotto amministrazione inglese) è inavvertito: dopo l'accordo europeo di Schenghen, anche qui le sbarre sono sparite e si fila via senza intoppi, anche se dai finestrini del pullman di linea si possono ancora scorgere soldati in tuta mimetica. L'unico segno evidente sono i cartelli stradali che non recano più la doppia indicazione, in gaelico e in inglese dell'Irlanda indipendente, ma solo quella in inglese.

L'atmosfera a Belfast, capitale del Nord, è, però, ben diversa da quella lasciata a Dublino, capitale dell'Irlanda. Dublino mi è apparsa come una città  totalmente europea, dove i giovani si sono messi alle spalle il nazionalismo che ha arrovellato le precedenti generazioni, e godono - nel bene e negli eccessi - il «boom economico» finalmente arrivato, dopo secoli di penuria e carestie (a metà  dell'Ottocento più di un milione di irlandesi morì di fame per la malattia delle patate).

Belfast è invece divisa, anche visivamente, fra quartieri protestanti e quartieri cattolici e vi ritrovo quello «spirito di lotta tribale» che, purtroppo, ho ben conosciuto a Sarajevo e altri luoghi dell'ex Jugoslavia.

Sono venuto per vedere i cambiamenti che ha prodotto l'«Agreement», l'accordo di pace firmato il 10 aprile scorso e che porta il nome del «Venerdì Santo».

Ne ricevo una copia che mostra sulla copertina la silhouette di una famiglia sullo sfondo di un'alba, ma come sempre i primi passi sono i più difficili da compiere.

Lo scontro si è subito prodotto sui preliminari: gli «unionisti» (protestanti filo-inglesi) dicono che il disarmo dei gruppi paramilitari è prioritario, il «Sinn Fein» (nazionalisti repubblicani, cattolici) vuole, invece, essere associato subito al potere, per poterlo controllare e porre fine a decenni di discriminazioni.

C'è un calendario stretto da rispettare: se il processo va avanti, entro febbraio del prossimo anno l'Irlanda del Nord dovrebbe avere l'autogoverno, sia pure sotto sovranità  britannica. Le truppe britanniche - attualmente ancora quindicimila militari - hanno cominciato a lasciare il Paese, ma in misura ridotta: per Henry Mellroy, un allevatore a ridosso del confine, nulla è cambiato, e gli elicotteri che passano a volo radente continuano a spingere le sue pecore contro la barriera elettrificata. In effetti, il ritiro diventerà  rapido solo quando le milizie paramilitari, l'«Ira» cattolica e quelle protestanti, avranno disarmato. Ma il «Sinn Fein» chiede che, nel conto delle armi, siano messi anche i quasi centoquarantamila porto d'armi legali concessi in passato con generosità  dall'amministrazione ai sudditi «lealisti», cioè filo-britannici. E la creazione di una nuova polizia, dato che l'attuale, la «Ruc», è composta per il 92 per cento da protestanti lealisti e anti-nazionalisti.

Come sempre, emergono anche paradossi di segno contrario, indicati dall'Associazione vittime del terrorismo. Michelle Williamson, una protestante che nel 1993 ha perso entrambi i genitori in un attentato e da allora è incapace di lavorare per il trauma subito, si è vista offrire, come indennità , solo il rimborso delle spese del funerale, e l'ha rifiutato. Mentre i condannati dell'«Ira» che l'anno scorso erano stati precipitosamente trasferiti dal carcere dopo un tentativo di fuga, hanno ottenuto il rimborso del vestiario perduto durante il trasferimento.

Per rendermi conto di come vive ora la gente, attraverso i quartieri popolari - il cattolico Falls, il protestante Shankill - dove campeggiano grandi murales ancora ispirati alle imprese dei paramilitari, e vado a visitare la «Cornerstone Community», un gruppo pacifista ecumenico protestanti-cattolici che da anni ha scelto di dare la sua testimonianza alla frontiera fra i due quartieri. Cornerstone è la «pietra d'angolo» dei Vangeli. Mi dice il direttore Tom Hannon: «La gente non è più terrorizzata, non viviamo più in situazione permanente di coprifuoco. Quindi, i primi effetti dell'accordo di pace si sentono. Ma basta poco, qualche tensione, qualche provocazione, per riportare al punto di rottura, di scontro». Sul quartiere planano ancora i fortini blindati della polizia, anche se i poliziotti cercano di non dare troppo nell'occhio, di evitare spiegamenti massicci, da rastrellamento.

L'«Ordine di Orange» ha ripreso a marciare. Si tratta di una loggia simile a quelle massoniche, che pretende di rappresentare e tutelare le tradizioni storiche della comunità  protestante, a partire dalla vittoria del 1690 del re protestante Guglielmo d'Orange sul re cattolico Giacomo Stuart. Sono quasi tremila fra marce e marcette in costume che percorrono tutto il paese. Al rullo dei tamburi, vessilli al vento, gli orangisti pretendono di attraversare anche i quartieri cattolici. Dicono che è un modo per affermare la propria identità  religiosa, culturale, politica. I cattolici ribattono: «No talking, no walking». Niente marce senza colloquio, senza accordo. È stata istituita una speciale commissione incaricata di stabilire date e percorsi. Ma gli orangisti rifiutano di sottoporsi al suo beneplacito. E così si creano nuovi motivi di tensione.

Un terreno dove gli accordi invece funzionano è quello delle amministrazioni comunali. Derry (che i protestanti chiamano «Londonderry»), Belfast, altri centri sono retti in rotazione annuale da un sindaco ora unionista-protestante, ora nazionalista-cattolico. Si tratta adesso di estendere il principio dall'amministrazione locale a quella dell'intera Irlanda del Nord. Il famoso transatlantico Titanic fu varato dai cantieri navali di Belfast che, dopo un lungo periodo di crisi e di riconversione, oggi sono tornati competitivi. Il tessile, ugualmente un tempo famoso, ha ripreso solo in parte, ma è stato rimpiazzato dall'elettronica e da consistenti investimenti d'oltre Atlantico. L'intero centro commerciale di Belfast è stato rinnovato, con una riuscita contaminazione fra edilizia ottocentesca e contemporanea. Il Paese vive il boom economico, la disoccupazione è scesa al 7 per cento. In più, ci sono gli aiuti che giungono dall'Unione europea, per facilitare il processo di pace: novecentosessantanove miliardi di lire. Ma investimenti e benessere, da soli, non bastano. Ci vuole, soprattutto, il cambio delle mentalità , l'adesione degli animi.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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