Italianità con un futuro?

L’emigrazione italiana nel mondo è stata un’esperienza epica di cui la storia del nostro Paese deve saper fare tesoro, attraverso la memoria collettiva. Oggi occorre investire nella lingua e nella cultura.
12 Aprile 2012 | di

Ha un futuro l’italianità nel mondo? È un interrogativo che diversi lettori ci rivolgono. Per rispondere, è necessario verificare se sia un’utopia sperare, dopo un vuoto di anni, in un programma politico, sociale e culturale del governo, sostenuto dalle maggiori istituzioni italiane, che eviti la scissione tra la nostra diaspora nel mondo e il Sistema Italia. «Profonde trasformazioni globali ci pongono di fronte a inediti fenomeni di migrazione, a nuove esigenze di politiche di accoglienza e inclusione sociale e civile» ha affermato Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica italiana, nel suo messaggio a Elio Carozza, segretario generale del Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie), in occasione della prima assemblea plenaria del 2012. Napolitano ha aggiunto che l’emigrazione italiana costituisce «un patrimonio unico di esperienze individuali e collettive, di generazioni diverse, al quale ispirarci come concreta testimonianza ed esempio di integrazione e laboriosità».

L’emigrazione italiana nel mondo offre una visione positiva della nostra storia, nonostante la crisi economica stia sottraendo a tante comunità, istituzioni e realtà la visibilità del proprio retaggio culturale e creativo. Se i valori dell’identità non sono sostenuti, l’italianità non può avere un futuro: l’alternativa è lasciare che questa realtà si presenti sempre più come una diaspora che non ha conservato legami significativi con le proprie radici, nel contesto delle trasformazioni culturali e sociali nei Paesi ospitanti in cui è stata, per tanti aspetti, protagonista. Nel mondo erano più visibili gli obiettivi e le finalità a sostegno dell’italianità, quando era in atto una politica del Governo e delle Regioni italiane che, attraverso il coordinamento e la mediazione dei consolati, dei Comites e dei patronati, sosteneva il ruolo di tante attività istituzionali e associative; garantiva un futuro alle scuole e agli istituti culturali; poneva l’insegnamento della lingua italiana come strumento principe per la promozione del Sistema Paese. 
La nostra è, forse, la visione di una «storia del passato».

Se, però, speriamo in un futuro per l’italianità nel mondo, può essere un forte stimolo per un nuovo progetto politico-culturale-sociale con prospettive di rinnovamento e radicamento territoriale. Il nuovo può emergere, se si investe sul patrimonio che da sempre caratterizza l’Italia nella storia; se si investe nella cultura e nella lingua italiana, nei suoi centri di ricerca, di sviluppo, di solidarietà; se si punta sull’arte e sulle bellezze che rendono il nostro Paese «unico» e conferiscono un senso alla domanda di un passaporto o della doppia cittadinanza, come segni di una specifica appartenenza.

Infine: qual è l’apporto del nostro mensile in questo momento critico? Come per altri media rivolti agli italiani nel mondo, stiamo individuando priorità su cui investire, distaccandoci da cronache autoreferenziali, ricche di folklore ma povere di contenuto; offrendo ai lettori, invece, dossier e articoli su eventi e problemi dibattuti in Italia, nella Chiesa, nel mondo, ed esperienze significative di italianità. Una scelta che può approfondire rapporti, stimolare confronti, informazioni di ritorno, contatti con le nuove generazioni italiane che, anche per noi, come ha sottolineato padre Graziano Tassello, «non sono vasi da riempiere, ma fiaccole da accendere».
 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017