Nonostante il fatto che negli ultimi anni, anche in coincidenza con il nuovo pontificato di Benedetto XVI, la Chiesa in Italia abbia dedicato molto spazio ai temi cari ai cattolici, legati ai valori cosiddetti irrinunciabili (vita, famiglia, bioetica, questione del gender, limiti della scienza, ecc.), non è mai mancata la sua riflessione e presa di posizione sulla questione sociale, che nell’epoca attuale richiede di fare i conti con la grande crisi economica e finanziaria che ha investito il mondo globale e con i suoi rilevanti costi sociali. Da più parti si sottolinea che è finito un mondo, che nulla sarà più come prima, di fronte a uno scenario così drammatico da evocare a molti osservatori la grande depressione esplosa nel 1929 con il crollo di Wall Street. Di queste preoccupazioni si è più volte fatto interprete lo stesso Pontefice, che non ha mancato di denunciare le cause ultime e le responsabilità della grave situazione che si è creata.
Una finanza senza scrupoli
A detta del Papa, dietro la crisi finanziaria arrivata dagli Stati Uniti, dietro il crollo delle grandi banche, dietro una finanza creativa senza scrupoli, si può scorgere «il peccato d’idolatria del dio denaro», «la maligna opera dell’avarizia che oscura il vero Dio», «una lobby di interessi personali e di gruppi, nazionali e internazionali, che si oppongono alla correzione dei problemi». In altri termini, la logica dell’«egoismo di volere tutto il mondo per se stessi» oscura le istanze della ragione. Benedetto XVI non ha solo fatto riferimento al livello macroeconomico della crisi, ma anche alle ripercussioni di essa sulle comunità e sulla vita quotidiana della gente, ricordando le molte persone che perdono casa e lavoro, le famiglie in difficoltà, i giovani dal futuro sempre più incerto, la riduzione delle risorse pubbliche per far fronte alle emergenze sociali. Di qui l’impegno della Chiesa non solo per denunciare i limiti di un sistema finanziario ed economico sregolato e irresponsabile, ma anche per richiamare i responsabili delle diverse nazioni e tutte le forze sociali e politiche a ispirare la loro azione sia a modelli economici credibili sia, soprattutto, a criteri di giustizia sociale.
Queste prese di posizione del Papa sulla crisi di portata mondiale trovano pronta eco nelle riflessioni che numerosi vescovi italiani rivolgono alle loro chiese locali, per accompagnare le comunità in una stagione socialmente difficile e carente di risorse pubbliche. Così, ad esempio, il cardinale Tettamanzi è più volte intervenuto nel richiamare la diocesi di Milano a mobilitarsi per far fronte a una crisi che non sembra ancora aver manifestato pienamente i suoi effetti destabilizzanti. Lo scorso Natale egli ha invitato tutti a un supplemento speciale di fraternità e solidarietà, aprendo un fondo da un milione di euro per i disoccupati. Ma oltre ai gesti concreti, la sua riflessione ha evocato un monito che la crisi rivolge ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà. Non si può continuare a vivere al di sopra delle proprie possibilità; occorre recuperare il senso della misura e della sobrietà nelle questioni economiche e nel modo di vivere lo sviluppo; non è possibile consumare sempre di più. Analoghe preoccupazioni sono state al centro delle esortazioni che l’arcivescovo di Torino, cardinale Poletto, ha rivolto alla sua città perché non perda la fiducia e non si lasci prendere dal pessimismo. Se «la nostra vita spirituale diventa più retta, più limpida, la crisi potrebbe rivelarsi come un’opportunità positiva perché ci costringe a ridimensionare certi nostri stili di vita».
Richiami di questo tipo sono dunque diffusi nella comunità ecclesiale e alimentano – anche in questo difficile momento – quell’azione di carità e di solidarietà che è una delle costanti di fondo della presenza cattolica nella società italiana, che si compone di molte strutture e figure (Caritas, gruppi di volontariato, congregazioni religiose dedite alla carità, ecc.) che da sempre operano per far fronte sia alle vecchie che alle nuove forme di povertà.
Mentre di fronte alla crisi economica in atto la Chiesa italiana esprime una denuncia e una mobilitazione uniforme, lo stesso non si può dire a proposito di alcuni drammi sociali – anch’essi prodotto della crisi economica – tipici del tempo presente, come quelli connessi ai nuovi flussi migratori o a un’organizzazione del lavoro che rende l’occupazione sempre più flessibile e precaria. Certo i gruppi ecclesiali e la rete del volontariato socio-assistenziale sono assai attivi anche in questi campi, dando il loro contributo alla soluzione delle emergenze. Tuttavia su questi problemi le posizioni della Chiesa sembrano più incerte e ambivalenti, trattandosi di fenomeni al centro di un acceso dibattito pubblico e dalle evidenti valenze politiche.
Immigrazione e precariato
Sulla questione immigrati la Chiesa italiana non manca di richiamare la popolazione al dovere di accoglienza e di solidarietà nei confronti di soggetti che giungono nella nostra società per sfuggire alla miseria e in cerca di sopravvivenza, pur registrando l’aumento dei problemi sociali legati ai nuovi arrivi (maggior tasso di crimini, insicurezza diffusa, concorrenza tra autoctoni e stranieri per le risorse pubbliche quali casa, lavoro, ecc.) e la crescente insofferenza dei cittadini verso il nuovo stato delle cose. Da un lato, quindi, la Chiesa invita il Paese e le forze politiche a non confinare gli immigrati in ghetti intollerabili, a non renderli oggetto di stigma, a non trattarli come stranieri o nemici o soltanto come strumenti di lavoro, a evitare che nel rapporto immigrati-autoctoni si usino due pesi e due misure, a ricordare che i diritti alla sicurezza debbono comporsi con l’attenzione a quanti sono privi di diritti. Dall’altro lato, però, la Chiesa avverte che su tale questione si sta creando una spaccatura non solo nella più ampia società, ma anche nelle comunità cristiane. Di qui la prudenza dei vertici ecclesiali nell’emettere giudizi sulla situazione che creino ulteriore divisione nell’opinione pubblica o che suonino come conferma di particolari visioni politiche dei problemi.
Analogamente, anche sulla questione dei lavori precari la voce della Chiesa sembra essere incerta. La flessibilità del lavoro è un tratto tipico della modernità avanzata e di uno sviluppo economico «aperto». Tuttavia, se questa logica è troppo spinta si producono situazioni in cui domina l’incertezza occupazionale, con enti e imprese più attente ai loro interessi economici che alle condizioni dei lavoratori. La difficoltà di valutare queste situazioni può essere alla base del minor impegno – rispetto a quanto avveniva nel passato – degli ambienti cattolici nel campo della pastorale del lavoro. Un tempo la Chiesa era in prima linea nel difendere gli interessi dei lavoratori, nel rivendicare l’importanza della stabilità occupazionale, nello spingere i credenti a impegnarsi in questo campo. Oggi il vertice della Chiesa continua a lanciare messaggi al riguardo, ma l’azione più incisiva su questi temi viene svolta più da forze di altra estrazione culturale (in particolare dalla sinistra radicale), che dai gruppi e ambienti cattolici (Uffici della pastorale del lavoro, Acli, ecc.) che nel passato sono stati fortemente impegnati in questa battaglia sociale.
I numeri
15 milioni le persone coinvolte nell’emergenza sociale in Italia;
13 % della popolazione italiana è povero, costretto cioè a vivere con meno di 500-600 euro al mese;
30,2 % delle famiglie italiane con tre o più figli risulta povero;
da 500 a 2000 euro la somma erogata alle famiglie in difficoltà dai Fondi di solidarietà istituiti dalle diocesi;
3 milioni di euro la somma raggiunta dal Fondo famiglia-lavoro della diocesi di Milano, la prima a muoversi in tal senso.
Fonte: Rapporto 2008 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia; Caritas italiana, Fondazione E. Zancan
Secondo il bisogno di ciascuno
di Vincenzo Corrado
Due i binari su cui sta viaggiando il treno della solidarietà ecclesiale: i cosiddetti «Fondi anti-crisi» e i progetti di microcredito. Ma l’obiettivo è unico: fornire una risposta concreta a famiglie o singoli in difficoltà economiche.
«Stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno».
Uno dei «quadretti d’insieme» o «sommari» con cui gli Atti degli Apostoli parlano della prima comunità cristiana ben sintetizza l’atteggiamento assunto dalla Chiesa italiana dinanzi all’attuale crisi economica e occupazionale.
Diverse indagini statistiche certificano che la povertà delle famiglie continua ad aumentare. La Caritas italiana, nel Rapporto 2008 sulla povertà, descrive un’emergenza sociale che coinvolge circa 15 milioni di persone in Italia. C’è – come dicono gli Istituti statistici – una forbice che si allarga: chi fino a ieri non aveva problemi con cibo, vestiti, affitto e bollette, oggi fatica ad arrivare alla fine del mese.
Per alleviare le difficoltà di quanti sono maggiormente colpiti dalla crisi, la Chiesa ha dato vita – e continua in questo suo impegno – a diverse iniziative. Accanto al potenziamento delle risposte tradizionali alle forme di povertà ormai strutturali, si sperimentano forme creative di carità per fronteggiare le nuove fragilità.
Il «la» è stato dato dal Consiglio permanente dei vescovi che, il 3 febbraio, nel comunicato finale della sessione di gennaio, annunciava di voler promuovere «un’iniziativa nazionale a sostegno delle famiglie». Ma già prima di Natale il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, sottolineava la necessità di «lavorare insieme» per dare risposte a una situazione «preoccupante». Tutto ciò in un’ottica di sinergia con gli altri attori sociali e istituzionali, ma anche con le diverse realtà ecclesiali. «Non si vogliono interventi a pioggia», hanno più volte ribadito i vescovi. La Chiesa italiana, che è «Chiesa di popolo», cerca d’incontrare i bisogni della popolazione, da qualsiasi parte provengano. Ed è questo che accomuna le diverse iniziative avviate in questi mesi su tutto il territorio.
La prima, il «Fondo famiglia-lavoro» costituito nella diocesi di Milano, è stata annunciata dal cardinale Dionigi Tettamanzi durante la Messa di mezzanotte di Natale 2008. Analoga iniziativa è stata intrapresa a Bologna dal cardinale Carlo Caffarra con il «Fondo emergenza famiglie 2009». Da Torino a Napoli, passando per Genova, Venezia e Roma, le grandi diocesi sono tutte in prima fila. Quali sono le entità degli interventi? A Milano, nel giro di tre mesi, il Fondo ha superato i 3 milioni di euro.
Una Chiesa in fermento
Ma sono le diocesi più piccole a dare l’idea di quanto siano capillari le iniziative. Da Nord a Sud, le soluzioni organizzative e tecniche sono le più diverse: consulenze per il lavoro o per la casa, carte acquisti, empori e forme di spese solidali... L’elenco è lungo, anche perché tutte le 226 diocesi stanno lavorando di carità e creatività. Volendo sintetizzare, si può dire che sono due, in particolare, i binari su cui sta viaggiando il treno della solidarietà. Si tratta dei cosiddetti «Fondi anti-crisi» e dei progetti di microcredito. L’obiettivo è comune: fornire una concreta risposta a sostegno delle famiglie o di singoli in difficoltà economiche.
Per quanto riguarda i Fondi, lo scopo è stimolare la società locale a una sempre maggiore sensibilità nei confronti dei più bisognosi, ma anche organizzare meglio l’opera di carità messa in atto, da sempre, nelle 26 mila parrocchie. I Fondi, che confluiscono in appositi conti correnti bancari, sono stati attivati con un importo iniziale, da parte delle diocesi, di diverse migliaia di euro (provenienti sia dall’otto per mille sia da risorse proprie) e con ulteriori offerte libere di singoli cittadini o di enti pubblici e privati. Questa iniziativa prevede aiuti finanziari di diversa entità – a seconda di quanto deciso al momento dell’istituzione (solitamente da 500 a 2 mila euro) – per quanti perdono il lavoro o si trovano in difficoltà. Ovviamente è necessaria un’indagine precisa al fine di verificare le risorse personali e familiari dei soggetti richiedenti, così da evitare ogni forma di assistenzialismo. Di solito è l’amministrazione diocesana, attraverso un apposito Comitato e le «antenne» sul territorio (parrocchie, Caritas locali, realtà associative...), a vagliare le varie richieste. I Fondi – hanno precisato molti vescovi – sono «gocce d’acqua», «granelli di sabbia», piccoli gesti che si collocano «in un disegno più ampio di promozione umana».
Interventi mirati
L’altro binario per la solidarietà è rappresentato dai progetti di microcredito, sul modello dell’economista e premio Nobel Muhammad Yunus. Si tratta d’interventi che vanno a sostenere l’accesso al credito a persone appartenenti alle fasce più deboli. Il meccanismo più utilizzato è quello di affidare un fondo rotativo di garanzia a più enti o persone che si assumono collettivamente la responsabilità dei prestiti erogati. Questi prevedono tassi agevolati, a volte anche nulli. Parrocchie e Caritas diocesane partecipano quasi sempre ai progetti svolgendo il ruolo di raccolta e valutazione delle domande, portando avanti, cioè, il valore di prossimità, di conoscenza di chi si rivolge ai Centri di ascolto.
È quanto è avvenuto, ad esempio, in Lombardia e Liguria, dove i vescovi di Vigevano, Pavia e Tortona, in collaborazione con Istituzioni e Fondazioni Bancarie, hanno definito un piano di prestiti fino a 2 mila euro, senza interessi e con rate personalizzate. Un po’ come il «credito solidale» di Trento, per il quale la Caritas ha stanziato 20 mila euro. Un «progetto di microcredito etico-sociale» è stato avviato anche nella diocesi di Chieti. Basato su valutazioni non unicamente economico-finanziarie, il piano predisposto permette d’instaurare con le persone una relazione fiduciaria, fondata sul trasparente scambio d’informazioni.
Quello dei microcrediti è, in effetti, lo strumento più diffuso. A cominciare dalle diocesi dove esiste già da anni. Come a Mazara del Vallo (TP), dove affronta le situazioni di povertà in tutti i 13 Comuni della diocesi, o a Prato, dove dal 2003 è anche attivo il Fondo «Famiglie per le famiglie», organizzato successivamente con un’associazione ad hoc, «Insieme per la famiglia». Nel 2007 – ultimi dati disponibili – ha erogato poco meno di 100 mila euro. Per alimentare il Fondo, nello scorso febbraio, le componenti istituzionali e sociali pratesi hanno firmato un accordo che permette ai dipendenti di tutte le imprese di contribuire volontariamente delegando il datore di lavoro al prelievo di 5 euro dalla busta paga; analogamente e indipendentemente le imprese s’impegnano a versare un contributo almeno equivalente per ogni titolare, dipendente e collaboratore.
Iniziative cui vanno a unirsi i Fondi veri e propri per le famiglie. A Frosinone ne è stato istituito uno con l’obiettivo di «sostenere interventi di emergenza alimentare, servizi domestici essenziali...». Dal Centro al Sud: i vescovi delle sei diocesi della Basilicata hanno destinato al «Fondo microcredito per le emergenze» le offerte raccolte nelle cattedrali e nelle parrocchie della regione in occasione della visita della statua della Madonna di Lourdes, nell’ottobre 2008. Iniziative simili sono state prese in tutte le regioni ecclesiastiche del Nord, Centro e Sud Italia. Stilare un elenco completo sarebbe impossibile.
Ancora una volta ritorna alla mente la prima comunità cristiana descritta negli Atti degli Apostoli: si viveva con «un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune», così che «nessuno tra loro era bisognoso».
Zoom
E i laici cattolici?
di Sabina Fadel
Il laicato cattolico può giocare un ruolo specifico dinanzi all’attuale crisi economica? Lo abbiamo chiesto ad alcuni rappresentanti delle aggregazioni laicali, riuniti a Roma in occasione dell’annuale convegno dell’Istituto Vittorio Bachelet.
Franco Miano, Azione cattolica italiana
«Questa crisi rappresenta al contempo una difficoltà e un’opportunità. Le difficoltà colpiscono soprattutto quanti hanno perso il lavoro o sono esposti economicamente, famiglie o individui che sono al centro dell’opera dell’Azione cattolica sul territorio; poi, certo, ci occupiamo anche dei grandi processi economici e finanziari globali, ma il nostro specifico è la vita concreta delle persone. La crisi, dicevo, può essere anche un’occasione che spinge a una maggiore sobrietà, a uno stile di vita diverso con forme più spiccate di solidarietà. E anche in questo senso cerchiamo di dare il nostro apporto, a livelli differenti: con un’azione più concreta in ambito diocesano o parrocchiale, favorendo una maggiore coscienza e riflessione a livello nazionale e internazionale».
Andrea Olivero, Acli
«Noi cattolici dobbiamo far cogliere che questa è anche una crisi valoriale e dobbiamo offrire risposte soprattutto in questo ambito. Abbiamo il dovere di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di costruire un nuovo modello dello stare insieme, non più fondato sull’accumulo ma sulla solidarietà e sulla sobrietà. Questo non significa che non ci si debba impegnare a trovare soluzioni concrete per arginare la crisi. Ma non possiamo limitarci a questo: dobbiamo approfittare del momento attuale, anche tragico, per ribadire che un altro modello di vita è possibile e che esso si basa su una migliore relazione tra l’uomo e l’ambiente e su una maggiore solidarietà. Il nostro deve essere un lavoro pedagogico, educativo, da portare avanti con più forza rispetto al passato».
Giancarlo Cesana, Comunione e Liberazione
«Come laici cristiani, abbiamo uno specifico: sappiamo che la vera risorsa non sono i soldi, ma l’essere umano. I soldi servono solo nella misura in cui vengono usati bene, con criterio, proprio quello che è mancato finora e che ha innescato la crisi. E poi possiamo farci portatori di speranza, contrastando idee troppo pessimistiche: noi possiamo dire che non è finita, che ci si può riprendere, si può andare avanti e ci sono le risorse per farlo. Possiamo essere, in estrema sintesi, speranza e coscienza critica per la società».
Adriano Roccucci, Comunità di sant’Egidio
«La crisi economica pone una serie di problemi. Innanzitutto, ci sono le conseguenze della crisi sulle fasce più deboli della popolazione, come gli anziani, le famiglie numerose con redditi bassi, gli immigrati, le famiglie con disabili; i laici cattolici devono incrementare le reti di solidarietà per venire in loro aiuto. In secondo luogo c’è una crisi di senso, di valori, connessa alla crisi economica. Ecco dunque che la crisi economica crea l’opportunità per mettere in discussione la dittatura del materialismo che ha prevalso negli ultimi 15-20 anni e che ha orientato scelte, comportamenti di vita, ambizioni. Noi, quindi, dobbiamo essere in grado di intercettare la domanda di senso che è nel profondo di ogni uomo e trovare la vicinanza adeguata per dare una risposta al cuore delle persone».
Paolo Loriga, Movimento dei Focolari
«Questa è una crisi economica strutturale: il capitalismo è al capolinea. In molti invitano al consumo, per superare la crisi, dimenticando che ormai le nostre case sono piene di tantissime cose. Secondo noi questa logica non regge più. Piuttosto dobbiamo passare dai consumi privati ai consumi pubblici, che in termini concreti significa un aumento di risorse a favore di scuola, sanità, infrastrutture, ambiente… Dobbiamo ripensare al bene comune in una dimensione ampia, inclusiva. Dobbiamo anche essere in grado di aumentare la collaborazione tra laici cattolici, mettendoci sempre più in rete. C’è un patrimonio sviluppato dalle singole associazioni e movimenti, che rivela un respiro univoco dello Spirito santo».
Giuseppe Failla, Ordine francescano secolare d’Italia
«Il richiamo ai principi etici da parte dei vescovi, il loro ribadire l’urgente necessità di cambiare stili di vita e di non lasciarsi travolgere dalle false lusinghe del consumismo, deve incitare i laici cattolici – e quindi anche noi dell’Ordine francescano secolare – a impegnarsi nella formazione delle coscienze, affinché si possa comprendere che per uscire dalla crisi occorrono stili di vita ispirati alla fraternità. Questo, in termini economici, si traduce in: sobrietà, aiuto reciproco e responsabilità. Una sinergia in spirito di servizio tra politica, imprenditoria, cultura e spiritualità è oggi necessaria per acquisire la consapevolezza che l’economia si salva riducendo l’individualismo e la difesa degli interessi di parte a favore di un’etica orientata al bene comune».
Banca Etica
La finanza etica entra in diocesi
Chiesa e finanza etica unite per cercare risposte concrete a favore delle famiglie in difficoltà. Una partnership resa possibile anche grazie al consolidamento, in questi ultimi anni, di istituti di credito che mettono al centro l’uomo e le sue idee, anche al di là delle garanzie bancarie. Tra essi spicca Banca Popolare Etica, che lo scorso 8 marzo ha compiuto 10 anni e che oggi è la quarta banca etica d’Europa. Ora che la crisi morde e le banche ammiraglie hanno chiuso i rubinetti del credito, soffocate dai titoli tossici, Banca Etica aumenta del 100 per cento la raccolta di risparmio e i finanziamenti. «Il motivo è semplice – spiega Fabio Salviato, il presidente –: c’è un rapporto di fiducia con il nostro cliente che, se vuole, può controllare ogni nostro finanziamento via internet». È poi fondamentale la coerenza interna, dalle piccole alle grandi cose: un’attenzione alla sobrietà che si respira fin nei particolari, dal mobilio essenziale allo stile dell’ambiente.
Msa. Quanto c’entra il mondo cattolico con quanto voi avete poi deciso di fare?
Salviato. Direi che è stato ed è fondamentale: questa banca è nata perché alcune persone che provengono dal mondo cattolico si sono messe insieme e hanno cercato di trovare il modo di fare azioni concrete a favore del bene comune. Il terreno era propizio: i 30-40enni di allora pensavano all’impegno nel sociale non alla stregua di un fatto politico, sul modello del passato, ma come capacità di agire concretamente nella realtà, per esempio con il commercio equo e solidale. Insomma stava nascendo l’imprenditore sociale e noi eravamo in questa corrente.
Ciò ha cambiato nella Chiesa anche il modo di fare carità: sempre meno assistenzialismo, sempre più sostegno per aiutare a raggiungere l’autonomia.
Sì, è così. L’esempio più vicino è il microcredito. Già da qualche anno abbiamo delle convenzioni con una ventina di Caritas diocesane. Ora si sta studiando un progetto su scala nazionale, proprio per i prossimi duri mesi di crisi. Finora abbiamo erogato 2000 microcrediti a due categorie di persone, selezionate dalle Caritas: i piccoli imprenditori e le famiglie in momentanea difficoltà, che non avrebbero potuto avere accesso al credito convenzionale. Sono più di 8 milioni le persone in Italia nelle loro condizioni.
Sì, ma se qualcuno non paga?
Banca Etica nel suo insieme ha un tasso d’insolvenza dello 0,45, il più basso d’Europa. Tranne nel comparto del microcredito, dove la sofferenza raggiunge il 15 per cento. Se però si considera che queste persone sono i più poveri tra i poveri, il fatto che 85 persone su 100 restituiscono il credito è miracoloso. Proprio per la forte esposizione, noi chiediamo alle diocesi che vogliono attivare il microcredito di istituire un fondo di garanzia, dal quale noi attingiamo in caso d’insolvenza. In questo modo si crea un circolo virtuoso: i più deboli hanno accesso al credito, le diocesi hanno un fondo che si rinnova e che può essere utilizzato per altri bisognosi, e noi a nostra volta riusciamo a prestare denaro nonostante la forte esposizione.
L’ultima domanda è d’obbligo: come usciremo da questa crisi, presidente?
Dal punto di vista tecnico sono necessarie due cose: capire la reale dimensione di questa crisi e cambiare le regole che ordinano il sistema bancario mondiale. Con le regole attuali, per esempio, una parrocchia non è bancabile mentre Lehman Brothers può tranquillamente emettere obbligazioni che qualche compiacente società di rating valuterà come molto sicure. E poi le banche dovrebbero tornare a fare le banche e non i promotori finanziari. Questa crisi ci cambierà profondamente. Ma se non ci fermeremo al bicchiere mezzo vuoto, l’economia che verrà potrà essere più sobria, più ecologica e più solidale.
Giulia Cananzi
info
Per informazioni sulle iniziative avviate nelle differenti zone d’Italia, rivolgersi alla Caritas della propria diocesi. Sul sito
www.caritasitaliana.it è reperibile l’indirizzario di tutte le Caritas diocesane (direttamente dalla homepage).