La difficile lotta per il diritto a non vendersi
L'aereo è in pista, il motore sta rullando pronto per il decollo. Dentro, poco meno di duecento uomini, quasi tutti di mezz'età o con qualche anno in più. Il clima è quello goliardico della gita di classe. Nell'aereo, però, non ci sono studenti ma imprenditori, commercianti, artigiani; molti sono sposati e padri di famiglia, tutti con una situazione economica serena quel tanto da consentir loro una vacanza in Brasile. Peccato che la vacanza in questione venga fatta sulla pelle di giovani donne, spesso poco più che bambine.
Il volo di cui si parla è uno dei molti in partenza da uno dei più grandi aeroporti del nord Italia. È appena passato Natale e la tragedia dello tsunami ha costretto molti di questi «viaggiatori» a deviare dal Sud est asiatico, meta tra tutte prediletta, verso altri lidi, Brasile in primis, dove troveranno ad attenderli una natura incontaminata, mare limpido e spiagge bianchissime e tante ragazze giovani e disponibili a far loro compagnia per pochi spiccioli.
Ragazze costrette a vendersi per sopravvivere, per fame, per mantenere le famiglie o i figli, per comperarsi le poche cose necessarie.
Come Adriana, che sogna solo di poter studiare, avere un lavoro e una famiglia. E intanto si deve guadagnare da vivere in un postribolo. O Luiciene che, come lei stessa ammette, ha dovuto abituarsi alla «vita»: non ha parenti, sua madre è morta, il padre è stato ucciso dalla polizia dopo che aveva decapitato un uomo dinanzi agli occhi della figlia. O Maria , quindici anni, che non ha mai conosciuto suo padre. Due mesi fa ha perso anche la mamma che si occupava del nipotino, un bambino che ora Maria non sa dove sia, perché la mamma l'ha dato via poco prima di morire. «Quel bambino era tutta la mia vita - confida -. Anziché con una bambola, ho imparato a vestire un neonato con mio figlio, non ho mai avuto una bambola».
Storie vere, tratte da Le bambine della notte , il famoso libro-inchiesta di Gilberto Dimenstein (Ega) illuminante ma terribile nella sua crudezza. Come crudo è far luce sugli sfruttatori della prostituzione giovanile in Brasile, cioè sui 500 mila «turisti del sesso» che ogni anno raggiungono lo stato latinoamericano. Tra loro si calcola che gli italiani siano almeno 70-80 mila, uno dei gruppi più numerosi assieme a tedeschi, portoghesi e statunitensi. In alcune zone, come Fortaleza, capitale del Cearà , tra le città più colpite dal fenomeno, pare addirittura che gli italiani rappresentino l'80 per cento di tutti i turisti sessuali.
Uomini, almeno all'apparenza, normalissimi. «Sono in genere persone che vivono una doppia vita - spiega Nicoletta Bressan, nel suo Sulla loro pelle (Gabrielli editori) -: una ufficiale, stressata dagli impegni d'ufficio, scandita dagli oneri familiari, e una ufficiosa, rilassata sotto il sole di Fortaleza, di Rio de Janeiro, come veri signori, in grado di trasformare in schiavo chi siede loro accanto, al tintinnio di qualche moneta». Un giro d'affari che secondo le stime si attesta, a livello mondiale, sui 5 miliardi di dollari (cifra che comprende però anche le entrate legate a pornografia infantile e pedofilia).
Nel solo Brasile si calcola che siano circa 500 mila i minori coinvolti nel mercato del sesso. Un mercato che ha fatto la fortuna di alcune agenzie specializzate, che organizzano veri e propri tour sessuali, soprattutto in alcune zone del nord del Brasile: oltre a Fortaleza, le città più coinvolte sono Recife, Rio, Salvador, Natal, Manaus.
Risale allo scorso dicembre un intervento, frutto della collaborazione tra la Procura della Repubblica di Roma e la Polizia federale brasiliana, grazie al quale è stata smantellata un'organizzazione che proponeva viaggi in Brasile, per la precisione nello stato di Cearà , per conoscere approfonditamente ragazze minorenni. Quattro le persone arrestate: due a Fortaleza (marito e moglie, lui italiano, lei brasiliana) dove aveva sede il tour operator, e due in Italia, a Torino e a Palermo, dove esistevano agenzie turistiche collegate. È stato, questo, il primo frutto della legge 269 approvata nel 1998, che permette di perseguire penalmente chiunque organizza viaggi finalizzati alla fruizione d'atti di prostituzione a danno di minori. Una legge finora inapplicata non solo in Italia, ma anche a livello europeo dove pure esistono norme quasi analoghe.
«Stop sexual tourism»
Le responsabilità italiane in questo che dal giornalista Ettore Masina è stato definito un «autentico genocidio morale e psichico» sono così pesanti che alcune organizzazioni non-governative del nostro Paese, insieme ad enti pubblici e istituzioni (tra cui Aitr, Ecpat, Gruppo Abele, la Regione Toscana, le province di Modena e Ascoli Piceno) hanno deciso di lanciare una vera e propria campagna, che ha preso avvio dal Forum sociale mondiale di Porto Alegre, a fine gennaio, ed è stata lanciata in Italia nei mesi scorsi. Stop sexual tourism è il suo logo e si prefigge di combattere il turismo sessuale infantile nelle zone più povere del mondo, a partire dal Brasile. «Abbiamo scelto il Brasile come prima azione della campagna - spiega Luca Mucci, che ne è il portavoce - perché in questo Paese esiste una rete di movimenti sociali, chiese, organizzazioni non governative e istituzioni che da tempo stanno cercando attivamente, anche davanti a enormi difficoltà , di affrontare sul territorio questo tipo di fenomeno». Un fenomeno che - continua Mucci - non riguarda il turista straniero che durante una vacanza ha una relazione, anche mercenaria, con una donna adulta e libera di scegliere come usare il proprio corpo. Per turismo sessuale intendiamo, infatti, un sistema illecito di sfruttamento della prostituzione, molto spesso a danno di minori, adolescenti ma anche bambini.
Obiettivi immediati della campagna: documentare, sensibilizzare e denunciare la gravità del fenomeno, coinvolgendo il più largo numero di organizzazioni, enti e istituzioni; coinvolgere gli operatori sani dell'industria turistica, promuovere un turismo locale responsabile, etico e sostenibile attraverso la valorizzazione delle risorse locali; operare in collaborazione con le organizzazioni, le chiese e le istituzioni brasiliane nella costruzione di progetti di aiuto, educazione e sviluppo.
In effetti, già da qualche anno in Brasile si comincia a respirare aria nuova. L'avvento al governo del presidente Lula da Silva ha, infatti, permesso di porre mano a questa terribile piaga per lo Stato latinoamericano, dalla quale, è bene ricordarlo, esso non trae alcun beneficio (con il turismo sessuale, infatti, non si alimenta l'economia locale di queste realtà , ma solo la ricchezza di un'èlite priva di scrupoli, difficile da colpire). Anzi, essa spesso ne blocca lo sviluppo, perché è necessario che una popolazione rimanga inferiore, sottomessa, per poterla sfruttare al meglio. «Uno dei primi atti del nuovo presidente - spiega Gerardo Peccin, amministratore delegato di Embratur, l'Ente per il turismo del Brasile, che ha aperto a maggio 2004 una sede in Italia - è stata la creazione di un vero e proprio ministero del Turismo (prima era accorpato a quello dello Sport) allo scopo di promuovere all'estero un modo nuovo di fare turismo in Brasile, per combattere il turismo sessuale tipico di alcune zone e far conoscere il volto nuovo del Brasile, fatto anche di mete turistiche non tradizionali, come alcune zone del Sud, ma altrettanto incantevoli dal punto di vista naturalistico e ambientale».