La dignità in dono
Il racconto di Anita, medico missionario
Mi trovavo in India, nella regione dell`Andra Pradesh, diretta a Vellore dove c`è la missione. Arrivai in un paesino, lontano dalla strada principale. Le viuzze solcate da rivoli di sporcizia. Entrai in una casa per chiedere informazioni. Aveva una sola stanza e il pavimento di terra rossa. Su di esso una donna tesseva. Accanto una neonata denutrita. Fuori, un`altra bimba osservava curiosa. La fame era palpabile. Trasudava dalle povere cose, come una condanna. Poco il cibo. In un angolo una sola brocca d`acqua, costata alla donna chissà quante ore di cammino per raggiungere un pozzo d`acqua potabile. La donna mi guardò esausta. Lo sguardo mi trafisse come una stilettata. Tutto il dolore e l`impotenza delle donne indiane erano in quegli occhi. In un impeto di pietà e di rabbia, feci capire alla donna che avrei comprato lo scialle che stava tessendo. Ma al punto di darle il denaro, un uomo irruppe e glielo tolse dalle mani. Lei abbassò lo sguardo. Mi vennero in mente tutte le donne che avevo visto morire in un ospedale del Nord per non aver potuto comprare il necessario per un parto sicuro: una lama di rasoio pulita, garza sterile, un pezzetto di spago per legare il cordone ombelicale del nascituro e una saponetta. Il costo? Quindici centesimi di dollaro (oggi 375 lire circa).
Dare un peso economico e sociale alle donne. Il progetto era semplice, chiaro, efficace. Ce lo proponeva una nostra vecchia conoscenza fra Kommareddy Innareddy, responsabile del servizio sociale della diocesi di Guntur, nello stato di Andra Pradesh, a Sud dell`India. Con lui la Caritas antoniana aveva già collaborato per la realizzazione di progetti di aiuto alle famiglie, ed era ormai noto per la sua precisione nel gestire il lavoro.
Fra Innareddy aveva in mente un progetto di sviluppo economico per 1036 donne di 12 villaggi rurali di Guntur. Le donne appartenevano ai senza casta (gradino più basso della struttura sociale indiana) o alle tribù indigene. Erano quindi emarginate due volte: prima perché donne poi perché appartenenti al segmento più povero della società . Mancanza di autostima e dignità tuttora in India sono per le donne il contraltare di una vita durissima, fatta di soli obblighi: lavoro nei campi in semischiavitù, lavori domestici, ricerca dell`acqua potabile, cura dei figli e allevamento degli animali. In cambio nessun riconoscimento sociale, nessuna educazione, né possibilità di gestire denaro, neppure per nutrire e curare se stesse e i propri figli.
Fra Innareddy ormai sapeva che questa situazione poteva essere capovolta e ci proponeva di adottare una parte del progetto: «Vi chiedo ` scrisse ` di aiutarmi a comprare cento bufale da latte per cento donne dei villaggi e di finanziare per loro corsi di allevamento e di gestione del denaro. Pensate che una donna potrebbe guadagnare da questa semplice attività 1200 rupie all`anno (circa 60mila lire), quanto le basta per alzare il livello di vita di tutta la famiglia, garantire la scuola ai figli, pagare semplici cure sanitarie. Non solo. Un litro di latte al giorno, consumato in famiglia, migliorerà immediatamente la nutrizione. Sapeste quanti bambini anemici ci sono nelle nostre comunità , perché le madri non hanno i soldi per comprare il latte».
La richiesta arrivò nel gennaio del 2000, la risposta non si fece attendere: il 9 marzo dell`anno scorso fra Innareddy mandò un fax: «Abbiamo ricevuto 40 milioni di lire. Cento donne presto avranno una vita degna di essere vissuta. Vi siamo debitori».
Nel settembre dello stesso anno, la prima fase del progetto era conclusa: «Abbiamo comprato e consegnato le bufale. Ci sono stati corsi di spiegazione del progetto. Volevamo che le donne fossero partecipi di tutto, anche dell`uso del vostro finanziamento. Poi un veterinario ha affinato le loro tecniche di allevamento. Un corso è stato dedicato anche alla gestione familiare del denaro guadagnato e al risparmio».
Ma la fase più esaltante del progetto è descritta dal frate nell`ultima lettera, arrivataci di recente: «Queste donne non erano nessuno, non potevano nulla, non avevano voce. Ora il progetto le ha unite, discutono fra di loro e coraggiosamente impongono il loro punto di vista alle comunità , cercano autonomamente soluzione ai problemi familiari, difendono il loro denaro dalla prepotenza dei maschi, curano e aiutano i loro figli come non avrebbero mai potuto prima. Non c`è niente da fare: la dignità si vede».
Il progetto in dettaglio
Contributo caritas antoniana lire 40.000.000 (Rs) rupie 854,557.00
Acquisto bufale Rs 789,813.00 (circa 37 milioni di lire)
Corsi Rs 64,744.00 (circa 3 milioni di lire)