La domenica degli italiani e l'eucaristia
Quante volte ci è capitato di dire: finalmente è domenica! Un'esclamazione del tutto legittima dopo una settimana di lavoro, impegni, contrattempi, dopo aver portato carichi di responsabilità , tessuto relazioni, corrisposto alle molteplici e pressanti richieste altrui. Finalmente un po' di tempo da dedicare a noi stessi, alle persone care, alla famiglia, agli amici, al di fuori del ritmo ossessivo della produzione e senza per forza entrare nel ritmo altrettanto incalzante e soggiogante del consumo a tutti i costi.
In verità la domenica degli italiani è un po' come un grande contenitore di desideri, nel quale si vorrebbe riprendere in mano la propria vita e tentare di riorientarla verso le cose che contano, soprattutto le relazioni, spezzando la veloce e a volte vertiginosa sequenza dei giorni a vantaggio di una lentezza che dona equilibrio, tonifica il corpo e rigenera lo spirito.
Molto spesso, però, i desideri non diventano realtà , e la domenica se ne fugge via, spremuta da aspettative esagerate e come compressa dentro nuove gabbie di doveri, tanto da produrre quel tipo particolarmente dannoso di stress che deriva dalla caccia alla felicità obbligatoria. Per non dire del fatto che per molti, soprattutto i più giovani, è il sabato, o meglio la notte tra il sabato e la domenica, il tempo del vero «riposo» e del divertimento, della trasgressione che gratifica e stordisce, mentre quel che resta della domenica si tramuta in una sorta di svogliata vigilia del nuovo ciclo lavorativo.
Sulla base di queste brevi considerazioni vogliamo chiederci come i cristiani si rapportano al tempo domenicale, con quello che comunemente viene chiamato il «giorno del Signore». Per i credenti la centralità della domenica è un punto qualificante e irrinunciabile del vissuto della fede. Basti ricordare la frase «senza la domenica non possiamo vivere», che va pensata sulla bocca di cristiani i quali durante la persecuzione dell'imperatore Diocleziano (siamo nel 304) subirono il martirio per la loro indomita fedeltà alla Pasqua settimanale, e che riassume in modo denso ciò che la Chiesa di ieri e di oggi pensa della domenica e quindi della celebrazione eucaristica che la qualifica.
Nell'omelia pronunciata a Bari domenica 29 maggio 2005, il neopontefice Benedetto XVI si esprimeva con queste parole: «La domenica, giorno del Signore, è l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita... Dobbiamo riscoprire con fierezza il privilegio di poter partecipare all'eucaristia, che è il sacramento del mondo rinnovato».
Ma resta da fare un ulteriore passaggio, senza il quale si rischia di formulare un discorso corretto dal punto di vista formale, ma non concretamente articolato con i ritmi di una vita cristiana che, per lo più, si svolge facendo perno sulla parrocchia, in riferimento quindi a una particolare comunità di fedeli radicata nel territorio. Anche se la parrocchia non è l'unico luogo nel quale la comunità si riunisce per celebrare l'eucaristia domenicale e festiva, essa mantiene una indiscutibile centralità storicamente motivata e teologicamente fondata. Infatti, come si legge in un interessante documento della Conferenza episcopale italiana, «la vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore e l'eucaristia domenicale è il cuore della domenica. Dobbiamo `custodire` la domenica e la domenica `custodirà ` noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la vita».
Si tratta di rivitalizzare un vissuto di comunità -comunione rifuggendo da due pericoli ricorrenti: quello dell'autoreferenzialità da una parte, e quello invece che deriva dal ridurre la parrocchia a centro di erogazione di servizi religiosi. Solo il chiaro riferimento all'eucaristia domenicale restituirà alla parrocchia, e quindi alla vita di gran parte dei cristiani, il suo vero volto.