La fertilità a «orologeria»
Dalla Gran Bretagna, patria delle più avanzate innovazioni tecnologiche, è arrivata una notizia importante per le donne: è stata scoperta una proteina in grado di allungare di circa dieci anni l’età fertile, che oggi per le donne finisce intorno ai quarant’anni. Le donne potranno così dedicare la prima parte della loro vita a realizzarsi nella professione, nella vita libera, nei viaggi, per poi, nella seconda, ritirarsi a vita familiare e fare le madri. In fondo, è solo un’accelerazione di una tendenza già in atto, quella che vede l’età delle partorienti avanzare sempre più. Ma sarà proprio un miglioramento questo «regalo» della tecnologia che va nel senso degli apparenti desideri delle donne? Le madri giovani hanno più energia, sono più sane e partoriscono figli più sani: sono, infatti, in sintonia con la natura, senza forzarla. Non solo: anche le ragazze ventenni magari vorrebbero avere dei figli e nello stesso tempo non perdere la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro, cosa che nelle nostre società risulta molto difficile. Il nuovo farmaco sembra però allontanare ancora di più questa possibilità dalle loro vite.
Ma non è questo l’unico problema che comporta questa innovazione in apparenza positiva: si tratta infatti di una nuova «pillola» destinata al corpo femminile, e in particolare finalizzata a modificare la sfera riproduttiva, dopo tante altre: l’anticoncezionale, quella «del giorno dopo», quella abortiva Ru486, e – anche questa recente – la pillola che fa scomparire il flusso mensile. Tutti passi in avanti nella medicalizzazione del corpo femminile, che perde progressivamente la propria naturalità e diviene sempre più simile a quello dei maschi: la sua capacità procreativa e i segni di questa capacità vengono cancellati, e con essi si cerca di cancellare anche la fine della menopausa, che si manifesta ben più precocemente dell’andropausa. Ed è come se si cercasse di guarire le donne dalla propria fertilità considerata alla stregua di un pericolo da evitare o da programmare rigidamente, cioè di guarirle dall’identità materna, dal proprio stretto legame con la natura. I maschi, invece, vengono protetti da questi interventi medici: si sa che la pillola anticoncezionale maschile è rimasta nel mondo delle ipotesi, mentre l’unica pillola che i maschi hanno voluto e accettato è – con una scelta molto significativa – il Viagra.
La fertilità naturale deve essere completamente controllata dalla tecnologia, nel senso sia di impedire il concepimento sia di ottenerlo quando lo si vuole – anche in età che non sarebbe più da mamme ma, almeno in tempi non così lontani, da nonne – e il corpo femminile viene sottoposto ai più rigidi controlli medici quando si decide, finalmente, di mettere al mondo un bambino.
Le gravidanze sono oggi percorsi di guerra, da affrontare fra controlli, visite mediche e ansie continue sulla «normalità» del feto, spiato con sistemi di diagnosi prenatale anche intrusivi e pericolosi. Del resto, se cresce l’età delle gravide, cresce esponenzialmente la possibilità di figli handicappati o malati, nonché naturalmente quella di parti difficili, che richiedono l’intervento medico e il cesareo. Anche tra i feti concepiti in provetta il pericolo di malformazioni e malattie è molto più alto che per i bambini concepiti naturalmente: si può creare quindi la situazione paradossale che questi figli, così desiderati e voluti, siano poi abortiti perché imperfetti. E questo non è il solo male portato dalla artificializzazione esasperata della procreazione: le pillole, infatti, non solo servono a realizzare desideri, ma intervengono nel complesso sistema ormonale femminile, provocando sconquassi e malattie.
Quasi mai lo si ammette, ma il prezzo pagato per realizzare il desiderio di controllare il corpo femminile è molto alto.