La fierezza degli isolani
VANCOUVER
In lingua italese - colorita sintesi di italiano e inglese - viene chiamato «basamento» il seminterrato di un edificio ad uno o più piani. Scantinato, tavernetta, ripostiglio o spartana abitazione in caso di necessità . Quanti, immigrati in Nordamerica alla ricerca di un futuro di speranza, prima che in una comoda casa o in un appartamento panoramico, sono vissuti in affitto in uno di questi alloggi di fortuna? Anziché dalla scala d'accesso alla porta principale, si scendono di lato un paio di gradini ed ecco, a sorpresa, un ambiente pieno di calore e gioia di vivere. Il cicaleccio dei convenuti, la musica di sottofondo, l'accoglienza cordiale, le belle immagini fotografiche, gli oggetti d'artigianato ben disposti sullo sfondo di pareti immacolate, la piccola biblioteca, il sobrio buffet, il tutto ricrea un clima di grande serenità e risveglia memorie antiche.
La nuova sede del Circolo Sardegna di Vancouver si trova all'angolo di Grant e Templeton, a due passi dalla Little Italy e a pochi minuti dall'estesa struttura del Centro Culturale Italiano. Detto per inciso: perché le associazioni appartenenti alla federazione Italian Cultural Centre Society non possono «abitare» al Centro anziché dovere affittare «basamenti»? Ma questo è un discorso complesso, da affrontare in un'altra occasione. Oggi è il tempo di celebrare. E' una soleggiata domenica pomeriggio di fine febbraio, l'aria è trasparente e i primi fiori sono in boccio. Gli amici sardi, soli o con famiglia, continuano ad arrivare. Si salutano, si abbracciano. Brindano con cannonau e vermentino. Alle narici, intenso, sale il profumo dell'inconfondibile pecorino sardo. Dallo schermo del televisore, uno squarcio sul mare color smeraldo. Ed ecco Santa Teresa di Gallura... e un salto indietro nel tempo. Quarant'anni, un salto di quarant'anni, la mia prima volta in Sardegna, a campeggiare in un primitivo villaggio dell'Isola meravigliosa e indimenticabile.
Allora ci arrivai dal nord, dalla Corsica, in un barcone-traghetto sballottato dal vento impetuoso. Non c'era nemmeno il pontile su quella carretta del mare: una gru serviva a sollevare e sganciare gli occasionali automezzi dei pochi passeggeri. Le Bocche di Bonifacio - quante volte ancora poi attraversate - erano infuriate e ruggenti. Ma quale magia accostare la terra di Sardegna dal porto di sbarco, percorrere l'altalena di strade disegnate dalla geografia dei luoghi, incantarmi alla vista di insenature paradisiache, di fantasiose sculture di roccia intagliata dal vento, penetrare nell'interno misterioso, punteggiato da radi casolari, aspirare il profumo del mirto. Un mondo fuori dal mondo. E la gente di Sardegna, così autentica e fiera quando sa essere fedele a se stessa. Ripenso alla dignità e alla parsimonia delle donne, alla malinconica rassegnazione degli uomini - allora per lo più pastori e contadini - cui una terra bella ma arida e pietrosa chiedeva sempre e solo sacrificio. Ripercorro la Gallura, rivedo Calangianus con i suoi sughereti ultracentenari, Luras e le sue vigne. E ancora il Logudoru con la bella Ozieri. I nuraghi nelle piane solitarie, le solenni basiliche abbandonate. Ripenso ai riti di una tradizione millenaria, ai magnifici costumi, all'inconfondibile arte artigiana, ai canti in vernacolo ricco di suoni antichi e sofferti. So di avere goduto di una bellezza intatta, di una natura solo piì tardi ferita dalla speculazione edilizia, selvaggia e inarrestabile, dalla progressiva invasione di masse goderecce e dispendiose.
Mi risveglio dal sogno e penso che molti - se non tutti! - i sardi convenuti qui oggi non erano già più nella loro terra, quarant'anni fa. Di fronte a Palau, nell'isoletta di Caprera dove riposano le spoglie mortali dei Garibaldi, già il Club Mediterranée attirava dall'Europa uno spartano turismo goliardico e nella Costa Smeralda si era appena insediato l'Aga Khan Karim, richiamando l'interesse del jet-set internazionale. I terreni rocciosi infertili e le incantevoli cale stavano passando di proprietà . Mai visti tanti soldi e tanto disorientamento da quelle parti! Ma nell'interno nulla ancora cambiava. L'alternativa restava sempre e solo l'emigrazione, ferita atavica nella storia della Sardegna.
Il riverito patriarca della comunità sarda di Vancouver, Pietro Solaris, era partito diciannovenne da Aidomaggiore, nell'oristanese, per prestare il servizio militare. Già allora staccarsi dall'isola per «il continente» significava emigrare. Dall'Italia all'Europa il salto era naturale, dall'Europa alle Americhe una scelta di emancipazione in più. Nonostante l'emigrazione, il cordone ombelicale tra un sardo e la sua terra non è mai reciso. Anche se a lungo dimenticato e trascurato, il sardo autentico non si lascia scalfire e mantiene la propria identità . Solaris ha la fierezza della propria origine, della cultura isolana e della lingua italiana, insieme con l'orgoglio delle realizzazioni personali e comunitarie perseguite in Canada. E' stato, tra l'altro, un sostenitore della stampa d'emigrazione: 47 anni fa, da poco arrivato a Vancouver, insieme con gli amici fondatori Pietro Mainardi e Pierino Mori, ha aiutato la nascita e l'affermazione dell'Eco d'Italia. Come lui - e per età potrebbe essergli figlio - un altro sardo doc, Michele Coviello, nato a Carbonia e vissuto a Roma dove ha frequentato un'accademia teatrale. Emigrato nel 1967, a Vancouver si è laureato in Lettere dedicando poi oltre un ventennio alla redazione della stampa comunitaria con una parentesi quale manager del Centro culturale italiano. Al teatro, Coviello è sempre rimasto legato: alterna infatti i suoi attuali impegni di lavoro con quelli di attore e promotore di spettacoli teatrali.
Non vedo oggi, in questo Centro sardo nato grazie ai nuovi lungimiranti progetti di partenariato tra la Regione Autonoma e i Sardi nel Mondo, quel prototipo di donna sarda che è Lucia Bacchitta Fronteddu. Senz'altro è moralmente presente. A lei va il merito di aver dato vita, con il marito Giovanni (vice presidente della locale sezione dell'Associazione nazionale bersaglieri), non solo ad una famiglia numerosa - sette figli - ma al primo Club Sardegna in questa parte del Canada. I Fronteddu erano partiti giovani sposi da Dorgali, in provincia di Nuoro, negli anni Settanta.
Presidente del nuovo Circolo Sardegna (ufficialmente riconosciuto dalla British Columbia come Association of Sardinians in Western Canada), è Antonio Uda, nato a Borore, in provincia di Nuoro, un lungo periodo di servizio sociale in giro per il mondo con il Ministero degli Affari esteri. Arrivato a Vancouver nel 1967, vi ha conosciuto una dolce donna filippina: dal loro matrimonio è nata Enza, due lauree, giornalista televisiva, sposata con un sudamericano, in attesa del loro primo figlio. Il piccolo avrà nelle vene una frazione di sangue sardo. Mi piace qui ricordare quanto ripete Samuele, uno dei miei nipotini, quando dice di essere «per metà italiano, per metà giamaicano e per intero canadese»).
Dal cagliaritano - Antoni Uda e Giovanni Fronteddu a parte - provengono gli altri componenti del consiglio direttivo della rinnovata associazione: Michele Coviello, Salvatore Cois, Franco Spano, Gemiliano Cara, Antonio Uccheddu, Paolo Frau. Quest'ultimo, proprietario e gestore del popolare ristorante italiano Arriva in Commercial Drive, lasciò sedicenne la terra natale; ma in Italia e in Sardegna è sempre ritornato, e come tutti gli altri vi resta saldamente legato. Della dirigenza fa parte anche un'oriunda fedele, Maria Solaris, figlia di Pietro e sorella di Antonella. Parlano benissimo anche l'italiano, queste giovani. Sono senz'altro d'esempio a quanti altri - pure d'origine italiana - non hanno mai imparato ad esprimersi sufficientemente nella lingua dei genitori. E, purtroppo, ciò diventa un impedimento alla comunicazione fra generazioni, soprattutto quando ci si riferisce ai valori irrinunciabili di una ricca e profonda tradizione.