La logica della morte

Ennesimo golpe in uno stato africano, dove la miseria è tragica. Mancano classi dirigenti capaci di porsi al servizio del paese. L’indifferenza degli occidentali. Eppure l’Africa è una insostituibile risorsa.
06 Settembre 1998 | di

La situazione in Guinea Bissau è tragica da molto tempo. Il conflitto tra il presidente Vieira e le truppe ribelli, esploso nel giugno scorso, non accenna a finire. Da un punto di vista umanitario è un disastro. Il piccolo stato africano di poco più di un milione di abitanti sembra funestato da uno dei soliti colpi di stato militari, come avviene spesso nel continente. È una tradizione del paese: l'attuale presidente Joao Bernardo Vieira, che sta combattendo gli insorti con l'appoggio decisivo delle truppe senegalesi, è salito al potere con un golpe. Successivamente il suo regime è stato legittimato da elezioni democratiche, anche se le tensioni sono rimaste forti nel paese. Molti sono i morti nel conflitto. Mancano le scorte alimentari. È stato colpito pure l'ospedale centrale della capitale. L'ho visitato nell'ottobre scorso, quando sono stato a Bissau per l'inaugurazione di un ospedale per malattie polmonari ora gestito dalla Comunità  di Sant'Egidio e rilevato dall'Associazione Raoul Follereau. Anche l'ospedale di Sant'Egidio è stato saccheggiato e i malati sono fuggiti. Visitando l'ospedale centrale ho avuto l'immagine dolorosa dello «sfascio» del paese. Essere curati là  sarebbe per noi tragico, ma rappresenta già  una fortuna per tanti abitanti del paese.

Non è che un aspetto della vita difficile in Guinea Bissau. Questo paese è uno dei cinque al mondo con il primato della più alta mortalità : 20,6 ogni mille abitanti. Il recente conflitto farà  innalzare questo primato.

Sono storie di ordinaria miseria africana, come il colpo di stato. Ma il ripetersi dei drammi pone domande gravi. Si manifesta la fragilità  di uno stato, dove sembra che le ultime strutture pubbliche siano state realizzate dai portoghesi. Non lo scrivo certo per esaltare il colonialismo, ma come dolorosa constatazione. Che vuol dire essere indipendenti, quando non se ne hanno i mezzi? Questi stati sono malati di una fragilità  pericolosa che in qualche caso - non in quello di Bissau - ha condotto a vendersi a oscuri interessi. Così i problemi dei vicini travolgono questi fragili stati. Il presidente Vieira accusa i golpisti di traffico di armi con la resistenza della vicina regione della Casamance. Infatti, dietro alla lotta in Guinea Bissau c'è il dramma di questa ricca regione in rivolta da anni contro il Senegal. Inoltre, la gente di Casamance è in gran parte dell'etnia Diola, come molti abitanti di Bissau e del Gambia (uno stato enclave di 800 mila abitanti interno al Senegal).

Il presidente Vieira ha appoggiato la resistenza della Casamance, finché è giunto a un accordo con il Senegal. Oggi i soldati senegalesi combattono per lui nelle strade di Bissau, mentre i soldati di Bissau lo hanno in gran parte abbandonato per appoggiare il golpe del generale Ansumane Mane. Il presidente è ormai nelle mani del senegalesi? I casamancesi vogliono staccarsi dal Senegal o avere uno statuto particolare. La guerriglia reclama la separazione. Il governo senegalese si oppone con tutte le forze. La questione è stata trattata finora come un problema interno senegalese dal governo di Dakar con l'aiuto della Francia. L'hanno gestita in particolare i militari senegalesi. Ma non si è arrivati a nessuna soluzione, nonostante un recente sforzo di mediazione francese. Ora sembra che la crisi si allarghi anche ai paesi vicini, come la Guinea Bissau. Qui evidentemente, al di là  delle rivalità  personali fra Vieira e Mane (o dei vecchi conti da regolare all'interno del potere), non tutto l'esercito di Bissau vuole dissociarsi dai resistenti della Casamance. Anche il Gambia rischia di essere contagiato dalla crisi.

Intanto la gente a Bissau muore sotto i colpi dei tiratori. Decine di migliaia di abitanti si sono rifugiati nella foresta. Mancano medicinali e scarseggia il cibo. Siamo di fronte a una tragedia. La crisi di Bissau appare destiata a cronicizzarsi se non ci saranno interventi pacificatori. Qual è il futuro? Ne parlavo con il coraggioso vescovo di Bissau, l'italiano monsignor Settimio Ferrazzetta, missionario nel paese da mezzo secolo. La sua autorità  è molto alta in mezzo alla popolazione, in maggioranza musulmana. Fin dalle prime settimane della crisi, monsignor Ferrazzetta ha tentato una disperata mediazione tra le due parti. Il problema - mi diceva il vescovo prima del golpe - è la costruzione di una classe dirigente capace di realizzare una politica al servizio del paese. Ma ormai sembra tardi. Tutto è affidato alle armi e a una logica che non teme di fare uso della violenza in maniera spregiudicata, anche a prezzo della distruzione del paese. La vita di tanta gente è proprietà  di pochi signori della guerra, che ne dispongono come vogliono.

Un richiamo alla responsabilità  della comunità  internazionale si impone. L'augurio è che la crisi di Bissau si risolva presto. Ma ciò non avverrà  se i paesi occidentali non usciranno dalla loro prudente inerzia. La Francia considera il Senegal come un suo interlocutore decisivo in quella regione africana. Ebbene, il Senegal, dietro cui si staglia il governo di Parigi, deve esercitare la sua influenza per una pacificazione. L'Italia stessa ha 111 suoi cittadini in Guinea Bissau: tutti missionari o cooperanti. Per parecchi giorni, all'inizio della crisi, è sembrato che l'Italia si occupasse più dei turisti italiani dispersi nello Yemen di quanto si preoccupasse per questa cospicua presenza in Guinea Bissau. Questa presenza rappresenta un «interesse nazionale» di rilievo. Il Portogallo - gliene va dato atto - si è molto impegnato assieme ad alcuni paesi di lingua portoghese. La Guinea Bissau è un caso in cui i paesi europei possono mostrare una politica coerente e ispirata agli interessi della pace?

D'altra parte, non si possono scaricare tutte le responsabilità  sull'Europa. La crisi di Bissau rivela il logoramento dei mini stati e di classi dirigenti poco capaci di farsi carico degli interessi dei loro paesi. Hanno un futuro questi fragili stati usciti dalla decolonizzazione e ritagliati talvolta per scherzo della storia? Sono problemi che bisogna avere il coraggio intellettuale di porre a noi stessi, alla comunità  internazionale e ai nostri amici africani. Perché - come abbiamo detto altre volte - il futuro dell'Africa non è tutto «nero»: ci sono energie, risorse, esperienze, uomini e donne che stanno lottando per un «nuovo rinascimanto». l

Guinea Bissau (già  Guinea Portoghese): stato dell'Africa occidentale che s'affaccia sull'Atlantico e confina con Senegal e Guinea. Poco più di 36 mila chilometri quadrati di superficie, 973 mila gli abitanti, capitale Bissau, è uno dei paesi più poveri del mondo. La superficie coltivata è pari al 8 per cento di quella territoriale: vi si coltiva mais, riso, sorgo, miglio, patate dolci... Abbastanza sviluppata la pesca. Vi sono giacimenti di bauxite e fosfati, ma l'unico materiale estratto è l'argilla. Colonia portoghese, ha raggiunto l'indipendenza nel 1974. Teatro di continue tensioni politiche, è ora governata da Vieira, che ha preso il comando nel 1986, dopo essersi liberato degli avversari politici.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017