La nuova identità

I giovani rappresentano un'energia straordinaria per gli Stati d'arrivo e per l'Italia. Dobbiamo ascoltarli, senza commettere l'errore di imporre loro le forme dell'associazionismo tradizionale.
16 Settembre 2009 | di

Parlare di identità significa riferirsi a tutto ciò che identifica un popolo e ogni singola persona e che permette di continuare a essere se stessi nel fenomeno evolutivo della storia. La famiglia e la comunità di provenienza, la formazione umana e professionale, i rapporti umani e le esperienze lavorative sono solo alcuni degli ambiti in cui l’identità matura, si sviluppa e si caratterizza. Rivolgo l’attenzione all’identità delle nuove generazioni italiane nel mondo, convinto che è su di loro che grava il futuro. La storia di milioni di connazionali, che hanno lasciato l’Italia, ha dei capitoli che testimoniano come il rispetto e il mantenimento dei valori dell’identità, dell’universalità dei diritti dell’uomo e del suo patrimonio storico-culturale, non sono stati salvaguardati. Ma nonostante qualche episodio negativo, l’integrazione degli italiani nel mondo è uno dei segni più positivi, con risultati soddisfacenti non solo nell’ambito sociale ed economico, ma anche in quello culturale.
La svolta generazionale
Quando si chiede a dei giovani oriundi italiani quale sia la loro identità e quali prospettive possa avere il patrimonio di italianità ricevuto dai genitori, si ha subito la sensazione di trovarsi di fronte a persone con esperienze e atteggiamenti diversi da quelli dei loro coetanei autoctoni. La loro personalità esprime la somma di culture e di appartenenze legate al retaggio delle loro famiglie, ma anche il patrimonio educativo e scolastico ricevuto nel Paese dove sono nati. Sono giovani bene integrati nel contesto grazie all’avanzamento sociale conquistato, con il lavoro, dai loro familiari. «Viviamo due identità», mi ha confidato Giusy Vitiello residente a Mainz. «Una situazione che ci consente di vivere con i costumi e la cultura della Germania, dove siamo nati ma anche con l’opportunità di scegliere quello che più ci piace della cultura e dello stile di vita italiano». E Maria Lomanto, giovane insegnante di Letteratura inglese in una scuola a nord di Londra, ha aggiunto: «Vivo la mia identità soprattutto attraverso i valori trasmessi dalla famiglia. Sono bene integrata nella comunità inglese e fiera della mia identità italiana. Mantengo ottimi rapporti con coetanei italiani e inglesi, soprattutto nel mondo della scuola, che dimostra forti interessi per la cultura italiana».
Queste testimonianze confermano che le famiglie e le comunità italiane all’estero si trovano oggi di fronte a una svolta generazionale. I loro giovani hanno ricevuto un’istruzione universitaria e hanno già sperimentato i vantaggi della loro integrazione nei Paesi in cui sono nati, sul piano civile e professionale. Molti di loro possiedono la doppia cittadinanza. Per altri rimane vivo il desiderio di acquistare la cittadinanza italiana, come segno di appartenenza al Paese dei padri.
Ma ha senso e valore per questi giovani mantenere l’identità legata alle loro radici? È un interrogativo e, nello stesso tempo, una sfida. Per molti di questi giovani «sentirsi italiano» significa scoprire il senso del rapporto con il Paese di provenienza dei loro genitori o dei loro nonni. E anziché lasciarsi assorbire dal rullo compressore del melting pot, accettando un’integrazione che cancella ogni legame con il loro retaggio culturale, si pongono in un atteggiamento di apertura verso le memorie dei padri e verso culture ed esperienze internazionali. Senza nulla togliere al Paese in cui vivono, manifestano un nuovo rapporto con l’Italia, soprattutto se hanno avuto l’occasione di ammirare le sue bellezze, conoscere i suoi patrimoni culturali, frequentare le sue università.
Il rapporto tra giovani e italianità dipende molto dall’ambiente familiare e dall’educazione che i genitori hanno (o non hanno) saputo impartire. Ma l’italianità diviene «senso di partecipazione» se i giovani oriundi hanno la possibilità di frequentare dei corsi di italianistica nella loro patria. Meglio ancora se hanno potuto frequentare stage, master e percorsi formativi in università o in aziende italiane. L’italianità si presenta come un mix di valori aggiunti. È legata allo stile di vita della propria famiglia, alla conoscenza del patrimonio storico e all’eredità culturale che l’Italia ha lasciato al mondo. Ma anche ai benefici che questo senso di appartenenza offre alla loro professione.
L’italianitàe la globalizzazione
«L’italicità è qualcosa di più del non trascurabile made in Italy e si alimenta della cultura e dei valori di circa 250 milioni di persone che vivono il mondo globalizzato e il “presente mobile” in un’ottica, appunto, italica», scrive Piero Bassetti nell’introduzione del libro Italici, il possibile futuro di una community globale, a cura di Paolino Accolla e Niccolò d’Aquino, Casagrande editore. Come strumenti di informazione per i tre o quattro milioni di italiani iscritti all’Aire e per i sessanta milioni di italiani e loro discendenti, la pubblicazione citata ci fa conoscere un universo di 400 testate (tra giornali, periodici e bollettini) e l’attività di siti, trasmissioni radio e tv che superano le 140 mila ore all’anno. Realtà che non coinvolgono solo i connazionali e i loro discendenti, ma anche gli italofili e gli italianisti. A questo fenomeno dobbiamo aggiungere la corsa alla cittadinanza italiana, come desiderio di appartenenza a una storia e a una cultura che, in certi Paesi, registra delle attese da noi sconosciute. Penso al Brasile, un Paese con 30 milioni di oriundi italiani, molti dei quali ai vertici del sistema politico ed economico. Nei vari Consolati giacciono oggi più di 500 mila pratiche per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis.
Nel mondo sta prendendo corpo, sottolinea ancora Piero Bassetti, «una comunità virtuale, perché non modellata su criteri tradizionali di identificazione e appartenenza; in grado però di assumere progressivamente forza, nella misura in cui sa aprirsi e rendersi disponibile verso nuove e continue adesioni dall’esterno e sa collegarsi costituendo una rete di poli tra loro ben connessi, anche senza continuità territoriale» (P. Bassetti, Il mondo in italiano, Limes, 4,1998). Sono riflessioni che evidenziano il ruolo vitale del «sistema italia nel mondo», che veicola il binomio «cultura e conoscenza della lingua» e diviene base di una promozione anche economica. A questi dati dobbiamo sommare l’attività delle Regioni italiane, con programmi e iniziative organizzate in Italia e all’estero per i loro giovani oriundi. Ricordiamo la Conferenza di San Servolo, a Venezia, organizzata dalla Regione Veneto nel giugno scorso e altre simili iniziative svolte, negli ultimi mesi, in Italia e all’estero, dalle Regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Marche, Toscana, Sardegna e Molise oltre che dalla Provincia autonoma di Trento. Emerge la consapevolezza che stiamo vivendo un momento storico in cui l’identità, come coscienza della propria individualità, è uno dei problemi più sentiti dagli italiani all’estero e soprattutto dai loro discendenti, che vivono in un continuo incrocio di contesti culturali. Vivono la loro vita all’insegna della multiculturalità, affrontando i rischi dell’attuale processo di globalizzazione, che scavalca ogni frontiera e spinge sempre più alla mobilità, per ragioni di lavoro e di studio. Di fronte alla scomparsa dell’emigrazione tradizionale e alla crisi che ha coinvolto le associazioni, ci sarà un futuro se saremo capaci affrontare nuove sfide. Aprirci ai processi della globalizzazione, ampliare la rete delle nostre relazioni, fondare sensi di appartenenza e di identità su modalità nuove. Su patrimoni che, pur legati alle nostre radici, si estendono a interessi culturali e storici che oltrepassano i confini della nazione.
L’apporto della multimedialità
Le nuove generazioni rappresentano un’energia straordinaria per gli Stati d’arrivo ma anche per l’Italia stessa. Dobbiamo ascoltarle, prima ancora che guidarle. Non dobbiamo commettere l’errore di imporre loro le forme dell’associazionismo tradizionale. Se ci facciamo caso, è attraverso di loro che stiamo già vedendo modificarsi l’intero impianto dell’aggregazione. Quello che dobbiamo e possiamo fare è favorire i canali attraverso cui si attua la loro partecipazione, finanziarli, ma anche e soprattutto conoscerli e appassionarci a essi.
Si pensi ai social network (come ad esempio Facebook), alle comunità virtuali, ai raduni organizzati utilizzando la piattaforma Skype, che permette di parlarsi da un capo all’altro del pianeta, spendendo pochi spiccioli. Sono solo alcuni dei nuovi mezzi tramite i quali i giovani stanno riorganizzando le forme dell’associazionismo italiano all’estero. Cambiano le forme, ma cambiano anche gli italiani all’estero, come categoria. E qui ritorno al concetto che vuole caratterizzare questo mio intervento sull’identità. Grazie a internet, che ha abbattuto ogni frontiera, le nuove generazioni hanno, oggi, canali diversi per rapportarsi tra di loro, con le associazioni, con le Regioni d’origine, con i centri universitari e culturali italiani e del mondo. I social network stanno incentivando un’informazione di ritorno e nuove modalità di rapporti e di interscambi interattivi, rivolti al futuro. Modalità che ci allontanano dallo stile di aggregazione legato ai vecchi stereotipi e ci aprono alle prospettive della multimedialità come servizio di informazione in tempo reale. In questa nuova visione, le Regioni, le associazioni e i media hanno ancora una carta vincente da giocare. Il senso di appartenenza all’Italia supera ogni frontiera e per tanti giovani oriundi, nei Paesi dell’Unione Europea o in quelli del Mercosur, è divenuto transnazionale. A volte viene a mancare un legame con l’Italia come Stato, ma rimane un’appartenenza ai suoi valori culturali, un legame con i parenti e la Regione d’origine. La «rete» è, allora, uno strumento provvidenziale per trasformare la «diaspora dell’altra Italia» in una rinnovata comunità multimediale.
Ha senso, allora, per i giovani, mantenere un’identità legata alle loro radici? Dai miei contatti constato in loro la voglia di un’italianità senza confini, il desiderio di recuperare un’identità forse frammentata, legata alla pluralità di idee, di istanze e di esperienze, che caratterizza lo stile di vita dei giovani del terzo millennio. Ma se è motivata dalla volontà di aprirsi ai valori dell’intercultura, questa identità li libera dalle tentazioni di rinchiudersi nel piccolo orto della propria vita, donando a essa i caratteri dell’ampiezza e la capacità di rapportarsi con gli altri. Quando i nostri giovani oriundi, cresciuti nella loro terra natale, conoscono la lingua e la cultura del Paese di origine dei loro padri, trovano nuove prospettive. Lo testimoniano non solo giovani studenti, ma anche giovani imprenditori, discendenti di italiani residenti nell’America del Sud e venuti in Italia per stage presso università o per visite alle Camere di commercio, ad aziende di import-export, a piccole e medie imprese, che rispecchiano le realtà dei loro Paesi di residenza. La loro permanenza in Italia, in questi casi, è un arricchimento di interessi e di rapporti.
Uno degli obiettivi di questa riflessione è di presentare alle nuove generazioni italiane nel mondo, il significato della loro identità. Le motivazioni dell’eventuale appartenenza ai valori di un’italianità senza confini. Un’italianità che può creare nuove forme di aggregazione, in un mondo, oggi, sempre più globalizzato.

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017