La pace secondo Francesco

«Non più schiavi,ma fratelli» è il tema della 48ma Giornata mondiale della pace, (1° gennaio 2015). Ma quali sono gli elementi centrali della predicazione della pace di papa Bergoglio, che non a caso ha scelto il nome di Francesco?
06 Gennaio 2015

La prima minaccia alla pace è il commercio delle armi e la diffusione delle armi atomiche: per vivere in pace l’umanità non ha bisogno della paura di un disastro nucleare ma di «un’etica della fraternità». «Siamo già in una terza guerra mondiale a pezzi» e non ce ne rendiamo conto. La pace è opera «artigianale» che chiede il contributo di tutti e «dev’essere costruita sulla giustizia, lo sviluppo socio-economico, la libertà, il rispetto dei diritti umani fondamentali, la partecipazione di tutti alla vita pubblica e la costruzione della fiducia tra i popoli».

Sono gli elementi centrali della predicazione della pace di papa Bergoglio, che ha scelto il nome di Francesco per il suo rimando ai poveri e alla custodia del Creato ma anche perché il santo di Assisi è «l’uomo della pace».

Fino a oggi Francesco ha rivolto al mondo due «messaggi» per le due giornate della pace che ha celebrato ad apertura del 2014 e del 2015, ha preso una straordinaria iniziativa per la pace in Siria nel settembre del 2013, ha chiamato in Vaticano i presidenti di Israele e della Palestina per una creativa «invocazione della pace» in nome delle tre fedi che si richiamano ad Abramo (ebrei, cristiani, musulmani), ha pronunciato un forte anatema su ogni guerra ricordando a Redipuglia i cent’anni dallo scoppio della prima guerra mondiale.

In coerenza con il richiamo a Francesco d’Assisi, papa Bergoglio incentra la sua pedagogia di pace sulla fraternità: Fraternità fondamento e via per la pace era il titolo del messaggio per la Giornata del 2014, Non più schiavi, ma fratelli è il titolo del messaggio per la Giornata del 2015. Com’è tipico di Francesco, tali messaggi trovano la loro efficacia nella combinazione della veduta ampia dei destini umani con quella immediata dei doveri d’ognuno.

Alla base c’è la convinzione che siamo tutti figli dell’unico Padre celeste, facciamo parte della stessa famiglia umana e condividiamo un comune destino. Da qui deriva per ciascuno la responsabilità di operare affinché il mondo diventi una comunità di fratelli che si prendono cura gli uni degli altri.

Forte nei messaggi è anche la denuncia delle tragedie che scuotono il mondo e l’appello a mettervi fine: «Fratelli e sorelle: cosa succede nel cuore dell’umanità? È ora di fermarsi!» (messaggio 2014); «La globalizzazione dell’indifferenza chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità» (messaggio 2015).

Costante in questa predicazione è l’appello al disarmo, a cominciare da quello «nucleare e chimico»: «Finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità» (messaggio 2014). Tra i nemici della fraternità umana il Papa elenca le «organizzazioni criminali» che «logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona, offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato» (messaggio 2014). Tra quelle organizzazioni segnala in particolare «le reti transnazionali del crimine organizzato che gestiscono il traffico di esseri umani» (messaggio 2014).

Sul fronte della pace è difficile che un Papa possa dire parole nuove o compiere gesti inediti, dopo che da Benedetto XV a Benedetto XVI, passando per pontificati per questo aspetto straordinari come quelli di Roncalli, di Montini e di Wojtyla, così tanto è stato detto e fatto. Infatti Francesco ha optato per riprendere – si direbbe alla lettera – il linguaggio e il metodo di intervento elaborato da Giovanni Paolo II in occasione delle due guerre del Golfo (1991, 2003). Un metodo che ha tre momenti principali: l’appello pubblico alla comunità internazionale, l’iniziativa diplomatica, giornate di digiuno e di preghiera a dimensione ecumenica e interreligiosa. Tutto questo ha messo in opera papa Bergoglio per la pace in Siria nella prima settimana del settembre 2013 e per la pace tra Israele e Palestina nel giugno del 2014.

Appello per la Siria All’Angelus del 1° settembre 2013 Francesco annunciava per il 7 settembre una Giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero. A partire dall’udienza generale del 4 settembre «il grido della pace» diviene il logo dell’iniziativa: «Si alzi forte in tutta la terra il grido della pace!». «Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace»: così Francesco parlava durante la veglia del 7 settembre in piazza San Pietro, davanti a 100 mila persone.

Per l’aspetto ecumenico e interreligioso di questa campagna di Siria, va ricordato che in vista di essa Francesco aveva invitato «anche i membri di altre Chiese e comunità ecclesiali, gli appartenenti alle altre religioni e tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad associarsi alla Giornata di preghiera e di digiuno, nelle forme che riterranno più opportune». Non c’è che dire: la gran folla della veglia del 7 settembre 2013 in piazza San Pietro, la parola commossa del Papa, il concerto delle voci vaticane a suo sostegno hanno fatto rivivere a ognuno quanto ebbe a fare in più occasioni papa Wojtyla, e l’ultima volta – indomito e stremato – tra l’inverno e la primavera del 2003 per evitare l’attacco degli Usa a Saddam Hussein.

Non diverso – nello spirito e nei gesti – è stato quanto il Papa argentino ha messo in opera domenica 8 giugno 2014 nei giardini vaticani, dove ha presieduto un’inedita «Invocazione per la pace» tra israeliani e palestinesi che aveva così Francesco presentato a mezzogiorno alla folla di piazza San Pietro: «Come sapete, questa sera in Vaticano i presidenti di Israe­le e Palestina si uniranno a me e al Patriarca ecumenico di Costantinopoli, mio fratello Bartolomeo, per invocare da Dio il dono della pace nella Terra Santa, in Medio Oriente e nel mondo intero».  Fermare l’aggressore ingiusto Anche nella rivendicazione del diritto e del dovere di «fermare l’aggressore» papa Francesco segue Giovanni Paolo II che aveva sviluppato la dottrina dell’ingerenza umanitaria negli anni Novanta del secolo scorso, in riferimento alla guerre della ex Jugoslavia. «Dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo» sono parole dette da Francesco ai giornalisti in aereo, di rientro dalla Corea, il 18 agosto 2014, in relazione alla Siria e all’Iraq. In quella stessa occasione precisa che dovrà essere la comunità internazionale a decidere sui mezzi da usare per l’intervento: «Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria: quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la seconda guerra mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere».

Un appello di pace epocale, in tono biblico, contro ogni guerra papa Bergoglio l’ha rivolto all’intera umanità celebrando il 13 settembre 2014 al sacrario di Redipuglia una liturgia «penitenziale» nel centenario dello scoppio della Grande Guerra: «Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia… trovandomi qui, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia. Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge (…). La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione».

La guerra è una follia riprende il monito formulato da Giovanni XXIII nella Pacem in terris, dove definiva «alienum a ratione» (lontano dalla ragione, folle) nell’era atomica il ricorso alla guerra per la soluzione delle vertenze tra i popoli. Sempre a Redipuglia Francesco ha riaffermato la sua intuizione – che ha colpito commentatori e opinione pubblica – sul fatto che siamo già in un nuovo conflitto mondiale: «Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta a pezzi, con crimini, massacri, distruzioni».

La preghiera nei giardini vaticani e questo monito sulla «terza guerra mondiale a pezzi» sono i messaggi di papa Francesco che meglio hanno interpretato il desiderio di pace della famiglia umana.              

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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