La preghiera al centro
Quand’ero giovane prete, alle prime esperienze di confessionale, mi risultava naturale esortare i penitenti alla preghiera. La gente, così mi pareva, aveva ancora idee abbastanza chiare sul significato del pregare, sulla necessità di cercare e coltivare un rapporto vivo e personale con Dio. Da qualche anno, invece, la raccomandazione di dare tempo alla preghiera – sia semplicemente per poter vivere da cristiani sia per superare particolari difficoltà spirituali –, più di qualche volta sembra cadere nel vuoto. Non incontra un terreno preparato a cogliere e a tradurre poi adeguatamente il consiglio ricevuto. Per cui mi è sorto il seguente dubbio: i cristiani in genere, soprattutto le giovani generazioni, sanno precisamente di che cosa si sta parlando quando si fa riferimento alla preghiera? Recitare preghiere, stare in silenzio all’interno di una chiesa, meditare assorti, partecipare a celebrazioni liturgiche, ricordarsi di Dio in alcuni momenti della giornata, recitare il rosario, sono tutte forme di preghiera dello stesso valore o bisogna saper distinguere? L’impressione è che in giro ci sia una certa confusione, o almeno pressappochismo, e che molti adattino ai propri gusti quello che dovrebbe essere uno dei linguaggi determinanti della fede.
Leggendo le pagine del Catechismo della Chiesa cattolica là dove, all’inizio della quarta parte, si cerca di rispondere alla domanda: «Che cos’è la preghiera?», s’incontrano delle definizioni di alto spessore spirituale. Cominciando da una luminosa testimonianza di suor Teresa di Gesù Bambino: «Per me la preghiera è uno slancio del cuore, un semplice sguardo gettato verso il cielo, un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia», si passa alle parole misurate ma profonde di san Giovanni Damasceno: «La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti», per concludere con una bella riflessione di sant’Agostino il quale, commentando il vangelo della donna samaritana (Giovanni, cap. 4), ha un guizzo di alta poesia e di autentica spiritualità: «Che lo sappiamo o no, la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui».
Non il registro dell’obbligo, del dovere, dell’imposizione, ma il linguaggio del bisogno e del desiderio, della ricerca e dell’incontro, della nostalgia e del compimento, dell’attesa e della relazione, così ci dice il grande Agostino. Ma anche lo slancio del cuore di santa Teresa non è meno coinvolgente, così come fa pensare il doveroso discernimento richiesto dal Damasceno: cosa conviene chiedere a Dio? Detto altrimenti: qual è il nostro, il mio vero bene?
Un discorso sulla preghiera collocato all’inizio dell’estate, prima che i più partano per le vacanze o si diano tregua pur rimanendo nei luoghi di sempre, non è a caso. Se molti lamentano che la mancanza di tempo è una difficoltà insormontabile per potersi dedicare alla preghiera, il rischio è che quando un po’ di giorni si liberano per l’annuale sospensione dell’attività lavorativa o anche solo del tran tran quotidiano ci si trovi già da subito coinvolti in altri ritmi incalzanti: quelli dei riti vacanzieri, per intenderci, non meno esigenti e pressati da doveri.
Liberare il tempo, però, non è solo questione di essere o sentirsi disoccupati e nullafacenti, perché la preghiera è il «caso serio» della vita cristiana: solo dove c’è quella, questa è possibile. Vale a dire che dovremmo essere abituati ad adattare i nostri impegni a seconda della vita di preghiera che intendiamo assolutamente preservare, e non viceversa come quasi sempre accade.
La stoffa del discepolo si consolida nella misura in cui egli si lascia condurre «in disparte» da Gesù. Mettiamo dunque la preghiera nell’agenda delle nostre vacanze, e cerchiamo poco a poco di riportarla al centro della vita.