La quarta parete
Ottobre è un mese che mi ha sempre affascinato. È il mese delle scuole appena ricominciate, delle castagnate, delle foglie che cadono e dei teatri che aprono nuovamente il sipario, presentando le stagioni di spettacolo che accompagneranno molte delle nostre serate invernali. A questo proposito ho recuperato nella mia libreria un testo che non leggevo da un po’: Le mie regie di Kostantin Stanislavskij, il celebre regista russo ottocentesco, autore del più noto Il lavoro dell’attore su se stesso, manuale in voga tra gli attori dell’Actor’s Studio e delle scuole di recitazione. C’è una sua definizione, in particolare, che mi ha colpito da sempre. Il nostro regista afferma che il teatro è come una scatola, con tre lati (o pareti) chiusi, il fondale e le quinte laterali. Eppure, aggiunge, c’è una quarta parete, invisibile e immaginaria, interposta tra l’attore sul palco e lo spettatore in platea. Il teatro del Novecento ha tentato più volte di «bucare» la quarta parete, con l’intento di ridurre la distanza tra attore e spettatore, rendendoci così parte di un unico atto creativo dove tutti siamo protagonisti sullo stesso piano.
Personalmente mi sono sempre chiesto se per caso ce ne fosse anche una quinta da sfondare. Di sicuro avrete già capito dove voglio andare a parare. Sono profondamente convinto che anche la disabilità sia una specie di scatola con quattro pareti chiuse. Pareti che, a partire dai disabili stessi, abbiamo tutti il compito di smantellare e di far «esplodere».
Mi riferisco a quelle scatole protettive che danno sicurezza, ma che, se non si sta attenti, possono diventare delle prigioni. Parlo del preconcetto che aleggia ancora nel pensiero di molti, anche di tante famiglie, che un disabile debba solo parlare del proprio deficit e di tutto quello che ne consegue, del fatto che una persona non possa avere una vita, amicizie e interessi propri al di là delle associazioni e delle cooperative in cui lavora o che frequenta. Ciò vale, ovviamente, anche per la vita affettiva, un problema che coinvolge prima di tutto la persona con deficit, che molte volte non può o non ha il coraggio di fare certi passaggi.
Per imparare ad affrontare il mondo bisogna uscire dalla scatola e fare in modo che siano le azioni concrete a permettere di inserirsi nello stesso. Azioni che devono partire da tutti, disabili compresi, per poter parlare effettivamente e consapevolmente di società integrata. Che cos’è allora la quinta parete? Nient’altro che tutto ciò che sta fuori dalla scatola, fuori dai pregiudizi e dalla sfiducia, l’incontro con le esperienze che la vita e la società quotidianamente ci offrono. È nell’esperienza, infatti, che può finalmente azzerarsi la distanza tra palco e realtà, proprio come canta Ligabue. Detto questo, adesso vado a farmi un bell’abbonamento a teatro, sperando che non abbia pareti troppo resistenti. E voi avete mai fatto esplodere la vostra scatola? Avete trovato una quinta parete? Raccontatelo a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.