La realtà oltre l’immagine

04 Maggio 2000 | di

Ammirando un`€™opera d`€™arte religiosa raramente sappiamo andare oltre l`€™impressione estetica: essa comunica, invece, realtà  profonde della fede. Monsignor Timothy Verdon in quest`€™intervista ci offre alcuni spunti per capire.

 Monsignor Timothy Verdon, fiorentino di adozione, è un profondo conoscitore dell`€™arte italiana, di quella sacra in particolare, della quale ha imparato a cogliere `€“ e a trasmetterli con lucida e sentita passione `€“, i messaggi profondi, le verità  della fede che gli artisti hanno inteso trasmettere. Autore di varie pubblicazioni, è direttore dell`€™ufficio diocesano per la catechesi attraverso l`€™arte e docente di storia dell`€™arte presso la Stanford University di Firenze.

Msa. Perché le arti figurative, ma non solo quelle, hanno trovato nel cristianesimo, nella Chiesa cattolica e in quella d`€™Oriente in particolare, quasi un ambiente naturale entro cui esprimersi e maturare?
Verdon
. Il cristianesimo è una fede fondata sull`€™Incarnazione. Credere in un Dio che prende corpo, entra nella storia e sperimenta la totalità  della vita umana, fuorché il peccato, presuppone una particolarissima sensibilità  verso tutto ciò che è sensoriale e corporeo. Soprattutto in confessioni come quella cattolica e ortodossa, nelle quali ancora vige e plasma la sensibilità  delle persone un sistema di segni (i sacramenti) codificato sin dai primi secoli di storia della Chiesa. In tale contesto nasce spontaneo il desiderio di accompagnare i grandi segni con altri segni. Tant`€™è vero che la Chiesa considera le opere d`€™arte realizzate a servizio della liturgia `€“ dagli arredi alla stessa architettura dell`€™edificio sacro `€“ come sacramentali, con un impatto sulle persone in qualche modo analogo a quello degli stessi sacramenti.
Si può dire che l`€™arte cristiana abbia un fondamento teologico?
Sarebbe difficile dire che non lo abbia, quando, nel prologo del quarto Vangelo, Giovanni dice che Dio nessuno l`€™ha mai visto, ma in Gesù Cristo è stato reso intelligibile all`€™uomo.
Il cristianesimo presuppone una visibilità  di Dio e ogni aiuto a tale visibilità  ha la dignità  che Padri della Chiesa, come Giovanni Damasceno, attribuiscono all`€™arte cristiana, definita un`€™«immagine dell`€™immagine». Tant`€™è vero che nella Chiesa d`€™Oriente le immagini sono venerate come reliquie perché viste come il riflesso esatto di un`€™idea divina trasmessa attraverso un artista antico e continuata dalla Chiesa. La Chiesa d`€™Occidente vede diversamente il ruolo delle immagini, ma che esse corrispondano profondamente a una parte di quel dono che Dio ha voluto fare all`€™uomo, è un concetto presente sia in Occidente sia in Oriente.
A quali finalità  deve rispondere l`€™arte cristiana, quella figurativa in particolare: solo didascalico-catechetica (la Bibbia dei poveri) o altro ancora?
Direi soprattutto altro ancora. La Biblia pauperum è la sintesi di un brano della lettera di san Gregorio Magno al vescovo Sereno di Marsiglia. Il Papa scriveva agli inizi del settimo secolo, nel periodo dell`€™iconoclastia e a Sereno, che avrebbe voluto eliminare le immagini dalle sue chiese, dice di conservarle per permettere a quelli che non possono leggere di capire la realtà  della fede. Poi insiste dicendo che è compito dei sacerdoti, non solo per i fedeli che non sanno leggere, ma anche per quelli che sanno, di portare l`€™attenzione oltre l`€™immagine, la quale non è da venerare in sé, per cogliere in essa, attraverso l`€™esperienza visiva, la realtà  spirituale rappresentata.
L`€™opera d`€™arte cristiana non ha solo uno scopo narrativo-didascalico, non è un fumetto. Il suo obiettivo è di comunicare i contenuti della fede nel linguaggio della visibilità , che è diverso da quello letterario. L`€™opera d`€™arte non è la traduzione di un testo letterario, ma diventa un nuovo testo che comunica lo stesso contenuto con eloquenza particolare, nuova e, in qualche caso, anche più intensa rispetto al testo scritto.
Ad esempio, l`€™Annunciazione del Beato Angelico, nel convento di san Marco a Firenze, così come è configurata comunica cose che vanno oltre il racconto evangelico. Attraverso l`€™interpretazione dell`€™artista, essa trasmette l`€™ardore, l`€™umile attesa, e l`€™ascolto attento della volontà  di Dio di quella giovane donna: cose che il testo non dice esplicitamente. Questi sentimenti fanno parte della tradizione interpretativa che l`€™esperienza dei cristiani aggiunge al testo e che noi crediamo provenga anche dallo Spirito Santo.
Infatti, nell`€™ammirare un`€™opera d`€™arte religiosa, difficilmente andiamo oltre l`€™aspetto formale. Ci sfuggono altre letture. Nella lettera dei vescovi toscani si porta l`€™eloquente esempio della Trinità  del Masaccio.
Nella Santissima Trinità  del Masaccio, nella chiesa dei padri domenicani di S. Maria Novella, è la stessa composizione astratta dell`€™opera a comunicare la dimensione del mistero della Trinità . Il Cristo è posto davanti al Padre, il quale fa vedere il Figlio in croce mentre alita su di lui lo Spirito. Il Cristo in croce collega la parte alta della composizione con quella bassa: la sua testa sta davanti al Padre mentre i piedi sono nella zona dove ci sono Maria e Giovanni. Ciò significa che il suo corpo e la sua esperienza umana diventano la scala che collega il cielo e la terra.
La composizione globalmente ha la forma di una piramide ascendente, l`€™apice della quale è la testa di Dio Padre. La forma piramidale emerge attraverso Cristo, Maria, Giovanni e i donatori dell`€™opera: se il credente si inginocchia davanti all`€™affresco, entra a far parte di questa piramide dell`€™amore del Padre che entra nel tempo in Cristo e passa attraverso Maria e Giovanni... sino a noi.
L`€™uomo moderno, schifato da immagini spesso di una banalità  o di una brutalità  assolute, è ancora in grado di trovare nell`€™arte sacra motivi di lettura, occasioni per riflettere? Come eventualmente aiutarlo in quest`€™avventura?
L`€™uomo moderno, più che in passato, ha bisogno dell`€™aiuto dell`€™immagine cristiana per imparare a fermarsi un attimo a gustare la dimensione contemplativa. Egli per sua natura è chiamato a coltivare il silenzio interiore, la contemplazione che la cultura oggi non coltiva. Il ritorno all`€™arte del passato (dove uno con pazienza guarda, cerca di capire, lasciandosi penetrare dalla bellezza, il significato dell`€™opera) può essere una grande scuola per l`€™uomo moderno: una scuola di preghiera, di umanità  e perfino... di divinità , per i non credenti.
Come aiutarlo? Questo è più difficile. Siamo sollecitati da mille cose e i ritmi della vita non ci inducono minimamente a sostare davanti a un`€™immagine per venti muniti per guardare e lasciarci penetrare... Allora, dove è possibile, bisogna creare occasioni in cui persone già  disposte (artisti, studenti, anziani...), guidate da un esperto, vengono aiutate a riflettere su questi significati. Lo studio dell`€™arte poi va reintrodotto nella liturgia, non come conferenza sui dipinti, ma in modi ancora da definire; come va reintrodotto nel curriculum dei seminari e degli studi teologici, perché i sacerdoti imparino a interpretare le immagini.
La riscoperta dell`€™arte sacra quali «vantaggi» `€“ spirituali, si intende `€“, dovrebbe portare all`€™uomo oggi?
Mi rifaccio a quanto detto dai vescovi toscani nella Nota pastorale del 1997. Questi i vantaggi indicati: l`€™arte sacra costituisce un antidoto alla spersonalizzazione e all`€™abbrutimento dell`€™esperienza visiva; è una riaffermazione dei valori spirituali del mistero cristiano, perché l`€™arte ci riporta a contemplare il mistero come è stato sottolineato nei secoli passati. E prospetta una visione eloquente del mondo a venire, visione ignorata dalla nostra cultura, focalizzata com`€™è sul momento presente. L`€™arte della tradizione cristiana ci fa vedere spessissimo la gloria futura, non tanto sullo sfondo d`€™oro su cui campeggiano i santi, ma su volti trasfigurati dalla verità , su occhi illuminati dalla gioia e dall`€™amore di Dio. L`€™arte comunica e la fede degli antenati nel mondo futuro e la gioia interiore che libera dall`€™angoscia di sentirsi un piccolo resto in un mondo che non crede più in quello in cui noi crediamo. Uno si sente inserito nella comunione dei santi, avverte che il grande filone della fede attraversa tutta la storia, come la tradizione figurativa dimostra, e così riacquista il senso delle continuità  del tempo. Soprattutto i giovani scoprono l`€™amore del bello condiviso da generazioni diverse che le fa comunicare nell`€™ammirazione. Come diceva Paolo VI.

   
   

   

     

      «L`€™uomo impara a offrire al suo Creatore       tutta la sua vita sensoria, è però soprattutto dall`€™arte figurativa che si sente interpellato nella sua vita spirituale, come un essere libero... Le raffigurazioni di Cristo, di Maria e dei santi, che l`€™uomo vede nel contesto liturgico, gli comunicano i contenuti della fede e il senso dei riti con forza e chiarezza come poche altre forme espressive»      
(Nota pastorale dei vescovi toscani  , 1997).

          «La nostra tradizione più autentica, che       condividiamo pienamente con i fratelli ortodossi, ci insegna che il linguaggio della bellezza, messo al servizio della fede, è capace di raggiungere il cuore degli uomini, di  far loro conoscere dal di dentro Colui che   noi osiamo rappresentare nelle immagini, Gesù Cristo»
  (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Duodecimum saeculum,   1987).

 

   
   
P  ER SAPERNE DI PIà™      

L   a vita si è fatta visibile. La comunicazione della fede attraverso l`€™arte.       È la nota pastorale della Conferenza episcopale toscana (1997) più volte citata nel dossier, una guida assai utile per approfendire il tema trattato. Per averla, la si può richiedere alle librerie cattoliche o alla Curia arcivescovile di Firenze.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017