La reliquia della lingua del Santo
Dei quattro milioni di persone che ogni anno affollano la Basilica del Santo, pellegrini e turisti da tutti i continenti, ben 798 mila – ne è stato fatto un conteggio preciso dal luglio 2011 al luglio 2012 – hanno visitato la cosiddetta Cappella del Tesoro, dove tra le rinomate reliquie spicca quella della lingua del Santo. Collocata all’interno di un’edicola ricca soprattutto di doni di valore offerti da famosi personaggi, essa viene guardata e scrutata da tutti con grande interesse e non senza laconici commenti. C’è da dire, inoltre, che l’accesso alle reliquie del Santo (mento, lingua, dito, resti dell’apparato vocale) è regolato da un passaggio piuttosto stretto che mette tutti in fila indiana e concede così – viste le lunghe code che si creano – un faccia a faccia di pochi istanti. Certamente questo non scoraggia l’assieparsi di anziani come anche di famiglie con bambini, questi ultimi elettrizzati dalla grande novità che è stata loro comunicata dai genitori: la lingua di un certo sant’Antonio, morto ottocento anni fa, in bellavista. E non mancano le raffiche di flash, quando turisti giapponesi o coreani bypassano le indicazioni No take pictures, niente foto. Non si tratta di paparazzi di cadaveri, ma probabilmente di gente che si trova davanti a uno spettacolo che non sa giudicare e che intanto mette al sicuro con uno scatto. Poi si vedrà.
Quel che può apparire strano è che i frati della Basilica, per primi, non hanno mai enfatizzato – oggi come ieri – il culto della reliquia della lingua, di fatto circoscritto a Padova e dintorni. L’indiscusso cuore devozionale del Santuario antoniano è, e resta, il corpo di sant’Antonio custodito nella Cappella dell’Arca, dietro la lastra di marmo verde sfiorata da milioni di mani: è lì che in silenzio le persone riversano drammi propri o altrui, è lì che avviene l’incontro nella fede con chi, già nella gloria di Dio, è potente intercessore per le molte necessità e fragilità umane. È a lato dell’Arca, poi, che vengono esposti gli innumerevoli PGR (per grazia ricevuta) i quali testimoniano viva riconoscenza per il Santo e i doni celesti di cui si fa mediatore. Insomma, nessuna concorrenza, nessuna schizofrenia, ma una visione unitaria della presenza del Santo nella sua Basilica. Con una coordinazione che esprime anche in modo spaziale l’articolazione del mistero cristiano, il suo mettere al vertice Gesù Cristo Figlio di Dio salvatore: il crocifisso del Donatello, sopra l’altare maggiore, ha una centralità indiscussa; mentre l’Arca con il corpo del Santo è a lato, in un transetto che è un tripudio di luce, luogo proprio di sant’Antonio esimio discepolo di Cristo; le altre reliquie si trovano, infine, in una cappella importante ma non centrale.
Quest’anno ricorrono i 750 anni dalla prima traslazione del corpo di sant’Antonio, che avvenne, nel 1263, alla presenza di san Bonaventura, allora Ministro generale dell’Ordine minoritico. Fu in quell’occasione che si verificò il ritrovamento della lingua incorrotta, quella oggi custodita nella Cappella del Tesoro. Dopo non poche traversie lungo i secoli, come quella che vide la reliquia collocata in una cassa di ferro con l’interno ricoperto di amianto per essere poi murata, per circa due anni (dal 2 ottobre 1943 al 12 giugno 1945), e così tutelata in caso di bombardamento. Solo pochissimi frati, non più di quattro, sapevano della cosa. E fu dopo questo occultamento, come hanno testimoniato i religiosi del tempo, che la lingua non si presentò più «carnosa ed eretta» come invece era prima, anche se il fervore della devozione verso la reliquia riprese con flusso ininterrotto di popolo. Fino ai nostri giorni, fino a 750 anni dal felice momento in cui san Bonaventura intonò quello che poi è diventato un famoso inno antoniano: «O lingua benedetta…».