La salita della piccola Maria

Nel celebre quadro del Tintoretto, la futura madre di Gesù viene presentata al Tempio: la bambina è sola, bella, piena di luce e di tenerezza. Una qualità che ritorna spesso anche nelle parole di papa Francesco.
21 Febbraio 2014 | di

Fino a qualche tempo fa, seguendo una consuetudine a me molto cara, durante la Quaresima visitavo la chiesa della Madonna dell’Orto a Venezia, per soffermarmi davanti al dipinto Presentazione di Maria al Tempio del Tintoretto.

Quella bambina di fronte alla scala della vita rappresenta ancora il mio progetto quaresimale. La sua luce è il desiderio della mia anima, che cammina per quaranta giorni (Quaresima) fino alla risurrezione di Gesù, dopo averlo accompagnato nella Settimana Santa tra i misteri della sua passione e morte, in un gioco di chiaroscuro che incarna il mio desiderio profondo di essere migliore. Nell’opera non sono «protagonisti» i genitori, ma la bambina. La luce sulla scala è tutta sua. Lo spettatore si rianima e si lascia guidare da quello splendore. A contemplarla mi immagino le fatiche che comportano le virtù cristiane. La bambina è in salita, con il piede su uno dei quindici gradini, rivestiti d’oro. Sembra la guida di una cordata. Ci sono tutti, senza eccezione, partendo dagli ultimi. Che bella la carità bambina con i «piccoli» preferiti da Gesù! La sua luce fa brillare i volti di tutti in una sinfonia d’amore.

Tutti guardano, tutti vedono e coralmente si entusiasmano per quella «verginità fatta carne» che sale, sola, a piedi scalzi, per non tenersi nulla, se non il progetto di Dio. Così com’è fa tenera ogni movenza dell’anima femminile, mediatrice tra gli spettatori e la storia sacra. Il sacerdote l’aspetta all’ultimo gradino, non l’accompagna nella fatica di salire. La piccola Maria è sola, è bella, è luce, come la tenerezza di Dio. Così vorrei la mia salita quaresimale.
 
Il Papa che piace a tutti
Mi viene in mente l’efficace espressione di papa Francesco: «Con un po’ più di tenerezza il mondo diventerebbe migliore». E le chiese formerebbero una sola famiglia.

Quest’anno, nella prima settimana di Quaresima, ricorre l’anniversario dall’elezione di papa Francesco. Perfino gli atei lo riconoscono come «riferimento» e benefattore dell’umanità.

Il pastore teologo valdese Fulvio Ferrario, nell’aprile 2013, dichiarò che anche i protestanti sono disponibili a imparare dalla carità e tenerezza di Francesco, vescovo di Roma, dicendo: «Il mondo protestante internazionale e le piccole chiese evangeliche italiane hanno salutato con viva simpatia i primi interventi del nuovo vescovo di Roma. La cosa più importante è la freschezza evangelica, che traspare da alcuni atteggiamenti. Ad esempio la richiesta rivolta alla folla di pregare per lui e di benedirlo, prima che egli stesso impartisse la benedizione “Urbi et orbi”, cioè alla città di Roma e al mondo. Sono certo che molti cristiani evangelici si sono uniti alla preghiera dei cattolici per il ministero di Francesco, che già di per sé costituisce un bel momento del cammino, per altri versi a volte zoppicante, verso l’unità della Chiesa (…). Noi protestanti siamo contenti di poter compiere un pezzo di questo cammino insieme a un uomo come Francesco. Ascolteremo con attenzione il vescovo di Roma e siamo sicuri di poter imparare molto da lui». Sorpresi benevolmente anche i cristiani ortodossi. Viva simpatia espressero inoltre buddisti e musulmani.
 
I corrotti sono dei lombrichi
Peccatori siamo tutti, ma corrotti diventiamo. Lo dice papa Francesco. La corruzione è il contrario della bambina dipinta dal Tintoretto che sale la scala ripida della vita. Si legge nel volume di Jorge Mario Bergoglio Guarire dalla corruzione (Emi, 2013): «Non è una novità: da quando l’uomo è uomo, sempre si è avuto questo fenomeno che, ovviamente, è un processo di morte: quando la vita muore, c’è corruzione. Frequentemente noto – scrive il Papa – che si identifica corruzione con peccato. In realtà, non è esattamente così. Situazione di peccato e stato di corruzione sono due realtà distinte, anche se intimamente legate fra loro. (...) Sappiamo che siamo tutti peccatori, però la novità che viene introdotta nell’immaginario collettivo è che la corruzione sembrava far parte della vita normale di una società, una dimensione denunciata e tuttavia accettabile nella convivenza sociale. Non voglio dilungarmi in esempi: i giornali ne sono pieni». E ancora: «Ci farà bene percuoterci l’anima con la forza profetica del Vangelo, che ci colloca nella verità delle cose, rimuovendo il pretesto che la debolezza umana, assieme alla complicità, crea l’humus propizio alla corruzione. Ci farà molto bene, alla luce della parola di Dio, imparare a discernere le diverse situazioni di corruzione, che ci circondano e ci minacciano con le loro seduzioni. Ci farà bene tornare a ripeterci l’un l’altro “Peccatore sì, corrotto no!”, e a dirlo con timore, perché non succeda che accettiamo lo stato di corruzione come fosse solo un peccato in più».

Un cuore corrotto – continua il Papa – «è talmente arroccato nella soddisfazione della sua autosufficienza da non permettere di farsi mettere in discussione».

Il corrotto «ha la “faccia da santarellino”, come diceva mia nonna. Si meriterebbe un dottorato honoris causa in cosmetica sociale». I corrotti «perseguitano imponendo un regime di terrore su tutti coloro che li contraddicono e si vendicano espellendoli dalla vita sociale. Temono la luce perché la loro anima ha acquisito le caratteristiche dei lombrichi: nelle tenebre e sotto terra».
 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017