La scuola in ospedale per i bambini di Tharaka
Nella regione più povera del Kenya, il Tharaka (zona semidesertica centrale), funziona, dal 2003, un piccolo ospedale, il St. Orsola catholic hospital della missione di Materi. È nato grazie alla collaborazione dell'«Associazione Emiliano De Marco» di Ferrara, dell'«Associazione volontariato insieme» di Montebelluna (TV), e di «Una mano tesa per Tharaka» di Caserta, cui si sono via via aggregate varie istituzioni pubbliche e private: tra esse, ultimamente, la Caritas antoniana. L'ospedale è un piccolo gioiello solidale della provincia italiana, ancora ricca di ideali e di sano pragmatismo. È il frutto della capacità di andare oltre se stessi, di mettersi in rete, di partecipare a un progetto comune. Lo guida un medico bolognese, il dottor Giorgio Giaccaglia, ha settanta posti letto e, dal settembre del 2005, un reparto pediatrico. È un innesto di solidarietà autentica in una zona in completo abbandono.
«L'iniziativa è nata nel 1999, per caso, una sera a cena - racconta Mauro Barioni, vicepresidente dell'Associazione De Marco -. C'era Giorgio e padre Livio Tessari della Consolata, morto un paio di anni fa. Livio ha detto: Ci sarebbe da fare un ospedale che non c'è. A Tharaka. Giorgio ha risposto: Va bene, si fa, con la stessa naturalezza con cui avrebbe comprato un etto di prosciutto». E la cosa si è fatta, sul serio. Il dottor Giaccaglia, fino a quel momento primario dei pronto soccorso di tutta la bassa ferrarese e in procinto di andare in pensione, ha fondato l'Associazione Emiliano De Marco, in ricordo di un suo giovane paziente che non era riuscito a salvare. Memoria, dolore e solidarietà : è stato l'inizio di tutto. L'inizio di un cambiamento, importante, nella vita di 150 mila persone, a qualche migliaio di chilometri di distanza.
«Nella zona non c'era servizio sanitario. La sanità è privata e costosa. L'ospedale più vicino dista 45 chilometri e non ci sono strade. Nessuna assistenza per le complicazioni da parto. Ho visto morire le mamme o i neonati o tutti e due.
«Ricordo che un giorno, con la jeep della missione, portavo una donna in procinto di partorire di corsa in ospedale. Ho centrato una buca e il bambino è nato mentre io prendevo istruzioni via telefonino. E dire che sono un geometra!», scherza Barioni.
Non manca l'ironia emiliana, neppure quando descrive l'amico, il Giorgio: «Di sicuro ha una specializzazione in medicina di emergenza, anestesia e chirurgia vascolare. Ma lì le specializzazioni sono a tutto tondo; l'ho visto fare l'ostetrico, l'ortopedico, il chirurgo plastico, specie quando le bimbe con zone in necrosi per colpa del morso di un serpente, gli chiedono con pudore di farle ritornare belle».
Oggi in ospedale si visitano circa 200 persone al giorno, due terzi sono bambini. Vi partoriscono 1000 donne all'anno, con la possibilità di accedere al cesareo. Un ospedale all'avanguardia per gli standard del posto. «Abbiamo due sale operatorie - elenca Barioni -, una sala parto, servizi di raggi X ed ecografia, stiamo aspettando la vasca per i bendaggi degli ustionati: tutto rigorosamente senza elettronica, per consentire una semplice manutenzione». L'ospedale è stato donato alla diocesi di Meru e si sta sempre di più «localizzando»: «La maggior parte degli infermieri, dei laboratoristi, degli impiegati sono del posto». Ma stanno arrivando anche i medici. C'è Mbadu, il nuovo anestesista; gli oculisti, che vengono ogni mese da Nairobi; Apofi, specializzanda in chirurgia, ruandese, scampata ai massacri del suo Paese. Il reparto pediatrico è nato dopo, per la presenza di tanti bambini con necessità di degenze lunghe e cure specifiche. Il primo paziente? Gnamu, 11 mesi, colpito da un fulmine caduto sulla capanna. «Lì non ci sono parafulmini e questi episodi sono frequentissimi. Gnamu aveva ustioni sul 98 per cento del corpo, sembrava un caso disperato. Oggi sta bene». Molti altri bambini sono vittime di serpenti velenosi: nella zona, il morso di rettile è la quarta causa di morte, dopo aids, malaria e tubercolosi. E poi le infezioni. Da qualche mese è peggiorata la piaga della malnutrizione, a causa della lunga siccità , con tutte le complicazioni in persone dal fisico fragile. Degenze lunghe, a volte lunghissime, addirittura intorno all'anno, che fanno perdere per sempre a bambini poverissimi l'unica possibilità di riscatto per il futuro: frequentare la scuola.
«Abbiamo chiesto - spiega Barioni - a Caritas antoniana di aiutarci a istituire una scuola all'interno dell'ospedale pediatrico per poter continuare l'educazione dei bambini». Cinquemila euro per comprare banchi, sedie, lavagne, cancelleria, materiale didattico. L'idea della scuola in ospedale è innovativa, ha preso piede da pochi anni nelle pediatrie italiane, è bello che sia già arrivata in Africa.
La vera solidarietà non si pone limiti, salta le tappe, è creativa. A loro il merito, a noi la gioia di aver aggiunto un piccolo tassello in questo mosaico di solidarietà .