La scuola tra le gher
La finestra dell’edificio che ospita il progetto Caritas Antoniana che stiamo per presentarvi domina un’immensa vallata stepposa che degrada dolcemente verso Orbit, uno dei quartieri più poveri di Ulaanbaatar, la capitale della Mongolia. All’orizzonte, un puzzle insolito di capanne bianche e rotondeggianti e di tetti azzurri, rosa e verde acceso, che spiccano sul terreno ocra, reso sterile dai venti e dai rigidi inverni, che da queste parti raggiungono i meno 40 gradi. Le casupole dal tetto «estroso» convivono con le gher – tradizionali abitazioni di feltro, bianche e rotonde – della popolazione nomade, in un impasto insolito di antico e moderno.
È proprio qui che continuano a insediarsi le famiglie nomadi, le quali, però, a causa del freddo eccessivo di questi ultimi anni, hanno perso il loro unico mezzo di sussistenza: i pochi capi di bestiame, in genere yak, cavalli, cammelli, mucche o pecore. Si tratta di gente semplice, figlia di antiche popolazioni dedite alla pastorizia, che in questa periferia combatte contro la fame, il freddo, la mancanza di risorse, lo straniamento. Una lotta impari. E, infatti, in questi luoghi spesso la speranza si trasforma in disperazione, alcolismo, prostituzione e malnutrizione. Eppure la Mongolia è, sulla carta, uno dei Paesi più ricchi di materie prime al mondo: il paradosso del sottosviluppo è arrivato fino a queste latitudini.
Proprio da Orbit, nel lontano maggio del 2010, arriva una richiesta a Caritas Antoniana. La firma suor Adriana Bricchi, salesiana, a nome della superiora suor Maria Domenica Pak. La loro missione è formata da quattro suore che vivono a Ulaanbaatar da tre anni; le ha chiamate il vescovo monsignor Wenceslao Padilla – unico membro della gerarchia ecclesiastica in Mongolia – perché si occupino dell’educazione dei bambini. Nel Paese la Chiesa è presente da soli vent’anni (compiuti nel 2012) e l’opera che il vescovo si appresta a istituire è una delle pochissime realtà cattoliche dell’intera Mongolia. Si tratta di una scuola, in costruzione dall’anno prima, che il prelato conta di inaugurare con l’inizio del nuovo anno scolastico, nel settembre del 2011. «Siamo davvero felici – scrive suor Adriana – di lavorare per una scuola cattolica in questo meraviglioso Paese. Qui c’è tanto bisogno. Tuttavia questi tre anni di preparazione sono stati molto duri. Abbiamo provato sulla nostra pelle la povertà che attanaglia il popolo di questa nazione, dominata per secoli dalla Cina e negli ultimi settant’anni dalla Russia». È difficile venire a patti con il clima inclemente, un passato di rigide dominazioni, un Paese costituito in gran parte da steppe, una lingua e una tradizione assai lontane dalle nostre: «Ciò che più mi dispiace è l’incuria che grava sui giovani, l’incapacità di capire che sono loro il futuro del Paese».
L’odissea dei lavori
Il vescovo si impegna a portare a termine i lavori a patto che le suore trovino le risorse per arredare le aule, dodici in tutto – due sezioni per i sei anni di scuola primaria –, gli uffici, l’infermeria. «Ci vogliono circa 200 mila euro, una cifra impossibile, perché anche noi viviamo in questa povertà. Così abbiamo deciso di dividere la somma in piccoli progetti e chiedere aiuto a più organizzazioni ecclesiali».
A Caritas Antoniana assegnano l’allestimento dell’infermeria: i mobili, gli schedari, un lettino, due letti da degenza, un separé, una scrivania, un computer, la biancheria, l’attrezzatura e le medicine di base. Diecimila euro in tutto. Caritas Antoniana accetta. Sembra un progetto facile e sicuro, si rivela, invece, un’odissea. Le temperature rigide fermano i lavori, al ritorno della bella stagione i muri già eretti sono danneggiati. La scuola non si può inaugurare per la data prestabilita. Nel frattempo, le suore s’informano sul materiale da comprare: in Mongolia è troppo caro e di scarsa qualità, meglio rivolgersi a fornitori in Corea o in Cina. Ma come organizzare il trasporto? Ciò che più spaventa, però, è il cambio euro/tughrik, che oscilla pericolosamente: la svalutazione erode le somme e non si possono concludere gli acquisti perché la scuola è ancora in alto mare. Riprendono i lavori, bisogna finire i muri esterni prima del grande freddo. L’impresa riesce, ma i fondi del vescovo finiscono; passerà un altro lungo inverno senza porte e finestre e con gli interni da completare. Tutti fermi ancora una volta. L’edificio viene concluso solo nel luglio 2012: finalmente a settembre si può partire.
Ma questa volta è la burocrazia a scompaginare i piani: non arrivano i permessi dal governo. La scuola potrà aprire solo a settembre 2013. E questa volta ci siamo. Tuttavia le suore già lo scorso inverno hanno iniziato ad accogliere i bambini della scuola materna e a far funzionare a pieno ritmo l’infermeria, finanziata dai lettori attraverso Caritas Antoniana: «Curiamo i bambini ma anche gli adulti di Orbit bisognosi – spiega suor Adriana –, questo è uno dei pochi presidi sanitari della zona». L’infermeria è un gioiello. Le suore l’hanno curata nei minimi particolari, ci sono persino i peluche per i piccoli pazienti e la biancheria colorata, perché il bene va fatto bene e i poveri si meritano il meglio.
«Era importante – conclude suor Adriana – anche mostrare alle autorità il lavoro umanitario che la Chiesa può fare per i più piccoli. Questo progetto ci è sembrato una via crucis, ma non saremmo mai arrivate alla sua realizzazione, se voi non aveste avuto la pazienza e l’amore di aspettare il tempo dei poveri».
Allestimento dell’infermeria, scuola cattolica di Orbit
- Materiali acquistati: mobili, schedari, lettino, 2 letti da degenza, separé, scrivania, computer, biancheria, attrezzatura e medicine di base
- Periodo: 2010-2012
- Costo: euro 10 mila