La scure dei tagli sugli italiani all'estero

L’Italia ha pesantemente ridotto i finanziamenti pubblici per gli italiani all’estero mettendo in crisi gli istituti di cultura, l’editoria e addirittura il welfare per i meno abbienti. Un colpo anche per l’informazione legata all’emigrazione femminile.
15 Marzo 2011 | di

Tra i tanti «vuoti» dell’informazione italiana, sempre più provincializzata e partigiana, c’è la sostanziale incapacità, nonostante alcuni lodevoli tentativi, di recepire le altre Italie, quelle delle comunità degli italiani residenti in tutti i continenti. La questione è bidirezionale. Da un lato, gli strumenti informativi per gli italiani all’estero subiscono i disagi e fronteggiano gli ostacoli tipici della piccola editoria, dall’altro, la stampa nazionale si ricorda degli italiani all’estero solo in occasione delle elezioni o – peggio – come componente di quella «informazione del dolore spettacolarizzato» che costituisce da almeno un ventennio una delle espressioni più deteriori del sistema mediatico italiano.
A questo si aggiunge un sempre minore interesse governativo per le comunità italiane nel mondo, come ha confermato, in febbraio, la riunione a Roma del comitato di presidenza del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (Cgie). Dai due giorni di lavori, al di là delle dichiarazioni d’intenti, come fatto concreto è emerso solo come a tutt’oggi vi siano poche possibilità di recuperare, in fase di assestamento di bilancio statale, le risorse decurtate dai capitoli di spesa degli italiani all’estero. La stessa audizione davanti all’apposita commissione della Camera dei deputati si è tradotta in una stantia contrapposizione tra gli interventi dei deputati di maggioranza e quelli di opposizione. Del resto, quasi nessun osservatore si attendeva niente di diverso e tra gli stessi rappresentanti degli italiani all’estero a credere in un’inversione di tendenza erano in pochi. La situazione, nell’anno del 150 anniversario dell’Unità d’Italia, resta quella denunciata lo scorso novembre con l’iniziativa senza precedenti  di una marcia di protesta tenuta, sempre a Roma, dai rappresentanti del Cgie, che è un ente pubblico, istituito con legge dello Stato e presieduto da un ministro della Repubblica, il titolare degli Esteri. Nell’attuale legislatura, le risorse per l’emigrazione sono passate da 60 milioni di euro a 29 milioni. In questo modo risulta compromessa la possibilità stessa di una politica a favore dei quattro milioni di italiani di cittadinanza e delle decine di milioni di oriundi.
Poche settimane prima della marcia dei rappresentanti del Cgie c’è stata la denuncia della «Dante Alighieri», l’istituto che promuove nel mondo la lingua e la cultura italiane, sui tagli subiti dal comparto culturale. In particolare i tagli infieriscono sulle spese per la diffusione della lingua e cultura italiana e compromettono alla base la possibilità di rafforzare i legami con i giovani italiani e di origine italiana che vogliono intensificare i rapporti con l’Italia e salvaguardare le loro radici e la loro identità storica e culturale. Al governo, tanto l’istituto culturale quanto il Cgie hanno ricordato che per i figli degli italiani nel mondo, magari serenamente inseriti nel Paese dove vivono, l’unica possibilità di mantenere un legame con la lingua e la storia dei propri genitori o dei propri nonni è rappresentata dalla scuola italiana, dagli istituti di cultura e, non secondariamente, dai mezzi di comunicazione in italiano a loro destinati. Tagliarne le risorse significa, di fatto, recidere le radici. E questo vale anche per il sostegno alla stampa specializzata.
Ma i consiglieri del Cgie sono andati oltre, sottolineando che i tagli che riguardano gli italiani all’estero non si limitano alla cultura, ma colpiscono anche il welfare, gli anziani che vivono in condizioni d’indigenza, ai quali viene di fatto negata l’assistenza medica, in quei Paesi dove la sanità è completamente a pagamento. L’obiezione che la crisi globale ha obbligato a tagliare tutto non regge. Se non altro perché si tratta del taglio più miope immaginabile in un contesto di globalizzazione. Recidere il cordone ombelicale tra l’Italia e i suoi cittadini all’estero, significa condannare il Paese a una progressiva emarginazione.
Emigrazione in rosa
Per quanto riguarda il settore dell’informazione, un aspetto fortemente trascurato è quello dello specifico femminile, in linea con una tendenza sempre più accentuata nella stampa italiana – e non solo nelle televisioni – a rappresentare la donna in modo assolutamente incongruo, che non fa tanto riferimento all’estetica quanto al voyeurismo, se non al meretricio nelle sue diverse accezioni. Eppure, proprio le potenzialità espressive e le capacità professionali che le rappresentanti delle donne italiane sparse nel mondo hanno acquisito in tanti anni di lavoro e sacrifici – quasi sempre anticipando le connazionali in patria – costituiscono una riprova del valore aggiunto portato in tante società dall’emigrazione italiana, della quale le donne sono state parte ampia ed essenziale. Né è lecito dimenticare come alle donne che hanno conseguito successo nei mestieri e nelle professioni, in politica, nel sociale o nelle scienze, vadano affiancate quelle che hanno accudito le loro famiglie con un coraggio incredibile. Si deve infatti soprattutto alle donne in emigrazione, la tenuta lungo le generazioni di valori fondanti della famiglia e della società.
A metà dello scorso decennio, nel messaggio al convegno «Italia donna»,  organizzato a Roma dal Ministero per gli italiani all’estero, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sottolineava che «con sacrificio e impegno, le donne  hanno sostenuto le proprie famiglie durante gli anni difficili dell’emigrazione, affrontando con coraggio i disagi e le difficoltà,  contribuendo a esaltare l’immagine della patria lontana». Ciampi evidenziava che «le donne sono un punto di forza delle comunità italiane all’estero: trasmettono e mantengono saldi e vitali, nel lavoro e nella famiglia, solidi legami con le  proprie origini e le proprie radici culturali e linguistiche; hanno saputo conseguire prestigiosi risultati in tutti i  settori di attività, promuovendo l’integrazione con la società e la cultura dei Paesi d’accoglienza».
A un lustro di distanza, bisogna purtroppo registrare un arretramento, se non nelle comunità italiane all’estero, certamente nella capacità di recepirne in patria i messaggi e le urgenze. Anche perché l’evoluzione culturale e sociale degli ultimi decenni, ha determinato un cambiamento della natura dell’emigrazione femminile. Mentre in patria si moltiplicano i segnali di una regressione – basti pensare a quanto le cronache recenti hanno mostrato riguardo ai modi e ai «meriti» della selezione del personale politico femminile – le giovani generazioni di donne che si recano all’estero, sempre più spesso per motivi legati a una condizione culturale elevata, lo fanno con maggiore consapevolezza dei propri diritti. Al contrario, le donne emigrate in anni più lontani, hanno incontrato maggiori difficoltà a entrare nel mercato del lavoro locale, rimanendo spesso ai livelli più bassi, oppure addirittura senza occupazione.
Ciò nonostante, ad analizzare in dettaglio i dati relativi ai flussi migratori, emerge che ai giorni nostri, l’emigrazione maschile è di tipo tecnologico al seguito di un’impresa e si esaurisce compatibilmente con le esigenze di quest’ultima. Per quanto concerne, invece, la componente femminile, la ragione fondante del trasferimento resta solitamente il ricongiungimento familiare. Questo implica spesso l’abbandono di un’occupazione in Italia, con scarse possibilità di un altro impiego all’estero e con la conseguente permanenza della donna residente lontano dalla patria in una condizione professionale medio-bassa. Di conseguenza, anche nelle opportunità socio-professionali, si registra ancora una collocazione nettamente migliore degli uomini rispetto alle donne. Ai fattori di eccellenza si contrappone ancora uno spaccato sociologico che mette le donne in posizione di subordinazione e di dipendenza.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017