La sfida di Paola

Milanese, ma di origine napoletana, Paola Cogliandro è console a Londra dal 2006.
16 Aprile 2007 | di

Negli ultimi cinque anni, tre giovani diplomatiche hanno preso servizio a Londra e a Manchester cambiando la tradizionale presenza maschile nel corpo diplomatico presente in quest’isola. Il dato è emblematico di un lento ma progressivo cambiamento nell’ambito di una delle carriere più complesse e selettive che, fino a pochi decenni fa, erano interamente riservate agli uomini. L’Inghilterra, con la sua grande comunità italiana, poco composita, stratificata e sparsa in modo irregolare sul territorio, rappresenta una palestra formativa per le giovani funzionarie. Un’esperienza che esse accolgono con entusiasmo e grande voglia di inserirsi sia tra le generazioni di antica emigrazione sia tra quelle più giovani, in particolare nel mondo del lavoro. Sono donne determinate, preparate e dedite al lavoro tanto quanto i loro colleghi maschi, anche se nessuna di loro rinuncia alle caratteristiche tipiche della propria femminilità.
Il denominatore comune di queste donne sembra essere la disponibilità a collaborare con ogni segmento della comunità. A confermarlo sono la figura e la storia di Paola Cogliandro, console a Londra dal settembre del 2006. Milanese, ma di origine napoletana, poco più che trentenne e con un curriculum già di notevole rispetto all’interno del Ministero degli Affari Esteri (MAE), ha dimostrato di sapersi muovere con grande agio in uno dei Consolati più importanti del mondo.
Syed. Quanto contano, attualmente, le donne all’interno del corpo diplomatico?
Cogliandro. Su un totale di 983 funzionari solo 140, pari al 14,24 %, sono donne. È un dato poco incoraggiante, ma bisogna inserirlo in un contesto più ampio. Le donne sono state ammesse alla carriera diplomatica alla metà degli anni Sessanta, con grande ritardo rispetto ad altri Paesi come Stati Uniti e Francia. Negli ultimi anni, però, l’aumento è stato costante. Secondo alcuni dati del Ministero degli Affari Esteri, risalenti al dicembre scorso, su un totale di 134 ambasciate, rappresentanze permanenti e delegazioni diplomatiche speciali, le donne capo missione sono cinque, di cui due nominate ambasciatrici di grado, due anni fa, dall’ex ministro degli Esteri, Gianfranco Fini.
Insieme a Giovanna Piccarreta, che l’ha preceduta, e alla collega di Manchester, Chiara Petracca, lei appartiene alla fascia delle categorie dirigenziali. È stato un iter difficile?
Il nostro è un livello che presuppone un difficile iter curriculare: laurea in materie giuridiche, superamento del concorso pubblico, sempre molto selettivo, esperienza quadriennale al Ministero degli Affari esteri e successive missioni internazionali. Si tratta di una carriera che comporta grandi sacrifici, comunque non più di quelli dei colleghi uomini. Ogni quattro anni ci viene richiesto di spostarci, e non è facile dover ricominciare daccapo in una nuova casa, con nuovi colleghi, con una nuova lingua, in un altro Paese, ma sono sacrifici che si accettano scegliendo questa professione.
La passione che vi accomuna come giovani diplomatiche, è la conoscenza di nuove realtà, l’impegno a rappresentare l’Italia e a porsi quale punto di riferimento per i nostri connazionali nel mondo.
La comunità italiana in Inghilterra e nel Galles è numerosa. Gli iscritti all’Aire (l’Anagrafe degli italiani all’estero) sono circa centodiecimila e, secondo stime prudenziali, gli italiani non iscritti sono altrettanti. È a loro che si rivolge l’impegno del Consolato, non solo nel disbrigo della burocrazia, ma anche nella prestazione di un sostegno ai più bisognosi, tramite il parziale sovvenzionamento di alcune associazioni e l’aiuto diretto da parte dei servizi sociali.
La realtà di un Consolato comprende ogni aspetto tipico dell’emigrazione. Esistono delle «nuove emergenze» che si è trovata ad affrontare?
Se, da una parte, ho potuto constatare il successo dell’emigrazione più antica, nel campo della ristorazione, dell’importazione di prodotti italiani, dell’edilizia, e di quella più recente nella ricerca, all’interno dell’Università e nella Sanità, dall’altra sono venuta a contatto con nuove difficoltà e problematiche che riguardano i nostri connazionali. È il caso, solo per fare alcuni esempi, dei numerosi tossicodipendenti che, spesso, finiscono nelle maglie della giustizia a causa di crimini di vario livello perpetrati per alimentare la dipendenza da stupefacenti e dei quali, comunque, la polizia ci tiene informati. Altre volte ci occupiamo di persone scomparse. In ogni caso mi ritengo fortunata perché posso affrontare ogni tipo di problema grazie anche all’aiuto della trentennale esperienza del console generale d’Italia, David Morante. Il Consolato di Londra, infatti, per poter far fronte all’ingente mole di lavoro quotidiano, dispone di due consoli, di cui uno «senior».
Nel suo lavoro, l’essere donna rappresenta un vantaggio nel percorso verso una parità anche all’interno della carriera diplomatica?
Questo mestiere è sempre vario e stimolante, e mi porta a conoscere nuove realtà e a confrontarmi con esse. Non so se l’essere donna possa favorire la creazione di relazioni interpersonali e aiutare ad affrontare situazioni umanamente spesso difficili. Non credo, al momento, che le donne abbiano delle caratteristiche peculiari nello svolgimento del proprio lavoro e nemmeno che si possa parlare di sensibilità diverse tra uomini e donne. Quando arriveremo a una parità numerica, allora potremo fare una valutazione più approfondita in tal senso.
Da un’analisi delle tabelle ufficiali del Ministero degli Affari esteri risulta che la parità è quasi un miraggio. Come si potrebbe porre rimedio a questa situazione?
Le donne, in alcuni casi, sono perfino in maggioranza rispetto ai colleghi, ma solo quando si tratta di incarichi a livello amministrativo e non dirigenziale. A farsi carico di questa realtà c’è l’associazione delle Donne Italiane Diplomatiche (DID) istituita nel 2001, con sede a Roma, che vuole, come da statuto, valorizzare il ruolo delle donne diplomatiche e perseguirne il giusto riconoscimento, agevolare e stimolare la crescita professionale e la formazione permanente tra le sue associate, incoraggiare scambi di conoscenze ed esperienze professionali, intraprendere iniziative volte a promuovere incontri con colleghe di altri Paesi per un confronto tra rispettive esperienze professionali. La DID non vuole porre il problema sul piano della battaglia dei diritti, bensì intende avviare un dialogo con le rappresentanti del mondo femminile che, da sempre, hanno dato un importante contributo alla politica estera dell’Italia.
Le donne hanno raggiunto la parità in ogni attività professionale. La sfida, anche quella personale del console, e della donna, Paola Cogliandro è quella di recuperare il tempo perso e di avviare un confronto, proprio tra le stesse diplomatiche, per continuare a crescere realizzando al massimo le proprie potenzialità. «È una sfida che richiederà del tempo – conclude il console – ma che, non per questo, ci fa desistere da un ideale in cui crediamo con tutte noi stesse».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017