La sfida educativa
Recuperiamo il filo del discorso. L’anno scolastico 2006-2007 non è certo entrato nelle cronache per particolari meriti di rendimento da parte degli studenti o per l’accrescersi di soddisfazione da parte dei docenti. Tutta un’altra trama, almeno in superficie: bullismo, videobullismo e spacconate da far accapponare la pelle; guerra al telefonino galeotto; genitori sul piede di guerra per difendere figli anche indifendibili; folli aggressioni a pacifici insegnanti; docenti snobbati, vittimizzati e giustamente demotivati. E l’educazione, direte voi? Che ne è, oggi, di quello che un tempo era lo scopo dello stare per nove mesi ogni giorno insieme, in classe, docenti e studenti, coinvolti nell’avventura della conoscenza, con qualche colpo d’ala che faceva intravedere e gustare anche l’orizzonte della sapienza? Sembra che le cose non funzionino più nello stesso modo, che da parte degli studenti e dei docenti ci sia stanchezza e rassegnazione, e che l’abitudine a un’emergenza nutrita da episodi grossolani, da pesanti cadute di tono, renda faticoso ricomporre un clima formativo convinto, sia nella domanda come nell’offerta.
Eppure, lasciare che la scuola vada alla deriva è come rinunciare a seminare per il futuro, arrendersi di fronte al blocco comunicativo che sembra volersi interporre tra le generazioni, accontentarsi di una cultura determinata più dall’accumulo quantitativo di carattere tecnologico che dalla capacità di orientarsi nel cumulo insopportabile delle informazioni e delle opzioni.
In un discorso pronunciato l’11 giugno nel contesto del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma dedicato al delicatissimo tema «Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza», Benedetto XVI si dimostra buon conoscitore della sfida educativa che attraversa tutto il mondo occidentale, europeo in particolare: «Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi». Subito dopo, il Papa individua alcuni presupposti della crisi: la cultura del relativismo, il fatto che si dubita di tutto, giungendo anche a dubitare della bontà della vita, la fragilità dei rapporti e la messa in discussione della validità degli impegni assunti. Su un terreno così friabile è ben difficile costruire.
La questione educativa, nel suo versante di sfida e nel suo imporsi come emergenza, non è quindi da limitare al perimetro scolastico, che pure ne rappresenta un segmento altamente significativo. Si tratta, in modo più ampio, di ripensare gli stessi fondamenti della convivenza civile, di riformulare in modo credibile i codici di comportamento, di rientrare ognuno con serietà e convinzione nel proprio ruolo – di genitore, di insegnante, di studente – senza farsi sconti. Naturalmente la riconfigurazione dei ruoli non è mera operazione burocratica. Le scelte vanno compiute necessariamente con coerenza e puntando alla misura alta, alla quale tutti devono tendere.
E il contributo della Chiesa? Senza entrare nell’infuocato dibattito sulla «scuola cattolica», mi metto al seguito di Benedetto XVI nel discorso sopra citato: l’impegno della Chiesa per educare alla fede, nelle molte forme educative che a questo scopo essa mette in atto, è un contributo offerto alla società tutta che sta fronteggiando una drammatica crisi educativa. Mettere argini alla sfiducia sul fatto stesso che sia possibile educare è dare man forte alla società, incoraggiandola con fermezza ad alimentare autentici processi educativi.