La terra ci unisce

Vicesindaco di Chicago Height, docente universitario, direttore esecutivo dell'AHIA, Candeloro è ambasciatore dell'identità italiana nel Nord Ovest degli Stati Uniti.
03 Marzo 2002 | di

Chicago

«Mia madre voleva che diventassi un medico ma io non ce l";ho fatta ad andare in una direzione che non sentivo mia. Così, alla fine, ho scelto di diventare uno studioso di cultura italiana». Sono sintetiche le parole che Dominic Candeloro sceglie per descrivere la sua parabola professionale e umana. E ci riesce benissimo. Perché in campo umanistico questo figlio dell";emigrazione italiana ha raccolto il massimo delle soddisfazioni e perché attraverso la sua passione è riuscito, e ancora riesce, a trasmettere quelle emozioni tutte particolari che solo gli uomini di grande cultura sanno dare, e che li lega in fondo agli elementi essenziali della vita.

Per Dominic Candeloro, il filo conduttore della vita è stato la terra: terra intesa fisicamente, terra intesa culturalmente. La storia dei Candeloro pesca infatti lontano e parte dagli inizi del XX secolo. Il padre Ludovico, nato nel 1898 a Pianibbe Rapitella "; piccola frazione di Casoli, in provincia di Chieti "; si imbarcò nel 1922 alla volta di Cuba e dopo sei mesi riprese la nave per emigrare clandestinamente a New Orleans. Da lì riuscì a raggiungere in treno la metropoli di Chicago per lavorare come operaio, con i propri compaesani, nel quartiere di Taylor Street.

«Mio padre "; rammenta Dominic "; conobbe mia madre Iolanda Giannetti a Chicago Height, il sobborgo industriale di Chicago (a circa 45 chilometri dalla metropoli). Lei era emigrata nel 1914, insieme a una zia, partendo da Amaseno (Frosinone), a soli 5 anni. Sposò mio padre nel 1931, in piena depressione economica».

Il durissimo periodo economico non fermò i sogni dei Candeloro, allietati dalla nascita di tre figli. Dominic nacque nel 1940, quando il peggio, per l";economia, stava passando, e la guerra stava per entrare nelle case di tutti gli americani, investendo la nazione con infiniti lutti ma con altrettante richieste di manodopera. Ludovico Candeloro trovò facilmente lavoro, come operaio, nella metropolitana di Chicago, e con i guadagni riuscì a tirare fuori la propria famiglia dalle sabbie mobili della povertà , regalando ai figli le giuste opportunità  negli studi. Dominic crebbe in una famiglia italiana sottoposta al terribile dilemma della scelta d";identità . Le sorelle parlavano l";inglese mentre i genitori, in casa, continuavano a parlare l";italiano. Papà  Candeloro si prodigò con tutte le sue forze per insegnare anche il canto italiano al suo piccolo di casa, pur dovendo accettare una realtà  esterna fatta di intima umiliazione, per l";appartenenza ad una nazione in guerra contro gli Stati Uniti.

«Gli anni della guerra furono terribili per noi italiani ed è proprio in questo periodo che si ebbero delle rotture drastiche con i legami culturali originari. Molti italiani cambiarono nome, adattandolo all";inglese, per poter ottenere un lavoro ed essere accettati dagli altri americani. Ma la stessa idea di essere figli di una nazione in guerra con il Paese che ti ospita, ci rendeva la vita difficile, opprimendoci con sensi di colpa che in realtà  poco avevano a che fare con noi. Non sentivamo più l";orgoglio delle nostre origini e quando la guerra finì, subentrò anche la frustrazione di essere figli di un Paese distrutto, umiliato e povero. Nonostante tutto questo, i miei genitori si rimboccarono le maniche e parteciparono alla gara di solidarietà  che vide in quegli anni tanti italoamericani spedire scatole stracolme di generi alimentari e vestiti ai parenti sopravvissuti alla distruzione del conflitto. Mio padre, con i primi risparmi, prese possesso di un terreno abbandonato, ai margini di Chicago, e vi piantò centinaia di piante, producendo in proprio il vino, il prosciutto e le salsicce; mia madre continuò per anni a realizzare sapone per il bucato, e con il materiale di scarto di una fabbrica di vetro, realizzava dei quadrati all";uncinetto, che andavano a formare delle calde coperte artigianali o delle comode presine da cucina» Dominic non deluse i sogni dei genitori, frequentando tutte le scuole con ottimi profitti, ma abbandonò per anni i suoi ricordi infantili e culturali dedicandosi alle varie specializzazioni professionali.

«Noi adolescenti ci sentivamo figli di una nazione rampante. In casa comprendevamo gli sforzi dei nostri genitori ma vivevamo in mondi completamente diversi. Io mi vergognavo a morte quando mio padre in pubblico mi rivolgeva la parola in italiano, e mi rifiutai per anni di aiutarlo nei lavori nell";orto. Quando a scuola studiavo il latino, non riuscivo a fare un collegamento logico tra quello che imparavo dagli antichi romani con quello che ricordavo dei parenti italiani contemporanei. C";era qualcosa che non quadrava in questa eredità  storica. Ed è per questo che al college scelsi di studiare il francese anziché l";italiano, una decisione che ho rimpianto per tutta la vita». E che per il resto della vita avrebbe utilizzato come incentivo per tuffarsi nello studio della cultura italiana. Divenuto infatti professore di Storia, riscoprì il fascino italiano nei film come La Dolce Vita, e decise di visitare la terra d";origine nel 1977 insieme alla moglie Carol. Ritornò entusiasta nel 1978, questa volta in qualità  di insegnante. Docente presso la Texas Teach University, era diventato presidente dell";Associazione Storica Italoamericana (l";AHIA), e accettò di insegnare all";Università  dell";Illinois nel corso dell";Italian American Executives of Transportations, un club locale che intendeva ridare vigore agli studi italoamericani. Fu l";inizio di un";avventura professionale che avrebbe trasformato il figlio di Casoli nel paladino della cultura italiana. Candeloro inserì infatti nei suoi corsi la riscoperta di romanzi di Jerre Mangione, Pietro Di Donato e John Fante e realizzò a Chicago corsi, conferenze, e un archivio storico dedicato ai grandi nomi della cultura italiana.

Chiamato a lavorare come amministratore della State University, il professore italoamericano divenne presidente e promotore infaticabile del Centro Culturale Italiano. I suoi viaggi in Italia divennero frequenti così come le conferenze cui partecipò in qualità  di docente umanista. A Perugia coordinò nel 1991 una conferenza tematica, mentre nel 1997 fu artefice del gemellaggio tra San Benedetto del Tronto e Chicago Heights.

«Sento forte in me il dovere di dare voce alla nostra cultura popolare. Il legame con la terra d";origine, che non ho apprezzato da giovane, rappresenta oggi per me un caposaldo della nostra tradizione e mi batterò affinché non sparisca del tutto nel grande mare del melting pot. Le nostre famiglie hanno perso la gioia di riunirsi e di scambiarsi le loro tradizioni. Le storie orali non si tramandano più nelle seconde e terze generazioni. Tuttavia oggi tra i giovani c";è un nuovo interesse per una lingua e una cultura che rappresentano un grandissimo patrimonio del mondo».
Per le nuove generazioni, Dominic studia progetti specifici di viaggi-studio e corsi d";insegnamento. Altrettanto forte è l";impegno in favore degli studiosi e degli scrittori italoamericani, spesso abbandonati a loro stessi e poco aiutati dalle istituzioni accademiche.

Ethnic Chicago (1981), Suburban Italians, Making History (1990), Italians in Chicago (1999), Images of America (2000) rappresentano soltanto la punta di una produzione letteraria intensissima che ha visto la sua firma anche su prestigiose riviste italiane e americane (Altreitalie, Illinois History Teacher, The Journal of the National Archives, American Journal of Economics and Sociology, The Italian American Encyclopedia): è il corollario perfetto di un impegno che vede il suo nome tra gli organizzatori di appuntamenti importanti della cultura italiana a Chicago, e membro insostituibile di associazioni quali l";AHIA (American Italian Historical Association), la Chicago Historical Society, la Illinois State Historical Society. Altrettanto importante anche il contributo per il Dipartimento di Antropologia Culturale dell";Università  di Roma, per la Fondazione Agnelli di Torino e per la NIAF.

«Una delle più grandi soddisfazioni le ho raccolte in casa "; conclude orgoglioso Candeloro ";. Mia figlia Gina, infatti, ha seguito degli studi all";Università  di Perugia, e ambedue le mie figlie sono interessate alla tradizione gastronomica italiana. In casa non abbiamo mai abbandonato certe usanze, ed è decisamente commovente vedere le ragazze preparare i dolci tipici della tradizione italiana».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017