La Toscana ad Assisi. Con Francesco, l’uomo del millennio
Quel pomeriggio del 15 ottobre di sessant'anni fa, ad Assisi c'era il clima delle grandi occasioni. Era domenica, l'ultimo di una quindicina di giorni di solenni festeggiamenti che avevano richiamato nella città del Poverello un gran numero di fedeli ma anche gerarchi in orbace d'ordinanza, cardinali con le loro sgargianti porpore, arcivescovi e vescovi e frati delle diverse famiglie francescane. Le celebrazioni salutavano un avvenimento di per sé storico: qualche mese prima, il 18 giugno, accogliendo l'invito pressante dei francescani fatto proprio dai vescovi italiani, papa Pio XII con il breve Licet commissa aveva proclamato Francesco d'Assisi e Caterina da Siena patroni d'Italia.
La decisione del Papa aveva dato un'accelerata decisiva a un progetto che languiva da tempo e che prevedeva la realizzazione di una lampada votiva che i comuni d'Italia avrebbero dovuto donare, olio compreso, perché ardesse ininterrottamente davanti alla tomba di san Francesco. Il pomeriggio del 15 ottobre l'evento tanto atteso si compiva, e a solennizzarlo come conveniva, c'erano il cardinale Maurilio Fossati, il podestà di Assisi Arnaldo Fortini, il vicegovernatore di Roma Carlo Manno, l'ordinario militare monsignor Angelo Bortolomasi e, naturalmente, i rappresentanti di alcune delle principali città d'Italia: Roma, Firenze, Venezia, Napoli, Siena, Parma, Mantova, Rieti, Perugia, Terni, Foligno...
Il progetto della lampada era vecchio di una quindicina d'anni. L'aveva ideato mentre si stavano preparando le celebrazioni per il VII centenario della morte di san Francesco, il poeta Giulio Salvadori, terziario francescano; la Fides romana l'aveva adottato e il 4 ottobre 1924 lanciava un appello agli italiani e alle cento città e ai mille comuni della patria, perché esprimessero la loro unità spirituale mediante il simbolo di una lampada votiva da accendere presso la tomba del Poverello di Assisi, «il più santo fra gli italiani, il più italiano fra i santi», sull'esempio di quella che ardeva sulla tomba di Dante a Ravenna. Sottolineava l'appello: «Il poeta e il santo - per le vie divine della fede e dell'arte - rischiarino il cammino supremo alle anime desiderose e la conquista delle supreme vette dell'infinito, là dove un'iride tricolore splende nella gloria dei cieli e il paradiso di Dio prende nome da Roma!».
Retorica a parte, l'idea piacque e nel 1931 l'architetto Ugo Tarchi, che stava restaurando la cripta dove c'è la tomba del Santo (toglieva gli orpelli neoclassici per conferirle l'austerità della pietra viva che oggi ammiriamo), presentava all'approvazione delle competenti autorità il disegno di una lampada votiva, che aveva ideato di suo ma che poteva benissimo servire allo scopo. Queste le fattezze e le dimensioni fissate in una precisazione successiva: un metro e 20 l'altezza; tutta in bronzo lucido e argento; la tazza a forma semisferica (a simboleggiare il mondo) sul cui orlo dovevano spiccano le parole di Dante: «Altro non è che di suo lume un raggio»; al di sotto della coppa, la frase: «I comuni d'Italia al Santo»; sopra la tazza, tre colombe d'argento che sostengono con il becco una corona di olivo, «sovrano e universale simbolo di pace».
Il disegno fu accolto con entusiasmo. E nel settembre del 1937 il generale dei francescani conventuali, custodi della celebre basilica, l'americano padre Beda Hess, invitava il podestà di Assisi a interporre il suo interessamento «per ottenere la partecipazione necessaria dei comuni d'Italia al dono della lampada da tenere continuamente accesa con olio offerto per turno ogni anno da ciascuno di essi», anche perché il restauro della cripta era stato ultimato.
Ma il progetto non faceva comunque progressi. Infine, a recidere ogni indugio, la decisione del Papa che mise le ali alle commissioni pontificie e italiane, le quali in tempi rapidissimi davano il loro placet definitivo al disegno del Tarchi e a tutta l'operazione. Così il 13 luglio la ditta Fratelli Biondi di Firenze riceveva l'incarico di realizzare la lampada. Il tempo non era molto, ma il titolare dell'impresa Amedeo Biondi si assumeva l'incarico di realizzare il lavoro entro 70 giorni dal regolare ricevimento dell'ordinazione; cioè il 1 ottobre la lampada sarebbe arrivata ad Assisi.
L'impresa fu di parola e il 15 ottobre il cardinale Fossati poteva benedire la lampada che pendeva dall'arcone di inizio navata e, dopo la preghiera dedicatoria recitata dal vicegovernatore Manno, invocare la benedizione del Santo su tutta la nazione italiana perché «cammini sulle tue orme, prosperi sotto la tua protezione, sia sempre degna dell'alta missione che Dio le ha affidato nel mondo, propugnando e difendendo l'amore, la pace e la giustizia». La pace soprattutto, perché la Germania, occupando il primo settembre la Polonia, aveva innescato un meccanismo micidiale che sfocerà poi nella seconda guerra mondiale.
Iniziava così la bella tradizione, giunta al sessantesimo anno di vita; in seguito a portare l'olio vennero deputate le singole regioni, a rappresentare oltre ai propri paesi e alle proprie città , l'Italia tutta. E quest'anno, secondo un calendario prefissato da tempo, a offrire l'olio tocca alla Toscana e alla cerimonia conclusiva è prevista anche la partecipazione, accanto al presidente del consiglio D'Alema, del presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, toscano pure lui, di Livorno. Nel frattempo autorità religiose, civili e popolo si sono attrezzate per rendere quel giorno memorabile, e non solo per la cronaca, sull'onda di alcune fortunate coincidenze che vale la pena di sottolineare. È fiorentina la bottega artigiana dei Fratelli Biondi dalla quale è uscita la preziosa lampada; la Toscana, vuoi anche per la sua vicinanza all'Umbria, è tutta innervata di esperienze e tradizioni francescane. Ancora: si tratta dell'ultima offerta d'olio del millennio, dominato dalla figura di Francesco e l'olio arderà per tutto il periodo del giubileo.
Coincidenze abilmente sfruttate dall'episcopato toscano per tramutare un evento, che avrebbe potuto scivolare nelle secche del folclore, in un'opportunità pastorale e spirituale. Lo hanno fatto in un messaggio ai fedeli, significativamente intervallato dall'invocazione: «Il Signore vi dia pace»: sia perché si tratta di un saluto tipicamente francescano, sia perché steso in un momento in cui, ancora una volta, la minaccia della guerra (quella del Kosovo) pesava come un macigno nell'animo di tutti, smentendo, se mai c'era bisogno, il detto che vuole la storia sia maestra di vita. Se lo è, sono allora gli uomini a essere dei pessimi discepoli. Per i diciotto vescovi toscani la cerimonia dell'offerta dell'olio, il 3-4 ottobre, deve diventare «il momento culminante di una serie di iniziative che caratterizzeranno questo anno con un riferimento particolare a san Francesco... La persona, le parole e la testimonianza di Francesco d'Assisi saranno un aiuto per vivere intensamente questo tempo di grazia e di misericordia [il giubileo]. Nella esperienza personale della paternità di Dio egli trovò libertà e coraggio, novità e pienezza». Un avvenimento, che potrebbe perdersi nel vuoto dell'esteriorità , da vivere invece come opportunità per riscoprire i valori del francescanesimo, che sono Vangelo puro, e sintonizzare la propria vita su di essi. Lo sottolineano anche gli incaricati dell'organizzazione (frati e clero secolare), che abbiamo incontrato nello splendido convento francescano di Fiesole radunati per approntare i sussidi e definire i dettagli per le giornate conclusive dell'offerta dell'olio. «Ad Assisi - hanno detto - ci saranno circa duemila persone, ma altre migliaia hanno già raggiunto la città del Poverello nel corso dell'anno (1300 dalla sola città di Fiesole) per pregare, riflettere e dare sostanza all'avvenimento e una sterzata francescana alla propria vita. Mentre gruppi e associazioni hanno orientato quest'anno la loro attività , coadiuvati da mostre e concerti, a riscoprire le radici francescane della loro terra».
Compito invero non difficile perché il francescanesimo lì è profondamente radicato, e innumerevoli sono i segni di arte, cultura e santità che lo ricordano. Chiese anzitutto. «Ce ne sono tre nel solo senese - ricorda l'arcivescovo di Siena monsignor Gaetano Bonicelli che ad Assisi porterà la memoria di Caterina, compatrona d'Italia - e tutte assurte al rango di basilica per il prestigio di arte e tradizione che le connota». Ma ce ne sono molte altre, spesso attigue a conventi dove vissero beati e santi che hanno segnato profondamente la vita della Chiesa: ricordiamo tra tutti Bernardino da Siena, eccelso predicatore di missioni popolari. A Firenze c'è Santa Croce, bellissima nella sua francescana severità ; ad Arezzo la chiesa di San Francesco con il mitico ciclo pittorico di Piero della Francesca, di recente portato agli antichi splendori; sulle colline che digradano verso l'Umbria, c'è il convento della Verna, dove Francesco ebbe il dono delle stimmate e dove, nei giorni che ricordano il miracoloso evento (16-17 settembre), si terrà un'intensa manifestazione di preghiera, di studio e spiritualità francescana. E altre ancora, molte delle quali legate alla presenza fisica di Francesco, che visitò una quindicina di città toscane. Ne ricordiamo alcune. A Siena - come ricorda monsignor Bonicelli - egli ha dimorato per mesi, negli ultimi tempi (1226) per curarsi invano gli occhi; dalla città del Palio s'era poi trasferito nell'eremo di Celle di Cortona, dove redasse il suo Testamento spirituale. Prima di allora (1224) aveva soggiornato alla Verna e da lì, nel raggiungere la Porziuncola, era passato per Borgo San Sepolcro, Monte Casale e Città di Castello. A Firenze c'era stato nel 1217, dopo il capitolo alla Porziuncola, diretto in Francia come missionario, ma il cardinale Ugolino lo convinse a rimanere in Italia...
Una presenza benefica e fruttuosa, che non ha solo originato chiese e vivificato l'arte, ma ha innestato nella vita cristiana, intiepidita da mille affanni e distrazioni, una profonda e calda spiritualità , frutto di un modo nuovo di vivere il cristianesimo e di stare tra la gente. «Una spiritualità - dice monsignor Bonicelli - intessuta di semplicità , di autenticità , di vicinanza alla gente, alla concretezza dei loro problemi, fratelli di tutti nella povertà e nel vivere l'essenziale del Vangelo. Francesco con la sua vita ha reso più presente il Signore tra la gente del suo tempo. Come Caterina da Siena che girava per i castelli per mettere pace, che visitava malati e prostitute, e alle evidente mancanze della gente di Chiesa rispondeva vivendo in modo autentico il Vangelo, rendendo così presente Cristo tra la gente. Che è una cosa di cui anche oggi la gente ha estremo bisogno».
Ma francescani sono anche gli inviti alla penitenza, alla pace, alla conversione del cuore e alla fraternità solidale. I vescovi toscani lo ricordano nel loro messaggio: «Fra Tommaso da Celano nel suo commosso entusiasmo di figlio e di biografo di san Francesco, dice che per mezzo di lui il mondo ritrovò una nuova giovinezza e un'insperata esultanza. Non è questo il contenuto e la speranza del giubileo dell'incarnazione che ci prepariamo a celebrare? Una novità della storia che ridia a tutti il giubilo della pace e del bene, una conversione del cuore che ci faccia accogliere pienamente il Figlio di Dio che si è fatto uno di noi».
Dunque, Francesco d'Assisi, il santo giusto per questo passaggio da un millennio all'altro. Francesco, che in una ricerca del settimanale (laico) americano «Life», è stato eletto dai lettori come uomo più significativo del millennio, superando personaggi del calibro di Cristoforo Colombo, scopritore delle Americhe, di Leonardo, di Jan Flemming, scopritore della Penicillina, di Albert Einstein e così via... si propone - come sostengono convinti i francescani riuniti a Fiesole - anche come l'uomo del nuovo millennio per la sua povertà e la sua umiltà . Lo slogan che campeggia sui manifesti sintetizzando l'esperienza di Francesco recita: «Trascinando tutti al suo amore e non recando offesa a nessuno», che è poi la quintessenza del Vangelo: ama Dio con tutto il cuore e il prossimo come te stesso. Specificano i vescovi: «...che ognuno, liberato da quanto lo appesantisce nella sua dignità di figlio di Dio, possa finalmente esclamare con Francesco: ora posso dire con libertà 'Padre nostro, che sei nei cieli' (s'era spogliato di tutto e l'aveva restituito al padre Pietro di Bernardone). Che ognuno, riconciliato col Padre, sappia farsi prossimo ai fratelli, specialmente agli ultimi, nell'accoglienza, nell'attenzione, nel servizio umile e fattivo».
Dice monsignor Bonicelli: «Credo siano questi i grandi valori che Francesco interpretava con la sua vita: accoglieva tutti, anche i lontani, i diversi, e tutti riteneva degni di stima e di attenzione. Questi valori hanno rappresentato anche la prevalenza della tradizione autentica del popolo italiano e non può non continuare ad essere ancorata ad essi, pur in una realtà frammentata. Momenti come questi devono essere preziosi per ritrovare il filone originario e profondo della nostra tradizione religiosa.».
Come segno concreto dell'amore per il prossimo, l'olio raccolto che sopravanza e quanto la bontà toscana saprà dare verrà destinato alle iniziative di solidarietà già avviate dalle comunità e dalle associazioni di Assisi. Un gesto semplice ma significativo a ricordo di un evento che sarà eccezionale per chi lo saprà trasformare in un'occasione per «scoprire e vivere la loro dignità di figlio di Dio». |