Laboratorio di futuro
La scuola è come una squadra di calcio. Tutti pensano di poterla allenare, di avere le competenze per proporre schemi, strategie, soluzioni. C’è però una grossa differenza tra i due mondi: per quanti possano essere gli appassionati del pallone, molti di più – quasi tutti – sono gli italiani che vivono o hanno vissuto la scuola. Prima da studenti, per lunghi anni, poi magari da genitori, e da nonni, oppure per lavoro: docenti, dirigenti, personale ata (cioè ausiliari tecnici e amministrativi). Il fatto che in tanti se ne interessino in realtà è positivo: la scuola è un bene comune troppo importante perché un cittadino possa permettersi di perderla di vista. Tuttavia oggi è difficile farsene un’idea, perché nel giro di pochi anni tanti punti di riferimento del passato sono saltati. Anche le parole con cui avevamo familiarità non sono più le stesse: i bidelli sono diventati collaboratori scolastici, i presidi dirigenti, le magistrali licei psicopedagogici; è sparito l’esame di quinta elementare, anzi, di quinta scuola primaria, e avanti di questo passo.
Quasi tutti i ministri della Pubblica Istruzione che si sono avvicendati negli ultimi vent’anni hanno puntato su corposi riordini dell’organizzazione scolastica. Di per sé questo non può essere considerato un male: la società si evolve, perché la scuola dovrebbe restare immobile? Il problema sorge quando ci sono continui e non ben calibrati cambi di rotta: come affermava già Seneca, non esiste vento favorevole per chi non sa verso quale porto andare. Commenta in proposito Giuseppe Savagnone, palermitano, insegnante di storia e filosofia al liceo ed editorialista di «Avvenire»: «Nella scuola odierna mancano i fini. Ed è difficile offrirne, perché nessuno sa più quali sono. La scuola è ormai un immenso supermercato dove i ragazzi cercano singoli prodotti, senza più neppure aspettarsi di essere aiutati a orientare la propria esistenza».
Tralasciamo la scuola dell’infanzia e l’università, che meriterebbero da sole altra trattazione. Gli interventi di riorganizzazione della scuola primaria e delle secondarie sono stati molti, complessi e controversi, tanto che il tentativo di sintesi delle novità realizzato a gennaio da «Corriere della sera» insieme a «Tuttoscuola» ha prodotto una guida di ben 224 pagine.
Il taglio delle risorse
L’Ocse ci bacchetta
Chi sul tema «finanziamenti alla scuola» va in controtendenza è l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, attiva dal 1960, che ha lo scopo di offrire un contributo intellettuale per aiutare i trenta Paesi membri a prendere decisioni in diversi campi. Uno di questi, per l’appunto, è la scuola.
A metà giugno, in concomitanza con la fine delle lezioni, l’Ocse ha pubblicato i risultati di «Talis», indagine internazionale comparativa sull’insegnamento e l’apprendimento. Si viene così a sapere che le risorse che dedichiamo alla scuola non sono poi così poche, anzi: in Italia lo Stato spende per ciascun studente più di altri Paesi, ma ottenendo scarsi risultati in termini di apprendimento. Come mai? Secondo Talis la nostra spesa lievita per due principali problemi: nessuna meritocrazia e troppi professori, 9,6 ogni cento studenti, contro una media Ocse di 6,5. Altro record poco ambito: i nostri docenti sono i più vecchi (ma alla rilevazione non hanno partecipato Francia, Germania e Usa), con oltre la metà che ha già compiuto cinquant’anni, e appena 3 su cento sotto i trenta, mentre in media i giovani professori sono oltre il 15 per cento. L’attesa per un vicino ricambio generazionale è ancora più stringente per i dirigenti, come spiega Nicoletta Scalzotto, coordinatrice del master universitario nazionale per la dirigenza delle istituzioni scolastiche Mundis dell’Università di Padova: «Su poco più di 10 mila dirigenti che lavorano nella scuola italiana, si calcola che entro il 2012, tra pensionamenti e possibili ritiri, saranno necessarie ben 1.500 immissioni in ruolo. Ci si attende, quindi, l’emanazione di un bando di concorso, come richiesto anche dall’associazione nazionale presidi».
L’indagine Talis svela altri particolari sulla condizione degli insegnanti. Ad esempio: nonostante le difficoltà e uno stipendio tra i più bassi d’Europa, il 95 per cento dei professori si dice soddisfatto del proprio lavoro, mentre addirittura il 98 per cento ritiene di essere efficace nell’insegnare.
Ma sull’efficacia ci sarebbe da dire, visto che altre fonti (Ocse-Pisa 2006) mettono i nostri quindicenni dietro la lavagna: gli italiani sono tra i più asini nelle materie scientifiche. La stessa ricerca ha evidenziato anche la grande differenza di risultati tra la scuola del Nord e quella del Sud Italia, in termini di competenze acquisite, che sono indicatori più affidabili rispetto ai voti. Come dire: il peso di un «otto» varia a seconda della latitudine. Un po’ come succede per le stelle degli alberghi, indicative, ma fino a un certo punto.
Novità ed effetti della riforma
La valutazione degli studenti è un nodo critico che è stato al centro delle polemiche durante tutto l’ultimo anno scolastico, perché parecchie novità sono state introdotte dal decreto che porta il nome dell’attuale ministro, Mariastella Gelmini: il ritorno dei voti in decimi, il voto in condotta che fa media, e la bocciatura anche con una sola insufficienza. Quest’ultima scelta è stata anche la più contestata, perché ha sdoganato al primo ciclo il famigerato «sei rosso», già presente alle superiori. Di che si tratta? È una sufficienza che tale non è: visto che basta un cinque per non essere promossi, il collegio docente può «concedere» il sei. L’effetto della stretta sulla disciplina – già inaugurata dal ministro Fioroni – si è visto dall’aumento di bocciature sia alle medie che alle superiori. In proposito sostiene Savagnone: «Una maggiore severità è una scelta che non si può non condividere. Una scuola permissiva e lassista non fa il bene di nessuno, meno che mai degli studenti più problematici che hanno più bisogno degli altri di regole e di punti di riferimento».
La ricezione delle novità, durante l’anno, ha alimentato un diffuso senso di incertezza tra docenti e genitori. Un esempio tra i tanti: il decreto è di settembre, tramutato in legge a ottobre 2008, ma le circolari che spiegavano come regolarsi per la valutazione finale dell’anno scolastico sono arrivate solo all’ultimo minuto utile, cioè a fine maggio 2009, senza peraltro dirimere tutti i dubbi. Di conseguenza sono stati ampi i margini di discrezionalità tra istituto e istituto.
Una non felice tempistica ha riguardato anche le iscrizioni alle primarie e secondarie di primo grado. A febbraio le famiglie hanno dovuto scegliere tra alcuni possibili quadri orari, che impegnavano più o meno i pomeriggi. Armonizzare le esigenze dei genitori è stato, in molte scuole, motivo di tensione: fino ad aprile, poi, l’esito è rimasto incerto, creando non poche difficoltà soprattutto a quei nuclei famigliari nei quali entrambi i coniugi lavorano fuori casa.
Mentre altre novità del decreto Gelmini sono già state messe alla prova l’anno scorso, e il maestro unico farà il suo esordio proprio in questo mese di settembre. Questa novità riguarda, per ora, solo le prime classi delle scuole primarie che abbiano un modulo orario di 24 ore. Ma il maestro è unico o prevalente? Dipende da chi insegna inglese e religione: se il docente ha le competenze per affrontare anche queste materie non avrà bisogno di altri specialisti che si alternino alla cattedra.
Autonomia e merito cercasi
Si è parlato di valutazione degli studenti, ma quando l’Ocse punta il dito contro la nostra nulla meritocrazia ha in mente anche altre sfide. Una di queste è la piena attuazione dell’autonomia scolastica, «che già oggi – sostiene Nicoletta Scalzotto – permette di fare grandi cose, anche se non si osa sfruttarne le potenzialità». E in effetti finora ne abbiamo visto quasi solo i lati peggiori, con lo sforzo di marketing e la corsa al ribasso di istituti preoccupati di proporre tanti «extra» (gite, esperienze, laboratori) a scapito dell’insegnamento curriculare, mentre per altri versi rimane ancora decisivo il vecchio centralismo burocratico. La meritocrazia, poi, dovrà investire anche il corpo docente, premiando i professori migliori con incrementi di salario e avanzamenti di carriera, offrendo formazione per gli insegnanti non efficaci e licenziando, in casi estremi, gli inadeguati. Commenta Giuseppe Savagnone: «Tra le cause del declino della scuola vi è la mancata volontà politica dei governi, dal dopoguerra a oggi, di gestire il passaggio dalla scuola di élite di Gentile alla scuola di massa, in modo da dare veramente a tutti quello che prima era riservato a pochi. Invece si è ottenuto un generalizzato abbassamento del livello qualitativo dell’istruzione. Da qui gli stipendi dei docenti mantenuti a livelli miserrimi, che ne hanno sempre più emarginato la figura anche a livello sociale, escludendo da questa professione i migliori e demotivando quelli che la praticano. È scomparsa o quasi la figura dei “maestri”, persone di cultura ed educatori. C’è da stupirsi che un certo numero di docenti riesca ancora, malgrado tutto, a fare un lavoro di buona qualità». Perché, argomenta ancora Savagnone, «non c’è riforma che possa sostituire insegnanti motivati e competenti, dirigenti che non si riducano a essere puri manager aziendali, famiglie attente e partecipi, personale ata consapevole del proprio ruolo educativo, alunni disponibili».
Questa è la scuola che desideriamo. È come una squadra di calcio. Ha bisogno che tutti facciano il tifo per lei.
Zoom. Nuove superiori, dal 2010
E le scuole secondarie di secondo grado? Cambieranno a partire da settembre 2010, ma la discussione è già aperta, anche perché le iscrizioni iniziano dal prossimo gennaio.
Prima novità: le ore di 60 minuti. Al momento un’ora di lezione, alle superiori, di minuti ne dura 50, o 55. Quali sono le conseguenze di questa scelta? Facciamo un esempio. Oggi Gino, 16 anni, al venerdì entra a scuola alle 8.30 ed esce alle 13.50. Tolti i 20 minuti di intervallo, in tutto ha sei ore di lezione, da 50 minuti l’una.
Con la riforma Gino non cambierà l’orario di entrata e uscita, ma avrà solo cinque diverse ore invece di sei, quindi stesso impegno ma meno materie e meno docenti, i quali avranno un orario di lavoro più lungo.
Altra questione correlata, la riorganizzazione dei licei. Saranno solo sei (a fronte degli attuali 396) con dieci indirizzi specialistici e 27 ore settimanali nel primo biennio (che al classico non si chiamerà più «ginnasio»). Sarà potenziata la lingua straniera al classico, la matematica e le scienze naturali allo scientifico. Gli altri licei sono l’artistico, il linguistico, il musicale e coreutico, e quello dedicato alle scienze umane, che sostituisce l’attuale socio-psicopedagogico. Infine, gli scientifici e i licei delle scienze umane potranno attivare due percorsi opzionali nei quali scomparirà il latino, a favore di materie scientifico-tecnologiche da una parte, economico-sociali dall’altra.
E veniamo all’istruzione tecnica e professionale. Il riordino prevede che gli attuali dieci settori in cui sono divisi gli istituti tecnici vengano convogliati in due soli settori, economico e tecnologico, dove verrà potenziata l’attività laboratoriale, il collegamento col mondo del lavoro e lo studio dell’inglese. Due macrosettori sono previsti anche per i professionali, che si divideranno in istituti per il settore dei servizi e istituti per il settore industria e artigianato. L’intera riforma delle superiori non è ancora definitiva, perché il regolamento, già approvato dal Consiglio dei ministri, deve essere ora esaminato dalle commissioni parlamentari e dalla Conferenza stato-regioni, quindi tornare in Consiglio dei ministri per la definitiva approvazione.
Infine, una novità annunciata dal ministro Gelmini: «Sto valutando l’ipotesi di introdurre per gli esami di maturità una prova nazionale sul modello Invalsi, analoga a quella della scuola media». La prova Invalsi verifica secondo standard internazionali i livelli generali e specifici di apprendimento.