L’ACQUA DI BOSSI

01 Ottobre 1996 | di

I fiumi: pare tocchi a loro decidere a volte il destino di un paese. Fu sul Rubicone che Cesare si affidò ai dadi per dar corpo alle sue mire espansionistiche; sul Piave durante la grande guerra sappiamo che cosa è successo. Ai nostri giorni Bossi ha scelto il Po, assurto al rango di «dio», per lanciare la sua campagna d`€™autunno che dovrebbe avere come esito «ineluttabile», tra un anno o due la secessione della Padania dal resto del paese. Bossi e i suoi, in verità , l`€™indipendenza del Nord da «Roma ladrona» l`€™hanno già  proclamata, a Venezia, lo scorso 15 settembre, facendo ammainare la bandiera italiana (quanta tristezza!) e issando sul pennone quella della Padania, con la stella celtica al centro. Lo ha fatto con tracotanza: minacciando, lanciando proclami, progetti e sfide arroganti che hanno richiamato l`€™attenzione della magistratura, la quale ora avrà  il suo daffare.
A seguire il «lider massimo» della Lega, dalle foci del Po alla città  sulla laguna, avrebbero dovuto esserci folle oceaniche: vi era molto di meno, a conferma di una nostra certezza, e cioè che la maggioranza della gente del Nord non vuole la secessione, perché la ritiene un atto ispirato dall`€™egoismo e dall`€™intolleranza, antistorico, assurdo e controproducente anche dal punto di vista economico. Pare, inoltre, che l`€™entrata nell`€™Europa della moneta unica `€“ che è il fine di tanti sacrifici che abbiano fatto e che ci apprestiamo a fare `€“ sia estremamente improbabile per un`€™Italia divisa. Noi, poi, in quanto chiesa, intesa come comunità  di credenti e luogo di incontro ecclesiale, abbiamo il dovere di invocare e impegnarsi per l`€™unità , per la solidarietà  e mai per la divisione.
In ogni caso, più che la futura e forse improbabile secessione, ci preoccupa il clima che i più esagitati dei leghisti rischiano di creare nel paese: di arroganza, di intolleranza, di fastidio verso i «non padani», meridionali o «negher» che siano, nel quale possono naufragare i giovani, particolarmente fragili in questo momento di vuoto di ideali, della politica e delle istituzioni.
Detto questo, occorre aggiungere anche che i problemi, i disagi che alimentano le proteste di Bossi e amici, sono reali e seri; non riguardano, però, solo la gente del Nord, ma tutto il paese. E sono le troppe tasse, l`€™esasperante lentezza e farraginosità  della burocrazia, l`€™arroganza e lo strapotere delle autorità  centrali che paralizzano e umiliano le amministrazioni locali e la vita dei cittadini. Per affrontare questi mali e sconfiggerli; per obbligare, insomma, chi deve fare le tanto invocate e promesse riforme `€“ che dovrebbero ridarci uno stato più moderno, più snello, finalmente proteso a rispondere alle reali esigenze del paese `€“ c`€™è bisogno di unirsi e non di dividersi, di lottare per ottenerle, a beneficio di tutti, in parlamento e non inseguendo improbabili quanto pericolose secessioni.
Qualcosa di buono, se si vuole, le giornate leghiste sul Po l`€™hanno ottenuto: mettere i politici di fronte alle loro responsabilità . Se le proteste della Lega sono espressione di un vero disagio, occorre dare ad esse risposte politiche, e in tempi anche abbastanza rapidi.
Di questa urgenza s`€™è fatto voce lo stesso presidente Scalfaro. «Ragioni di protesta ci sono `€“ ha scritto nella lettera inviata alle camere `€“ sta a voi costatarle, esaminarle e affrontarle con coraggio, senza perdere tempo». Basta con le parole e con le promesse: è il momento dei fatti. Ma prima del «fatto», cioè dell`€™attesa riforma che dovrebbe darci uno stato federale, ci sono altri segnali che possono essere dati subito: provvedimenti per snellire l`€™infinità  di adempimenti che paralizzano la vita delle amministrazioni locali e dei cittadini e facciano funzionare quello che già  c`€™è, chiarendo, prove alla mano, che il potere sta per imboccare una nuova strada.
Tuttavia nulla più della corruzione porta acqua al mulino di Bossi, di quella corruzione che pensavamo, se non vinta, almeno intimorita dalle vicende di Tangentopoli e che invece ha continuato con spudoratezza a prosperare, infliggendo «un`€™altra ferita nella comunità , una ferita grave», come ha detto il presidente Scalfaro. Vuol dire che neppure il bisturi della magistratura, che pure deve continuare a incidere sul bubbone, ci porterà  fuori da questa pericolosa stagione, ma solo un recupero di moralità  da parte di tutti.
I tempi non sono splendidi, ma le possibilità  di renderli migliori non mancano. Ci aiuti il Santo, presso la cui tomba, accomunati dalla stessa fede, uniti dalla stessa devozione e dagli stessi bisogni, si avvicendano fratelli di ogni regione d`€™Italia e del mondo. E a tutti indistintamente dà  il conforto e della misericordia e della speranza.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017