L’addio a padre Vergilio Gamboso
Padre Vergilio Gamboso ci ha lasciato lo scorso 11 agosto. Ha aspettato che i più fossero a godersi le ferie per andarsene in punta di piedi e senza disturbare, come era nel suo stile di persona schiva, appartata, che preferiva il lieve fruscio delle pagine di un libro nel silenzio monacale delle biblioteche alle luci e ai clamori della ribalta.
Negli ultimi tempi ci si incontrava di rado. L’ultima volta, al Villaggio Sant’Antonio di Noventa Padovana, ho tentato invano di fendere la nebbia che l’età aveva alzato nella sua mente, solitamente lucida e brillante. Lo vedevo frugare nelle celle della memoria cercando quella che contenesse il mio ricordo. Inutile: non mi ha riconosciuto e la cosa mi ha molto rattristato.
Eppure, per anni, padre Vergilio è stato per noi la persona cui rivolgersi quando si voleva scrivere qualcosa di valido e non banale su sant’Antonio e dintorni. Disponibile e generoso, ci intratteneva per ore con quel suo conversare fluente, forbito, ricco di colore e di ironia. Di sant’Antonio, come di un amico carissimo, sapeva tutto quello che era possibile conoscere. Aveva passato gran parte della vita a studiarlo. Instradato dalle ricerche che altri suoi confratelli avevano effettuato, si era messo a cercare nei meandri della storia per rintracciare gli elementi utili a restituire spessore storico, culturale e spirituale a un santo che la devozione popolare, interessata alla sua dote di taumaturgo, aveva reso etereo, evanescente, quasi fosse vissuto al di fuori del tempo e dello spazio. Sant’Antonio aveva una cultura umana e teologica formidabile, tra le più spiccate del suo tempo, e una spiritualità esigente ma calda, tutta intrisa di Vangelo, ignorate dai più, tanto da dare adito a un detto secondo il quale sant’Antonio è il santo più amato e venerato al mondo, ma anche il più sconosciuto.
Alla fine, i risultati erano venuti. Con la sua biografia: Antonio, vita e spiritualità, precisa, brillante e documentata, padre Gamboso era riuscito a diradare molte nebbie.
Quando qualcuno di noi, attingendo a piene mani ai suoi studi, riusciva a comporre un testo decente, lui non mancava di rilevarlo, con molta generosità: «Bel pezzo, ragazzo!». Io spesso ribattevo: «Caro padre, noi siamo solo dei succhiaruote». Lui rideva sornione e divertito: «La gloria del maestro – rispondeva citando il suo Santo – sono i discepoli, nei quali si rispecchia e sopravvive». Evidentemente ci riteneva bravi discepoli. Bontà sua.
Un passato da emigrante
Padre Vergilio aveva origini friulane. Era nato a Talmassons, in provincia di Udine, nel 1929. Il Friuli era allora terra avara, dove le persone «hanno imparato a stentare prima ancora di venire al mondo», diceva in un suo scritto, costrette quindi a cercare altrove di che vivere. Anche Francesco (Vergilio si chiamava così prima di farsi frate), come già suo padre, un giorno è partito. Il padre, che era muratore, a costruire case; lui a lavorare nella vigna del Signore, nelle file dei francescani conventuali.
Il primo approccio con la nuova esperienza, a Camposampiero: luogo pregno di memorie antoniane. Lì sant’Antonio aveva vissuto i suoi ultimi giorni, goduto della visione di Gesù Bambino e iniziato il dolente transito verso la morte, avvenuta alle porte di Padova, sua città di elezione.
La città del Santo sarà per il giovane frate Vergilio la tappa conclusiva della sua formazione religiosa. In mezzo, anni di studio, di maturazione che lo condurranno alla scelta decisiva di vivere per sempre, come Francesco e Antonio, in povertà, castità e obbedienza nel ministero sacerdotale.
Dopo l’ordinazione, nel 1953, fu destinato al «Messaggero di sant’Antonio» come redattore della rivista che stava allora cercando, con lusinghieri risultati, di risalire la china, dopo i disastri prodotti dalla guerra che l’avevano ridotta al lumicino. Padre Gamboso contribuì per un decennio alla rinascita della rivista con le sue idee e i suoi numerosi articoli nei quali, con crescente professionalità e impeccabile stile, descriveva le bellezze artistiche e le vicende storiche della Basilica, e rendeva conto delle sue prime incursioni nel «mistero» della vita del Santo. Quasi un apprendistato per i non lontani impegni, che valorizzeranno al massimo le sue propensioni e le sue qualità di ricercatore e di scrittore.
Al cuore delle fonti antoniane
Dopo un triennio di quasi riposo, impostogli da un’indomita ulcera gastrica, trascorso nel quieto convento sui monti bellunesi sopra Pedavena a insegnare lettere ai seminaristi, fu richiamato a Padova ad affiancare, e poi a sostituire, padre Samuele Doimi nella redazione del quadrimestrale «Il Santo» e, quindi, nella direzione del Centro studi antoniani, creato nel 1959 dallo stesso padre Doimi per raccogliere, ordinare e pubblicare gli studi sul Santo che egli aveva progettato di organizzare.
A corto di materiale da pubblicare su «Il Santo», padre Vergilio fu costretto a produrlo in proprio, trovando nella vicina Biblioteca Antoniana una miniera inesauribile di fonti e di documenti, che diventerà la base principale delle sue future ricerche.
Religioso fedele alla Regola, ma spirito libero e aperto, s’era lasciato convincere dalla voglia di rinnovamento che il Concilio Vaticano II aveva destato e, assieme ad altri confratelli, aveva sollecitato una Chiesa e un francescanesimo più spirituali, più poveri, più prossimi agli ultimi, come era avvenuto alle loro origini.
Incomprensioni ed equivoci segnarono un breve periodo di difficoltà e disagio, presto superati dalla passione per lo studio di padre Gamboso, impegnato, nel frattempo, in un’operazione editoriale veramente grandiosa: la pubblicazione, in chiave critico-analitica-comparativa, delle Fonti bibliografiche antoniane. Di che cosa si tratta spiegherà lui stesso nel presentare, nel 1981 – 750° anniversario della morte del Santo – il primo volume: la Vita prima o Assidua, un compendio «di tutto il materiale attualmente noto, riguardante sant’Antonio, dagli anni della sua vita fino a circa la metà del XV secolo: composizioni e compilazioni ed estratti, stralci di cronache, documenti liturgici, racconti di miracoli, sermoni, panegirici, ecc.». Il tutto corredato di note critiche, comparazioni con documenti coevi e altro ancora. Una mole immensa di lavoro, pubblicato in più volumi, che rappresenta il meglio di quanto prodotto su sant’Antonio, e che ha consacrato padre Gamboso come il suo più fecondo e brillante cantore. Negli ultimi tempi, a chi gli chiedeva perché non mettesse l’apparecchio acustico, padre Vergilio rispondeva: «A che pro? Ho la fortuna di non sentire le tante scemenze che si dicono in giro». Oggi lo ricordiamo anche per la sua scanzonata ironia, tipica del suo carattere e della sua vitalità.
Il ricordo del direttore del Centro studi antoniani, padre Luciano Bertazzo
Un frate semplice e dotto
Padre Vergilio, l’eminente studioso di sant’Antonio, è stato definito come «frate semplice e dotto»: dotto quanto basta, semplice in quella freschezza da «fioretti» francescani. Un «poeta imprestato alla storia», come spesso amavo ricordargli. Ne sono testimonianza tante poesie, composte via via nel tempo, e raccolte negli ultimi anni in quaderni destinati a circolare fra gli amici. Una vena poetica che gli veniva dalle sue amate radici friulane («Non sarei un friulano quattro quarti / se non amassi il più umano dei santi / san Pietro, che, ispirando san Marco / inviò sant’Ermagora egiziano / ad evangelizzare la mia gente»), dai ricordi della sua mai scordata terra, in una passione condivisa con il conterraneo amico padre David Maria Turoldo.
C’è una sua composizione che ci fa intuire il suo avvicinarsi esistenziale alla figura di sant’Antonio. Con lui sembra di rivivere il flusso della memoria di un’esistenza, nell’ultimo viaggio, compiuto dal Santo in un assolato meriggio di giugno, da Camposampiero a Padova, dove aveva chiesto di morire:
«Cosa pensavi in quel pomeriggio /
di precoce estate, fra Antonio
– se ancora a noi qualcosa /
è dato di pensare quando Morte,
mano nella mano, ci conduce /
e d’intorno s’affosca il mondo
e l’anima sul ciglione dell’eterno /
non prova che smarrito sgomento,
– cosa provavi durante l’agonia, /
riverso e ansimante sulla paglia,
nell’aria rovente, sobbalzando /
il carro sulla strada sassosa?».
È il «poeta», fratello compartecipe che incontra, con domande forti – che risposta non possono avere – frate Antonio, nell’avvicinarsi del suo esodo. Dopo una lunga esperienza come giornalista al «Messaggero di sant’Antonio», sviluppa il suo interesse per la storia e per l’arte, lasciandoci una Guida della Basilica di Sant’Antonio, ritenuta ancora oggi, con le varie edizioni aggiornate, la più precisa, documentata e piacevole tra quelle in circolazione. La sua profonda cultura antoniana si forma alla direzione del Centro studi antoniani e de «Il Santo. Rivista antoniana di storia dottrina arte» del Centro studi, il cui compito è di studiare con approccio scientifico, storicamente fondato, la figura di sant’Antonio e del «fenomeno antoniano» nelle sue varie espressioni.
Di questo periodo, padre Vergilio ci ha lasciato diverse pubblicazioni sui Sermoni in onore del santo portoghese, che ci dicono come egli fosse recepito e presentato nella tradizione francescana. Per anni lavora su codici e carte antiche.
Un lavoro arido per chi non conosce la passione che può prendere uno studioso impegnato in questo «laboratorio». La spinta per impegnarsi nelle fonti agiografiche antoniane gli viene negli anni Settanta da un famoso editore vicentino che lo sollecita nell’impresa.
Nel 1981, anniversario dei 750 anni dalla morte di sant’Antonio, esce il primo volume delle Fonti agiografiche antoniane, con un’ampia introduzione, che offre le coordinate fondamentali della bio-agiografia di sant’Antonio. Seguono gli altri cinque volumi (nel 1985, 1986, 1992, 1997, 2001), fino a coprire tutta la vicenda agiografica, sviluppatasi nell’arco di un settantennio circa: dalla morte del Santo fino ai primi anni del Trecento.
Non è riuscito a concludere – a causa del venir meno delle forze – il settimo volume: la raccolta dei sermoni in onore di sant’Antonio. Il materiale raccolto e composto lo ha affidato al Centro studi antoniani che ne sta curando la pubblicazione.
Padre Vergilio non ha voluto che le sue ricerche restassero appannaggio di pochi. Per il grande pubblico ha scritto, com’è noto, Antonio di Padova. Vita e spiritualità, la più accreditata biografia del Santo. La solitudine dello studioso nulla ha tolto alla sua vivacità, acutezza e ironia. Padre Vergilio è rimasto «il poeta prestato alla storia»: un «frater simplex et doctus», ricco di tante intuizioni, riprese dalla storiografia successiva e tutt’oggi imprescindibili per chi voglia avvicinare la figura del Santo.