L’Africa e il rischio della bontà
Dalla loggia centrale della Basilica vaticana, domenica 8 aprile intorno a mezzogiorno, Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli presenti in piazza San Pietro e ai molti credenti e uomini di buona volontà collegati in ogni parte del mondo, i suoi auguri pasquali. Si è trattato innanzitutto di un augurio di pace, suscitatore di speranza a partire dall’evento inaudito della risurrezione. Di fronte a Cristo risorto, però, come ha ricordato il Papa, si fronteggiano due atteggiamenti di sconcertante attualità: il riconoscimento nella fede, proprio a partire dalle piaghe di Cristo toccate con mano dall’apostolo Tommaso su invito del Maestro, ma anche l’incredulità recalcitrante di chi non si attende alcuna novità ed è tentato di tornare a ripetere il proprio passato, con amarezza e disillusione. In questo contesto di lotta tra luce e tenebra, tra fede e incredulità, tra apertura alla speranza e rinuncia al sempre possibile futuro di Dio, Benedetto XVI ha collocato una tragica rassegna di piaghe che feriscono in profondità la convivenza umana sul nostro pianeta, parlando di situazioni problematiche fino a essere drammatiche, nelle seguenti regioni: Repubblica del Congo, Darfur (Sudan), Israele-Autorità palestinese, Libano, Iraq, Afghanistan, Zimbabwe, Madagascar, Somalia, Sri Lanka, Timor Est, Isole Salomone. Al più noto focolaio mediorientale, fa da contrappunto la ricerca di pace, di stabilità politica, di cibo e di dignità di un folto gruppo di Paesi africani.
Al capitolo sette del suo recente e suggestivo libro su Gesù, un testo nel quale Benedetto XVI si pone come credente in un cammino di «personale ricerca del “volto del Signore”», si incontra una prolungata e intensa lettura della parabola del buon samaritano. L’insegnamento di Cristo, condensato nel testo dell’evangelista Luca (cf. 10,25-37), non conduce a stabilire chi, tra gli altri uomini, sia da considerare come prossimo. Ognuno è invece chiamato a farsi prossimo, per il fatto che «l’altro conta per me come “me stesso”». Ideale alto, svettante, genuinamente evangelico.
E a questo punto il Papa fa un passo in avanti, e attualizza il contenuto della parabola: «Se la applichiamo alle dimensioni della società globalizzata – scrive –, vediamo come le popolazioni dell’Africa che si trovano derubate e saccheggiate ci riguardano da vicino. Allora vediamo quanto esse siano “prossime” a noi; vediamo che anche il nostro stile di vita, la storia in cui siamo coinvolti li ha spogliati e continua a spogliarli». Ma ciò che è da giudicare più dannoso, ancora secondo Benedetto XVI, è stato il fatto di aver ferito spiritualmente quei popoli: «Invece di dare loro Dio… abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio».
Di fronte a uno scenario che appare del tutto scoraggiante, a fallimenti che coinvolgono generazioni e generazioni prima di noi, a tragedie umanitarie che continuano a consumarsi circondate dall’indifferenza, a sopraffazioni inaudite che violano i diritti più elementari, il Papa non punta il dito – come pure sarebbe legittimo – contro istituzioni internazionali, contro interessi politici o altro, ma invita ogni uomo a «imparare di nuovo il rischio della bontà», a diventare sostanzialmente una persona che ama e che quindi si lascia «turbare» dal bisogno dell’altro, così come ha fatto il buon samaritano della parabola di Luca.
Detto questo, non c’è bisogno di aggiungere molte parole per giustificare la scelta operata dalla Caritas Antoniana di intervenire in Kenya e in Congo. Naturalmente secondo la misura della vostra bontà, del rischio di voler bene che ognuno di voi e tutti noi insieme vorremo correre. La misura della carità, diceva san Bernardo, è amare senza misura: in pratica, illimitatamente. Lasciamoci misurare dalla misura larga dell’amore verso i fratelli, quelli più poveri.