Lanfranco la spiritualità del barocco

È alle ultime battute (chiude il 16 giugno prossimo) a Roma una grande mostra che, proposta in tre città diverse, ha tolto dall’oblio un grande pittore dell’età barocca: grandi capacità di disegno e di colore, maestria compositiva, tante opere dalle quali
08 Maggio 2002 | di

Ancora per poco tempo, sino al 16 giugno, le ampie sale al piano superiore di Palazzo Venezia raccolgono un`€™ottantina di opere e una cinquantina di disegni di Giovanni Lanfranco, uno dei padri della grande stagione della pittura barocca in Italia, che merita attenzione e può essere facilmente ammirato al di là  della mostra, essendo l`€™autore degli affreschi della cupola del Sant`€™Andrea della Valle, del fregio della Sala Regia del Quirinale, degli affreschi della Cappella Sacchetti in San Giovanni dei Fiorentini, a Roma; degli affreschi della cappella del tesoro del San Gennaro, della volta della navata della chiesa dei Santi Apostoli, della cupola del Gesù Nuovo, della Certosa di San Martino di Napoli. Il concorrente di Domenichino, ma anche il precursore del più grande di tutti i pittori barocchi degli splendori romani, quel Pietro da Cortona cui la città  di Roma, nel 1997, in occasione del quarto centenario della nascita, dedicò una ricca serie di manifestazioni, oltre la grande esposizione a Palazzo Venezia; e poi dei  vari Solimena, Luca Giordano.

L`€™interesse intorno al barocco  è andato crescendo sullo scorcio del secolo scorso, con una serie di manifestazioni nazionali, di cui questa mostra è una naturale sequenza storica: esempio complesso che rivela un mondo e un artista, non sempre noti.

Partita lo scorso anno dalla Reggia di Colorno, nei pressi di Parma, città  natale dell`€™artista (dove la Soprintendenza e il Comitato per la promozione della cultura e delle residenze farnesiane, hanno realizzato la più ampia retrospettiva che sia mai stata fatta), ideata e curata dal massimo conoscitore dell`€™artista, il professor Erich Schleier, è stata, quindi, trasferita in Napoli a Castel Sant`€™Elmo, per concludersi nella gloria universale di Roma.

«Giovanni Lanfranco - Un pittore barocco  tra Parma, Roma e Napoli» è diretta da Lucia Fornari Schianchi, con la consulenza di un comitato scientifico di cui fanno parte i soprintendenti Claudio Strinati, Nicola Spinosa, Maria Grazia Bernardini.

Palazzo Venezia è uno spazio-tempo ideale per immergersi nell`€™atmosfera densa di un artista che ha saputo raccogliere e conciliare le due grandi anime della pittura italiana sul finire del XVI secolo e agli inizi del XVII: il classicismo di stampo carraccesco (con evidenti origini manieriste e tardo manieriste: da Correggio a Parmigianino ai manieristi toscani e tardo veneti) e il naturalismo popolareggiante di Caravaggio e dei caravaggeschi (altro argomento e artista cui in questi ultimi anni sono state dedicate una decina di mostre).

Ecco, dunque, la motivazione di fondo che ci fa apprezzare questa mostra, anche perché Giovanni Lanfranco, dopo la gloria indiscussa che lo accompagnò in vita e durò per tutto il XVIII secolo, era caduto in un oblio che, a dire il vero, ancora oggi ne vela le evidenti capacità  di disegno e di colore (le sue gamme dal rosa al celeste vi resteranno negli occhi per la raffinatezza delle luminosità  e delle velature), la maestria compositiva (raramente ridondante, sempre, tuttavia, esaltante), la vasta produzione e la spiritualità  intensa che emana dalle sue pale d`€™altare: una spiritualità  corale che bene esprimeva l`€™universalismo cattolico che si contrapponeva, allora, all`€™individualismo protestante.

Una mostra non propriamente facile da seguire, se non si ha la pazienza di lasciarsi portare, sala dietro sala, dalla sequenza espositiva sostanzialmente cronologica. Intendo dire che non si può sorvolare su nulla e si deve avere la pazienza di ammirare quadro dietro quadro.

Da Parma a Roma

Giovanni Lanfranco, nato a Terenzio (Parma) il 26 gennaio 1582, raccomandato dal duca di Parma Ranuccio I, a soli diciott`€™anni entra nella bottega di Agostino Carracci; nel 1602 eccolo a Roma a collaborare con Annibale Carracci sulle pareti della Galleria Farnese, con larga autonomia di lavoro e attento a quanto avevano fatto e stavano facendo Caravaggio e i caravaggeschi Orazio Borgianni, Orazio Gentileschi, Carlo Saraceni, Simon Vouet. Dieci anni di studio e le prime importanti commissioni. Un breve ritorno in patria, e, ancora una volta, lo studio attento degli affreschi di Correggio; quindi nuovamente a Roma, a dipingervi insieme con il maestro dei maestri, Guido Reni. Diviene presto il pittore più richiesto da cardinali, papi e grandi committenti: quasi un`€™egemonia, la sua presenza, che fa da pendant a quella di Gian Lorenzo Bernini. Nel 1634 si trasferisce a Napoli: dodici anni di lavoro straripante. Nel 1646 il rientro in Roma per affrescare la tribuna di San Carlo ai Catinari. La morte, avvenuta il 29 novembre 1647 gli impedirà  di ultimare quest`€™ultima impresa.

Il meglio della mostra 

La mostra è stata occasione per restituire al primitivo splendore molte opere e permettere la visione complessiva di un artista altrimenti disperso per tutto il mondo.

Si va dai correggeschi (ma, forse, è Domenichino l`€™artista cui guarda) Adorazione dei pastori (1606-7 del Alnwick Castle), alla Crocifissione di Porcigatone (1610-11), all`€™Arcangelo Raffaele tiene incatenato il demonio (1610, Museo di Capodimonte, Napoli): opere, se volete, di studio, ma già  mature e di evidente scelta naturalistica, al caravaggesco (ma i colori non hanno le violenze luministiche del modello) San Luca e l`€™angelo (1611, dei Musei civici di Piacenza): a mio avviso, un vero prototipo di cosa significhi la tensione drammatica dei dialoghi barocchi fra le figure e della fisicità  «spirituale» di queste storie sacre. Quindi, un capolavoro in assoluto: La salvazione di un`€™anima (1612-13, Museo di Capodimonte, Napoli): luminosa dimostrazione pittorica della lotta fra il bene e il male come interpretazione artistica dei dettami della Controriforma e dimostrazione di come questi dettami non solo non impediscano, ma facilitino l`€™ispirazione artistica, quando essa esista.

Ancora Caravaggio, ma con altra intensità  religiosa, nella tela della Galleria Nazionale di Parma con Sant`€™Agata visitata in carcere da San Pietro e l`€™angelo del 1613-14: un brano di stupefacenti controluce di più lontane ascendenze romane (Raffaello delle Stanze, ad esempio).

Un altro capolavoro d`€™origine michelangiolesca, la Pietà  della Cassa di Risparmio di Cesena ((1614).   

Le emozioni, con l`€™avanzare dell`€™età  e il progredire dell`€™abilità  professionale, invece di diminuire, aumentano. Penso alle opere del secondo periodo romano, da Giuseppe e la moglie di Putifarre (Galleria Borghese di Roma) al Ruggero libera Angelica (1616, Galleria Nazionale delle Marche di Urbino): due nudi femminili giocati con morbidezza e delicato erotismo tutto secentesco. Oppure i difficili bianchi dell`€™Incoronazione della Vergine del Louvre(1616), o la singolare Assunzione di Santa Maria Maddalena (1616, Museo di Capodimonte), in cui la santa, ignuda, trasvola uno sconfinato paesaggio, fra terra e cielo, sostenuta da due putti.

E via via, stanza dietro stanza, fino a quello che mi è apparso il clou della mostra, la sala dell`€™Autoritratto (1629-30, Columbus Museum a Columbus, Ohio) e dei teleri della chiesa dei Santi Apostoli di Napoli: cinque pezzi di barocco già  maturo, e le tele con la Conversione di San Matteo (Cassa di Risparmio di Parma), Angelica e Medoro (Rio de Janeiro), Sant`€™Andrea (Berlino) e Sbarco di San Paolo a Pozzuoli (Museo San Martino di Napoli).

Non possiamo non essere d`€™accordo con Lucia Fornari Schianchi quando in catalogo afferma che « chi perderà  questa mostra non avrà  mai più la possibilità  di vedere insieme tanti capolavori di un artista non ancora entrato nell`€™immaginario collettivo, ma che sorprenderà  tutti per la ricchezza e la qualità  del suo tragitto artistico`€¦».

 

 

 

 

 

 

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017