L’anno che verrà
Ho avuto modo, negli ultimi mesi, di riflettere sul tempo passato e su quello che ci attende. A metà novembre, in una simpatica riunione di famiglia, sono stato festeggiato per i miei cinquant’anni, ma nell’occasione abbiamo brindato anche ai sessanta di mia sorella Rosa, la maggiore, agli ottantotto di papà Luigi, ma anche ai venticinque di mia nipote Miriam: tre generazioni disposte in successione. La prima, che ha attraversato buona parte del ventesimo secolo, una guerra mondiale sofferta sulla propria pelle, la ricostruzione postbellica, il boom economico con gli esiti di un benessere diffuso di cui poter finalmente godere: lavorando con le braccia, mio padre ha potuto costruire una casa e garantire ai quattro figli un futuro; la generazione di mezzo è quella mia e di mia sorella, a cavallo tra i due secoli, le radici decisamente da una parte e i rami sporgenti nel nuovo millennio: ha respirato il ’68, ha assistito in diretta alla caduta del muro di Berlino, ha sperimentato i primi frutti della globalizzazione; infine la generazione di Miriam, quella dei ventenni, in uno stato di incubazione artificiale prolungata, con poche prospettive di lavoro e quindi di autonomia e, davanti, un futuro plumbeo. Le domande più radicali vengono da questi giovani: cosa ci attende? Quando potrà cominciare la nostra vita adulta, lavorativa e sociale?
Non sembra che le risposte a queste domande abbondino. Per di più, la tempesta finanziaria degli ultimi mesi ha spazzato via molti punti di riferimento, per cui l’economia naviga a vista. Sempre più storditi dalle analisi dei cosiddetti esperti, sempre più soli di fronte a una complessità che appare ingovernabile, i singoli cittadini fanno fatica a credere che qualcuno davvero conosca la direzione da imboccare per sanare la situazione. Le fasce più esposte del Paese sono allo stremo, e concretamente la povertà avanza e inghiotte quote sempre più ampie di popolazione. Anziani, famiglie numerose, famiglie monoreddito, giovani coppie con il cappio di un mutuo infinito e fluttuante, hanno il fianco scoperto di fronte a oscillazioni di mercato che penalizzano sempre e comunque i più deboli. Ai telegiornali si sentono sgranare cifre anticrisi da capogiro, ma nelle tasche della gente arriva ben poco.
Veniamo ora alla nostra rivista, una voce particolare e speciale nel panorama editoriale italiano. Voglio innanzitutto ringraziare i moltissimi lettori che ci hanno dato fiducia anche per l’anno 2009. In tempi nei quali i primi tagli alle spese nelle famiglie riguardano spesso la lettura di quotidiani, settimanali e mensili, sono colpito da una fedeltà così massiccia e partecipe. Essa esprime la volontà di camminare insieme in un percorso che viene giudicato arricchente, stimolante, umanamente e cristianamente significativo: lo dicono le vostre numerose lettere, ricche di incoraggiamento e voglia di esserci. Anche nel 2009, come redazione, cercheremo di fare del nostro meglio, coinvolgendo nuove firme, attivando nuove rubriche, ma soprattutto impegnandoci in prima persona ad affrontare temi caldi e argomenti dibattuti.
E per finire un saluto a chi va e a chi viene (o ritorna), perché davvero il «Messaggero» è una grande famiglia: ringraziamo della preziosa collaborazione Enzo Bianchi, Adelino Cattani, Giandomenico Ghizzardi, Alessandro Meluzzi, Andrea Piersanti, Antonella Rosso, Giovanni Ruggiero, Fabio Scarsato. Diamo il benvenuto a Leonardo Becchetti, Alessandra Borghese, Francesco Jori, Carmen Lasorella, Fulvio Scaparro, Aldo Maria Valli, Giovanni Ventimiglia, Cosetta Zanotti. Il benvenuto è particolare per padre Danilo, direttore generale, che da questo mese tiene una rubrica su sant’Antonio. A tutti, chi scrive e chi legge, buon 2009!